Si presenta itinerante, com’è ormai consueto, la ventinovesima edizione Pomigliano Jazz, finanziato da Regione Campania, Ministero della Cultura ed Ente Parco Nazionale del Vesuvio, con la direzione ideativa e artistica di Onofrio Piccolo e l’organizzazione di Fondazione Pomigliano Jazz con Scabec, in partenariato con i comuni di Pomigliano d’ Arco, Avella e Cimitile, EAV, Istituto Cervantes di Napoli e FIPI. Quest’anno il Festival si snoda in due tranche, tra luglio e settembre, profilandosi come connubio tra suoni e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale della Campania. Grandi serate alle Basiliche Paleocristiane di Cimitile, dove si è esibito il Gonzalo Rubalcaba trio (13 luglio), e all’Anfiteatro romano di Avella con il duo John Scofield e Dave Holland (17 luglio). Poi ci si è portati lungo le vie del Vesuvio con il concerto di Marco Zurzolo all’Osservatorio Vesuviano (21 luglio), quello di Maria Pia de Vito, Roberto Taufic e Roberto Rossi presso l’antica Strada Matrone, in procinto di diventare – si spera presto – una green way al cratere (27 luglio). Si è raggiunta la vetta con il progetto Magma (28 luglio): in scena sul
piccolo palco allestito costeggiando il versante del cratere, Peppe Barra, Daniele Sepe (flauto traverso, whistle, fischietti, sax sopranino e voce), Magda Giannikou (fisarmonica, chitarra e voce) e Paolo Del Vecchio (bouzouki irlandese, chitarra e mandolino). Un colpo d’occhio notevole per i circa quattrocento spettatori inerpicatisi sul vulcano nella calura pomeridiana, accolti dalla visione mozzafiato che abbraccia nella sua vastità il mare da Punta Campanella a Capo Miseno e alle isole.
Accolti dall’intro “Demetra” per chitarra e bouzouki irlandese con accordatura alla greca, il trio attacca “Yerakina”, il tradizionale epirota, da sempre nel repertorio del piratesco sassofonista napoletano, cantato da Magda con accompagnamento di corde, fischietti e whistle. In maniera estemporanea sale sul palco Marcello Squillante (Ars Nova Napoli) per una efficace versione bilingue (napoletano e greco) “‘Mbraccio a me” (Di Chiara/Barbieri, 1908), il cui spartito approda nella Grecia cosmopolita dei grandi centri urbani, come è accaduto a un nutrito corpus di canzoni da cui i musicisti greci hanno in preso in prestito musica e/o testi
napoletani, trasformandone stile di canto, versificazione e pratiche esecutive. Si prosegue con “Lunita Tucumana”, capolavoro di Atahualpa Yupanqui, e con “Lua”, una morbida canzone della stessa Giannikou, punteggiata da chitarra, mandolino e flauto. Arriva il tempo del Maestro Peppe Barra per dare compimento alla magia del luogo. Dopo aver presentato la sua deliziosa cagnetta Carlotta, e richiesto un accordo “azzurro” di fisarmonica a Magda, attacca – a sorpresa, scompigliando la scaletta – la villanella “Volumbrella”. La “fica vulumbrella” è il fiorone già sodo e ben formato, ma ancora acerbo, che maturerà nella tarda estate. Nel canto quattrocentesco l’innamorato paragona la sua amata al frutto e la invita ad acconsentire alle sue avance. L’arpeggio lento della chitarra e il gioco contrappuntistico di fisa e whistle accentuano l’atmosfera emotiva. Il canto si fa più fermo e “Procidana”, uno dei cavalli di battaglia di Barra che ha da poco compiuto ottant’anni celebrati con un gran concerto a Piazza Mercato a Napoli, è reso con quella voce inimitabile che sa riempire lo spazio scenico, sostenuta da chitarra, flauto traverso e
una fisarmonica essenziale quanto efficace nel tessere le note. Il pubblico risponde con l’agitar di mani che sostituisce l’applauso fragoroso (consapevole consuetudine di rispetto dell’ecosistema circostante per questi concerti speciali: benché va detto che i volatili nidificatori dell’area devono sopportare ben più fastidiosi passaggi di aerei e schiamazzi quotidiani dei tantissimi turisti). Segue “Neve”, composizione di Toto Toraldo, che apre il secondo disco di “Cipria e Caffè”, che si sviluppa su un registro riflessivo e ridanciano al contempo di cui è padrone Barra, autore e custode di un vastissimo panorama culturale partenopeo, inimitabile uomo di teatro che sa offrire il linguaggio del corpo, della mimica, della voce e di tutta l’espressività che sa dare un attore del suo calibro.
Padrone del cunto, si produce nel poetico recitativo “Tiempo”, dal “Pentamerone” di G.B. Basile, seguito da una “Maruzzella” strumentale (che peccato non averla sentita cantata dal Maestro!). Ecco, poi, una dolce e sentita “Cammina… Cammina”, omaggio a Pino Daniele, che conclude, in maniera un po’ inattesa, l’esibizione
nella magia. La band ci lascia senza la “dovuta” “Tammurriata Nera” che nel tempo Barra ha trasformato in grido di dolore e ribellione al dolore stesso. Ma come dimenticare che siamo intorno ai 1200 metri nel pieno di un torrido pomeriggio estivo? E poi, con ogni probabilità, la “sua” tammurriata avrebbe perso parte dell’istrionica e intensa carica performativa, senza la partecipazione sonora del pubblico, con la cui interazione trovano compimento divertimento ed emozione, poesia e follia incarnate da Barra.
La programmazione del Festival proseguirà a settembre a Pomigliano d’Arco, dove la Stazione della Circumvesuviana (temporaneamente chiusa al pubblico per lavori sulla linea Napoli-Baiano) diventerà uno spazio dedicato alla creatività con concerti, dj set, mostre e performance artistiche.
Occhio alle news della stampa, ai social e al sito www.pomiglianojazz.com
Ciro De Rosa
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