“Suonare, cantare, raccontare le musiche tradizionali in un luogo periferico come è questa parte d’Italia, in un luogo neutro, dove ci si è potuti ritrovare, incontrare altri, oltre le proprie posizioni. Negli anni abbiamo messo insieme artisti legati a una riproposizione e quelli più propensi a una rielaborazione. Quest’incontro ha creato qualcosa di nuovo, ci permesso di portare sul palco cose belle, in alcuni casi di offrire la possibilità di vedere perfino artisti che non avevano mai suonato insieme. Si è generato un luogo senza pregiudizi, un luogo aperto: è la nostra storia, ma è, soprattutto, la storia di chi è venuto a Loano e si è messo in gioco. Uno spazio neutro che permette di abbandonare le proprie convinzioni, uno spazio creativo e libero. Importante è pure quello che ci viene restituito dagli artisti, senza di loro non ci saremmo. Il nostro compito è creare le condizioni affinché si realizzi: i dischi, il Premio, le sfide che lanciamo… non si tratta di organizzare una semplice rassegna. Forse è questa la magia di Loano. Questo permette di dire a un artista: ‘non sto entrando in casa d’altri, ma in casa mia, sto portando me stesso/a. Questo festival è la casa di tutti: Loano è la casa del folk”. Nelle parole di Lucia Campana, fervida e passionale mente e braccio operativo del fantastico gruppo di amici dell’Associazione Compagnia dei Curiosi, che organizza da due decenni il Festival, il senso di una manifestazione che dal 2005 è diventata punto di riferimento per il folk in Italia. Finanziata dal Comune di Loano e dalla Fondazione De Mari, con il patrocinio dell’ANCI e della Regione Liguria, la XX edizione ha inteso festeggiarsi e raccontarsi. Il titolo, “Ventidifolk”, rappresenta la “presa di coscienza della cifra tonda e l’idea della musica tradizionale come qualcosa di mobile, instabile e al contempo rinfrescante – l’essenza stessa dell’aria che
respiriamo”, dice Jacopo Tomatis, che ha attraversato gli anni di Loano da osservatore partecipante e giurato a direttore artistico: “Vedo una grande continuità: questo Premio ha saputo mantenersi, innovarsi naturalmente ma mantenere una dimensione di comunità tra i musicisti, gli operatori, le persone che ci gravitano intorno che è rimasta abbastanza costante. Quello che è cambiato probabilmente è anche il ruolo di queste musiche, non dico tanto nella società, nella cultura italiana, ma proprio a livello di rappresentazione nei festival. Nei primi anni del Loano, in cui io partecipavo come inviato, c’era un’attenzione più diffusa per la world music, esisteva ancora questa categoria, c’erano ancora tanti festival che si dedicavano a queste cose e Loano era uno di questi festival, sebbene molto incentrato sulla tradizione italiana. Ne ho visti fallire molti, ho visto molti festival cambiare identità, ho visto l’esplosione del jazz all’interno degli slot finanziati dal pubblico in Italia, jazz che ha saputo, a differenza del mondo folk/world, federarsi e fare massa. In questo senso mi sembra che Loano sia rimasto un po’ isolato, pur mantenendo questa sua identità molto costante, che secondo me va riconosciuta e in piena continuità dalla gestione Vignola, diciamo così, con gruppo di lavoro esteso. Quest’anno parliamo di Lomax: lui voleva tenacemente che le sue registrazioni ampliassero o cambiassero addirittura l’immagine della cultura musicale italiana. Vent’anni sono tantissimi, ma non ci sembra che siano tanti perché li abbiamo vissuti, ma perché in qualche modo tutto il mondo della musica degli ultimi vent’anni è rimasto molto arrotolato su sé stesso.
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