C’è un grande interesse per il passato, la retromania, non c’è stata una grande rottura come c’è stata in passato. Intendo dire che la grande rottura ha riguardato il mondo della fruizione, ha riguardato i social. Nel 2005 non c’era Youtube, nel 2005 il disco già stava in declino ma ancora era il medium di riferimento, però quello che io ricordo sempre anche ai miei studenti: 20 anni sono la distanza che c’è per esempio tra il viaggio di Lomax e la metà degli anni ’70, provando a pensare a cosa è successo in Italia tra il ‘54 e il ‘74, a livello sia di musica sia di innovazioni. La distanza dal viaggio di Lomax è abissale, ci parla veramente di un’Italia che non c’è più, ma in qualche modo era un’Italia che non c’era già più vent’anni dopo quel viaggio. In questo senso forse il tempo ha rallentato, c’è questa impressione che il tempo abbia rallentato anche nel modo in cui queste musiche vengono portate in giro. Siamo legati poi anche a modalità di rappresentazione, a un modo di fare festival che è il modo del Novecento ancora. Queste registrazioni sono un’arma a doppio taglio perché sono fondamentali, rimangono il testo di riferimento ma sono registrazioni di un momento ben preciso, fermato abbastanza a caso dentro il flusso del tempo, cioè Lomax arriva in un paese per caso arriva quel giorno lì, incontra quei cantori abbastanza per caso, non è un lavoro metodico, e fissa quei brani lì, perché quel giorno lì ai cantori andava di cantare quelle cose, perché magari uno era malato e l’altro invece era lì. Quindi il caso ha fatto sì che questi momenti si cristallizzassero e diventassero testo di riferimento. A loro volta, dentro questa grande mole di registrazione, alcune sono diventate poi dischi e questi dischi ancora di più sono diventati punti di riferimento. Riascoltare oggi quelle registrazioni ci deve ricordare, da un lato la ricchezza di quel patrimonio, da un altro che preservarne un pezzettino significa raccontare di una
complessità, non portare avanti quel pezzettino. Quel pezzettino è una scheggia, un ago dentro un pagliaio di pratiche musicali che non ci sono più in qualche modo. Noi abbiamo conservato questo ago, dobbiamo immaginarci il pagliaio”. Passano gli anni, non passa la qualità perché dietro c’è passione, ci sono forti motivazioni e ci sono competenze. Perché il telos di Loano è stato da subito costruire un Festival per la valorizzazione di produzioni discografiche riconducibili all’ampio ventaglio della musica tradizionale italiana. Ma non soltanto, perché Loano è diventato luogo privilegiato di riflessione, di storicizzazione dei fenomeni legati ai folk revival e alle musiche di tradizione orale attraverso discussioni che hanno coinvolto musicisti, studiosi, cultori ed accademici. Loano come “Antenna Folk” pronta a captare i cambiamenti. Perché, se da subito il Premio si è imposto come unica espressione dei Folk Awards d’Italia, pure inscritta nelle sue origini è stata l’idea di premiare artisti che non vivano la tradizione musicale come archeologia sonora o in senso passatista. Tutto ciò si ritrova nella pubblicazione di un racconto fotografico (con immagini di Martin Cervelli e Silvio Massòlo) dal titolo “RiGenerazioni” a segnare il ventennale, raccolta degli istanti più significativi della storia del Premio con alcune riflessioni di chi il Premio lo ha diretto e lo ha praticamente vissuto da sempre come osservatore privilegiato. E poi tre giorni di musica e di incontri, proprio sui due decenni di musica qui nel ponente ligure, con i due direttori artistici che si sono avvicendati in questi due anni, John Vignola e Jacopo Tomatis, le proiezioni di due film documentari in esclusiva per rendere omaggio a Giovanna Marini e Alan
