“Culla e Tempesta”, il nuovo album di Faraualla, il settimo, corona tre decenni di attività musicale capace di approfondire ed espandere gli orizzonti del canto a cappella e del suo dialogo con le percussioni. Le radici di Gabriella e Maristella Schiavone, Loredana Savino e Teresa Vallarella sono nella musica antica, ma la loro ricerca vocale, soprattutto polifonica, rende unico questo gruppo di voci e percussioni, con Pippo D’Ambrosio e Michele Marulli. Partite da metà scaletta e ascoltate il brano che da il titolo all’album: è palpabile la miscela di passione e maestria con cui affrontano la ricerca sul suono, sulla voce come strumento in grado di materializzare diverse ecologie acustiche, di dar corpo alle onde che cullano, così come alle stesse onde quando scatenano la tempesta. Ne abbiamo parlato con Gabriella Schiavone, autrice di buona parte dei brani e degli arrangiamenti.
Il vostro nome rimanda ad un andamento carsico: cosa distingue e cosa lega il vostro approccio alla polifonia rispetto al contesto italiano?
Ci siamo conosciute tanti anni fa nel coro dell’Università di Bari, un’amicizia cominciata condividendo la musica di Palestrina, De Victoria, Marenzio, Monteverdi, Gesualdo, un’incredibile esperienza che ci è rimasta dentro. La passione per lo studio del canto e della polifonia ci ha incuriosite spingendoci verso altre possibilità espressive. E così, dopo aver frequentato un laboratorio sui canti e la polifonia tradizionale nel mondo, in tempi in cui non esisteva ancora internet e trovare fonti era complicato, è cominciata una ricerca che ci ha portato alla scoperta di nuovi suoni e combinazioni vocali. Tutto questo materiale lo elaboravamo, ascoltando, riproducendo e improvvisando, sempre, in una pratica continua e appassionata. Questo entusiasmo, la curiosità, libera e sempre viva, non è mai venuta meno e credo che si scorga in tutta la nostra produzione. Gli incontri straordinari con grandi artisti, che da giovani avevamo studiato e con cui poi abbiamo avuto l’onore di condividere i palchi, non sono stati casuali ma guidati dalla condivisione di questo modo di vivere la musica.
"Culla e tempesta" insieme: qual è il vostro rapporto col mare, con quello della Puglia in particolare, e come innerva i vostri brani? In che modi questo tema ha sollecitato la dimensione politica dei contenuti dei brani?
Chi nasce in una città di mare ha un legame fortissimo con questo elemento, difficile da spiegare. Il mare può accoglierti in un abbraccio quando è calmo e distruggerti quando è in tempesta e lo si ama sempre. Sulla copertina del disco scriviamo: “Culla e Tempesta è il Mare. È la natura maltrattata dall’uomo e mai arrendevole. E i Bambini, vere vittime di questi tempi oscuri, che soffrono senza capirne il perché, ma che inesorabili cercano la gioia di vivere, anche loro sono Culla e Tempesta”. È questa la nostra dedica, 14 brani che parlano di poesia e violenza, divertimento e sacrificio, guerra e resistenza, favole e dura realtà. "Culla e Tempesta".
Qual è la genesi delle composizioni originali e come avete scelto e arrangiato i testi e/o le musiche scritte da altri?
Alcuni di questi sono nati per spettacoli teatrali, “L’Uomo Seme” di e con Sonia Bergamasco, “Sagra de mari” con Anna Garofalo e Rocco Chiumarulo, “Impurissima Foemina” con Ars Ludi, altri da collaborazioni con grandi musicisti, come Mohsen Namjoo, altri ancora dalle letture o anche da un puro divertimento. Il punto di partenza di ogni composizione è una suggestione, un’immagine, un sentimento, descritti attraverso l’immediatezza espressiva della voce. Per quel che riguarda le cover, “In Fondo al Mar”, il brano tratto da “La Sirenetta”, nasce da una collaborazione con l’amico Luca Iavarone di “Ciaopeople”, una parodia che denuncia l’inquinamento marino. L’ “Inno alla Desolata” è un bellissimo canto processionale, per banda e coro femminile a unisono, della Settimana Santa a Canosa, in provincia di Bari. “Hell Broke Luce” è il modo geniale di un genio come Tom Waits di denunciare le brutture della guerra. La “Gasolina”, la benzina che spinge all’erotismo di Daddy Yankee, diventa per noi la provolina, che a Bari è la mozzarella, altrettanto motore di erotismo. “Bella Ciao” è per tutti.