Lomax. Il primo, “Dai paesi alla città. Giovanna Marini e la Scuola di Musica Popolare di Testaccio” (di Andrea Serafini e John Vignola, del 2009, prodotto proprio per il Premio in occasione dei riconoscimenti a Marini e alla Scuola di Musica Popolare romana), il secondo, “Sulle tracce di Alan Lomax in Monferrato (1954-2024)”, di Flavio Giacchero e Luca Percivalle, che ripropone la ricerca dell’etnomusicologo texano in Monferrato. Dell’epocale ricerca si è parlato anche nell’incontro con Anna Lomax Wood, ospite speciale, insignita del Premio Loano-Fondazione De Mari 2024, per il suo lavoro di restituzione dei materiali alle comunità in qualità di co-fondatrice della Association for Cultural Equity. Insieme alla figlia dello studioso americano è intervenuto Sergio Bonanzinga, accademico siciliano in rappresentanza del Centro Studi Alan Lomax, punto di riferimento per tutti gli studiosi che in diverse aree lavorano sui materiali fissati su nastro negli anni 1954-55. Esemplare la disanima di Bonanzinga che ha fatto rivivere il viaggio di conoscenza di Alan Lomax in Italia e del suo maestro Diego Carpitella (di cui quest’anno si ricorda il centenario della nascita) iniziato proprio nell’estate di settant’anni fa, contestualizzandolo e sottolineandone il portato scientifico e culturale. Difatti, l’indagine sul campo dello studioso texano segna un passaggio epocale. Non solo perché decisivo per lo sviluppo di un’etnomusicologia nel nostro Paese, ma pure perché rivelatore per primo, a livello nazionale, dell’esistenza viva di un’altra musica, di una corposa varietà di pratiche musicali orali che si disvelavano agli occhi e alle orecchie dell’Americano e che finivano fissate su nastro in una sorta di incantamento. Nel
tracciare a tutto tondo il portato della ricerca di quello che si autodefinì “Advocate of Folk”, non è stato dimenticato l’interesse che si è manifestato negli ultimi decenni per le registrazioni realizzate da Lomax nelle diverse regioni d’Italia, per le immagini che riportano alla mente la fotografia sociale e documentaria statunitense post depressione degli anni ’20, con la contestualizzazione dei soggetti (sulla scia di Gianni Bosio), con il ritorno nei luoghi lomaxiani, da Nord a Sud, da parte di ricercatori, musicisti, cultori e curatori locali. Solo per fare qualche nome: pensiamo a Laura Parodi in Liguria, a Gian Paolo Borghi nell’Appennino tosco-emiliano, a Luigi Chiriatti e, più recentemente, a Massimiliano Morabito in Salento, a Luigi D’Agnese, Antonio Cardillo e Francesco Cardinale in Irpinia, a Franco Castelli e i già citati autori della ricerca in Monferrato. Del dettaglio dei concerti proposti si parlerà più avanti nell’intervento di Giorgio Zito; qui mi limiterò a ricordare il compatto repertorio bal folk del trio ligure Ponente Folk Legacy, la formidabile forza vocale, la maestria e la versatilità interpretativa di un mattatore come Mario Incudine, la sincerità e le innovazioni neo-trad di Hiram Salsano (Premio Giovani con “Bucolica”) e del polistrumentista Catello Gargiulo, il folk blues dal tratto surreale di un irrefrenabile Peppe Voltarelli (Premio assoluto con “La Grande corsa verso Lupionòpolis”), in una serata in cui – lo dico con bonaria ironia – non si è vista quella che nel mondo anglofono chiamano la “Folk Police”: il fronte di critici puristi pronti a dispensare formule prescrittive su cosa sia tradizione! Qualche parola voglio spenderla per “Venticinquemila miglia” (la distanza percorsa riportata dal contachilometri del furgone Volkswagen alla fine del viaggio in Italia), la produzione speciale dedicata a un altro anniversario: i 70 anni dal viaggio nella Penisola di Lomax dal direttore artistico Jacopo Tomatis e da chi scrive queste note. Un viaggio nella
memoria e nella contemporaneità, perché i musicisti chiamati sul palco di Piazza Italia hanno portato la propria cifra artistica, cimentandosi con temi tradizionali tra quelli fissati da Lomax (o riproposti in successive raccolte da lui curate, come è stato nel caso della Sardegna, non toccata nei due anni di campagna di registrazione). Si è trattato in una certa misura di amici del Premio, di artisti quasi tutti premiati nelle edizioni passate, che hanno proposto in un incredibile viaggio musicale, intraprendendo collaborazioni, pure estemporanee, incrociando voci, strumenti e repertori: è quello che ci si augurava e che ha dettato certe scelte artistiche. Consentitemi di dirlo: un profluvio di emozioni. E allora grazie di cuore a tutti quanti hanno curato l’organizzazione e la riuscita tecnica e sonica della serata live e un enorme riconoscimento ai protagonisti in scena: Compagnia Sacco di Ceriana, Trouveur Valdotèn, Roberto Tombesi, Stefano “Ciuma” Del Vecchio, Adele Del Vecchio (giovane violinista e grande scoperta), Riccardo Tesi, Maurizio Geri, Elena Ledda, Giuseppe Moffa, Andrea Piccioni, Gabriella Aiello, Alessandro D’Alessandro, Rachele Andrioli, Nando Citarella, Peppe Voltarelli, Mario Incudine, Antonio Vasta e Sergio Bonanzinga.
Live in Loano: la cronaca della ventesima edizione
Quella appena conclusa è stata un’edizione importante per il Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale Italiana, che ha festeggiato i suoi vent’anni con tre giorni ricchi di musica e incontri. La rassegna, intitolata “Ventidifolk”, è iniziata subito nel migliore dei modi la sera di mercoledì 24 con Mario Incudine. L’artista di Enna ha dato prova delle sue notevoli doti non solo di musicista e cantante – passando dal repertorio tradizionale siciliano alle sue composizioni originali, da una divertentissima versione in siciliano di “Bocca di rosa” al bellissimo omaggio a Domenico Modugno con “Lu Pisci Spada”, che viene chiamato a eseguire di nuovo nel bis – ma anche di attore (bellissima la sua interpretazione del “Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali” di Ignazio Buttitta), tenendo inchiodato alle sedie il numeroso pubblico fino alla fine del concerto. Mentre sul lungomare il musicista siculo regalava a turisti e appassionati un’immersione profonda nella cultura siciliana, in una piazza del centro storico i
Ponente Folk Legacy attiravano un nutritissimo pubblico desideroso di ballare con repertori tradizionali e in stile, coinvolgendo anche turisti italiani e stranieri in una grande e bellissima festa popolare. La seconda serata, sul palco principale di Piazza Italia, è riservata alla consegna dei premi “Miglior Album 2023” e “Loano Giovani”. Se Peppe Voltarelli, premiato per l’album “La grande corsa verso Lupionòpolis”, con la sua verve e l’innata simpatia ha gioco facile a conquistare un pubblico che in buona parte già lo conosce, passando da momenti più leggeri (“Mozza”, “Quanto è bella sta città”) ad altri più profondi (“Gli Anarchici”, versione in italiano dell’omonimo brano di Leo Ferré), per chiudere con la travolgente “Onda Calabra”, chi ha sorpreso davvero tutti è stata la bravissima Hiram Salsano, all’esordio con il suo album “Bucolica”. Un lavoro in cui la cantante dà nuova vita a canti popolari del passato, che ha punti di riferimento nelle danze e nei canti di area cilentana e dei Monti Lattari con propaggini verso la Lucania, unendo i suoni elettronici del campionatore a quelli tradizionali (ma anche effettati) di Catello Gargiulo
(fisarmonica, marranzano, flauto armonico e tamburello), e che nella resa live risulta ancora più interessante. Una bellissima voce che coglie in pieno il senso del Premio Loano, cioè “raccontare il folk come laboratorio permanente sulla musica popolare, supportando la produzione contemporanea di nuova musica di radice italiana”. Impegno che il Premio Loano persegue da vent’anni e che ha deciso di celebrare con una grande festa nella serata finale, uno spettacolo ideato e prodotto appositamente, cogliendo la coincidenza di una doppia ricorrenza: oltre al ventennale del premio, infatti, si celebrano anche i settant’anni dal viaggio in Italia di Alan Lomax alla scoperta delle musiche tradizionali del nostro paese. Un viaggio durato un anno e “Venticinquemila miglia”, titolo della serata che ha visto sul palco una nutritissima schiera di musicisti e cantanti che nel corso degli anni hanno frequentato il premio Loano, riuniti per ripercorrere, almeno in parte, il viaggio di Lomax. Partendo dalla Liguria della storica Compagnia Sacco di Ceriana, dove la tradizione vocale – che aveva tanto impressionato lo studioso