Come si è articolata la vostra esplorazione linguistica e ad intersecare generi vocali diversi: in che modo l’uso dell’italiano, del dialetto, dell’inglese, del francese, o di lingue inventate e sillabe sonore apre il ventaglio sonoro e collaborativo a vostra disposizione?
Il gioco delle sillabe o di parole che sembrano dire qualcosa, che evocano sentimenti senza essere chiare nella definizione è un gioco molto stimolante musicalmente che ci portiamo dietro dagli inizi e che non ci ha mai abbandonato. La novità è il francese e l’inglese. L’inglese in particolare è stata una scommessa, dovendo sposare un suono tutto mediterraneo con una lingua così straniera. La ricerca continua.
Quando decidete di inserire la parte percussiva?
Il progetto Faraualla nasce per voci e percussioni e non ha mai abbandonato questa idea. Come scrive Michele Dall’Ongaro: “La voce e le percussioni sono fossili viventi, sono corpo e suono allo stato primordiale eppure continuamente rinnovati”. Come non essere affascinati dalle possibilità creative di questi strumenti?
Nella parte finale, due brani vengono da “I fiori del male” di Baudelaire: in che modo dialogano col resto dell’album?
Durante la produzione de “L’Uomo Seme”, con Sonia Bergamasco c’era un dialogo continuo su testi e stimoli sonori. Uno di questi testi era “Elevation” di Charles Baudelaire, su cui costruimmo questa musica che ora è nel disco.
L’anno prossimo festeggiate trent'anni di attività e ne sono passati oltre venti dalla vostra prima uscita discografica: quale lettura date di questi archi temporali? Quali aspettative sono state soddisfatte e cosa vi ha maggiormente sorpreso?
L’aspettativa più grande era quella di riuscire a girare con la nostra musica, con quello che più ci appassionava. E solo grazie alla musica ci siamo trovati a condividere i palchi con giganti come Mango, Peppe Barra, Sonia Bergamasco, Maria Pia De Vito, Lucilla Galeazzi, Mohsen Namjoo e tanti altri. Quello che ci sorprende ogni giorno è scoprire cori dall’altra parte del mondo che utilizzano le nostre musiche o danzatori che vi costruiscono coreografie.
Cosa bolle in pentola ora? Dove vi potremo ascoltare dal vivo?
Le prime date subito dopo l’uscita del disco sono state in Sudafrica e lì abbiamo presentato per la prima volta sul palco il nuovo repertorio; e poi in giro per l’Italia e, finalmente, anche a casa nostra: a Bari in Jazz a Bietto, il 10 Luglio.
Faraualla – Culla e Tempesta (Zero Nove Nove, 2024)
Sono passati undici anni dal loro ultimo lavoro discografico dedicato alle formule di guarigione della medicina popolare pugliese, “Ogni Male Fore”.Il nuovo album veicola bellezza e intensità fin dalla foto di copertina, con la linea dell’orizzonte a separare mare e cielo e la volta, non celeste, ma grigia, dove si incontrano banchi di nubi scure e nubi chiare, disegnando un contrasto che sovrasta lo specchio appena increspato della marina da cui emergono, o forse si stanno immergendo, all’unisono le quattro cantanti: i loro orecchi sono in ascolto e quasi sul pelo dell’acqua. Questa attenzione per la materialità degli elementi naturali e per le loro dinamiche ben riflette l’attenzione riposta dal gruppo nell’esplorare la voce nelle sue dimensioni antecedenti il farsi parola e canto. E la capacità di trarre linfa e ispirazione dal territorio in cui vivono e dai contrasti che abitano il mare, “Culla e tempesta”. Un’acqua, dunque, non idealizzata, ma fonte di infiniti spunti per interrogare i rapporti che intratteniamo con lei e con i nostri simili, per cogliere, al tempo stesso, opportunità estetiche e capacità di narrare le ingiustizie di cui siamo imbevuti. Ed ecco, per esempio, “Bella Ciao” (già proposta quattro anni fa a cappella in epoca di distanziamento sociale) e, fra le composizioni firmate da Gabriella Schiavone, l’originale “miserere” in crescendo “Non una di meno”: rimanda dritta all’omonimo movimento transfemminista e al racconto della violenza subita da donne processate e giudicate, brano teatrale messo a punto con il trio di percussionisti Ars Ludi e impreziosito dagli interventi di percussione corporea del trio formato da Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi e Gianluca Ruggeri. Il Mar Mediterraneo diviene protagonista rileggendo Stefano Benni che rilegge Omero con lo spettacolo “Sagra di Mari”, testimoniato nell’album dal brano che gli da il titolo, “Culla e Tempesta”, e da “Canto delle Sirene” con l’ostinato “non puoi amare senza annegare” declamato su un contrappunto vocale: con Benni Faraualla condivide il gusto di inventare linguaggi immaginari e di giocare con le lingue locali, si tratti di porti o delle tolde delle navi. Poi, nella parte finale dell’album, la dimensione teatrale lascia spazio, in solitudine, a Sonia Bergamasco che recita “Élévation” di Charles Baudelaire, omaggio al nuotatore come metafora della capacità di attraversamenti e innalzamenti spirituali. La prima delle quattordici tracce, “Un Due Tre Amen!”, è un’energetica sintesi dei registri artistici intrecciati lungo l’intero l’album: si comincia, con suoni ritmici vocali intersecati a quelli della batteria e del timpano di Pippo D’Ambrosio e Michele Marulli, decostruendo “I musicanti di Brema” con tre minuti e mezzo a pieni polmoni, attingendo da onomatopee, forme dialettali, creando strofe nuove, decostruendo la trama della fiaba mettendone in primo piano le azioni degli animali protagonisti in una sorta di serrata chiamata e risposta fra voci e percussioni, salvo un dolente inserto di mezzo minuto in latino per voci sole che magistralmente arresta e fa ripartire il vortice ritmico-vocale. La dimensione plurilingue sarà arricchita nel finale da un francese molto musicale con la breve e eterea “Nell’estasi dell’onda”. Con l’incalzante “Libera” ritorna la felice combinazione del poter ascoltare un nuovo “inno” popolare che lascia spazio anche all’improvvisazione, anche se i brani sono chiaramente scritti e arrangiati in funzione di precise geometrie ritmiche che attraversano tutto l’album e fanno proprio qualsiasi genere, compreso il ragamuffin di Daddy Yankee. L’abbinamento fra lingua italiana e ritmi caraibici è riservato alla musica spensierata (di Alan Menken) dal film Disney “La Sirenetta”, qui abbinata all’amaro testo sull’inquinamento “In fondo al mar” impreziosito dal beatbox e dal rap dialettale di Pietro Esposito. L’attenzione per i drammi contemporanei irrompe anche con l’uso dell’inglese in “Hell Broke Luce”, il brano di Tom Waits contro la guerra: il nuovo, efficace arrangiamento lo rende giocoso in apertura, come se l’attività bellica fosse un gioco di bambini, per trasformarlo poi in tragedia con tanto di ostinati e coro di tragedia greca. L’intero album è dedicato proprio ai bambini. E al nostro rapporto con loro e con la Natura.
Alessio Surian