statunitense – prevede la presenza di bassi di bordone (a creare un basso continuo) che accompagna i solisti: una seconda voce baritono e una prima voce tenorile. L’insieme di questi diversi timbri vocali determina l’illusione di della presenza di un’ulteriore voce più delicata. Nel loro set hanno eseguito, tra l’altro, una splendida “'A Pinota” e “Donna Lombarda”. Si è puntato verso la Valle D’Aosta e l’astigiano con i Trouveur Valdotèn Senior (Alexandre Boniface e Liliane Bertolo), interpreti di “Hirondelle Lègère”, “Sylvie o Ma Sylvie” e “Maria Giuana”. Superando l’arco alpino ci si è spinti verso la laguna veneta e la dorsale appenninica con l’affascinante canto per solo voce e fisarmonica “E Mi Mene So’ Nadao” dell’organettista Roberto Tombesi, che poi ha interpretato il “Canto dei Battipali” con le voci e le percussioni di Andrea Piccioni, Stefano “Ciuma” Del Vecchio, Maurizio Geri e Alexandre Boniface. E poi la Romagna di “Ciuma” e della sua figliola violinista Adele (“Alla Boara/ Monferrina”). Verso la Toscana con la toccante “Ballata del carbonaro” di Riccardo Tesi & Maurizio Geri, “Poveri contadini” e una
ninnananna eseguita con Elena Ledda. Proprio la voce della Sardegna si è presa il palco da sola per regalarci “Anninias” “Duru Duru” e “Mutos”. Si è passati per Abruzzo e Lazio e via via sempre più a sud nel Salento con la magnifica Rachele Andrioli che canta “Fimmine Fimmene”, “Questa mattina mi sono alzato” e “Pizzica”, la Campania (“Pampanella” e Tammurriata a Sentimento”) cantate da Nando Citarella fino alla Sicilia del ritrovato Mario Incudine in trio con Antonio Vasta e Sergio Bonanzinga (esecutori tra un canto di carrittieri, un’aria per zampogna di Maletto, “tarantelle modicane” e un estratto del “cunto di Orlando e Rinaldo”). Gli artisti si sono alternati in un vortice di musiche tradizionali, molto spesso trovandosi a suonare insieme, creando formazioni estemporanee in cui suoni e tradizioni si incontrano. Succede con il quartetto del Centro Italia creato da Alessandro D’Alessandro, Giuseppe Moffa, Gabriella Aiello e Andrea Piccioni (che hanno proposto “Scura Maje”, “Duniell”, una ninnananna e un saltarello), con Peppe Voltarelli, che dopo aver eseguito in solo il canto alla “Bagnarota”, omaggia
anche Otello Profazio in “Mastru Pettinaru”, pure registrata da Lomax. Qui si ritrova in combutta con le chitarre di Spedino Moffa e Maurizio Geri che confluiscono in una tarantella dalle sfumature messicane. Ancora, l’incontro delle voci e delle tammorre di Citarella e Andrioli (“Carpinese”) fino all’esplosivo finale quando tutti i musicisti salgono sul palco per una trascinante extended version di “Pizzicargia”. Sono forse i momenti più belli della serata conclusiva del Premio Loano, che anche quest’anno non è stato solo ricco di musica ma anche di incontri al Giardino del Principe, per approfondire la conoscenza dei lavori di Voltarelli e Salsano, e soprattutto per ascoltare la vicenda del viaggio di Alan Lomax e Diego Carpitella in Italia, raccontato da Sergio Bonanzinga e da Anna Lomax Wood, presente a Loano per ricevere il Premio Loano Fondazione De Mari, consegnatole sul palco nella trionfale serata finale.
Giorgio Zito
Foto di Martin Cervelli
Video di Giorgio Zito
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