Cartografie del maqām oltre i confini nazionali, Giovanni De Zorzi illustra il progetto di ricerca “Maqām Beyond Nation”

“Sublimi musiche d’una vasta area culturale”: così Jean During, luminare degli studi musicologici di area iranica e centro asiatica, si riferisce a quell’insieme di pratiche musicali ascrivibili al maqām, sistema modale, di cui si rintraccia una comune genesi, una fluida interconnessione pur nella diversificazione attuata da processi storici e la trasformazione in repertori fissi sopraggiunta nel corso del XX secolo per opera dei nazionalismi. Il progetto di ricerca “Maqām Beyond Nation” coinvolge un gruppo accademico internazionale che si prefigge di indagare i mutamenti delle idee musicali che rendono permeabili i confini geografici e i modelli nazionalisti. Articolato in sei filoni di ricerca interconnessi che hanno sede in diverse zone di contatto nel mondo del maqām, il progetto fornirà una profilazione, una “cartografia delle musiche d’arte” (ancora During) che riconosca storiche e contemporanee relazioni transfrontaliere, che apra lo sguardo sul ruolo della musica e delle sue rappresentazioni nei processi migratori, sui revival musicali e, naturalmente, sulle nuove istanze creative. Fra queste, verranno presentate al pubblico, nel corso del progetto, pratiche di composizione, arrangiamento e esecuzione. Un primo appuntamento vedrà protagonista a Venezia il 25 settembre un quintetto guidato da un altro membro dell’équipe di ricerca,
Saeid Kordmafi, maestro del santūr e musicologo specializzato in Medio Oriente dell’Università londinese SOAS, che ha composto una suite con brani che prendono in prestito materiali ritmici, compositivi e modali da tradizioni vicine nell’ambito del maqām. Abbiamo raggiunto a Istanbul, dove è impegnato nel lavoro di ricerca, il componente italiano dell’équipe, Giovanni De Zorzi, nome ben noto ai lettori di questo magazine. Docente di Etnomusicologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa da lungo tempo di musica classica e sufi di area ottomano-turca, iranica e centroasiatica. Tra le sue pubblicazioni, tutte caldamente consigliate, qui ricordiamo “Musiche di Turchia” e “Maqām. Percorsi tra le musiche d’arte in area mediorientale e centroasiatica”, “Introduzione alle musiche del mondo islamico” e “Samā‘. L’ascolto e il concerto spirituale nella tradizione sufi”.  Come musicista ha una densa attività concertistica (suona il flauto ney della tradizione ottomano turca nell’Ensemble Marâghî) e cura la direzione artistica di numerosi programmi musicali. È una delle menti del progetto Bîrûn, diretto da Kudsi Erguner, che coinvolge l’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati (IISMC) della Fondazione Cini e il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali di Ca’ Foscari. Dal 2018 è Nominator per gli Aga Khan Music Awards, i premi attribuiti a musicisti emergenti dall’Aga Khan Development Network. 

Il vostro progetto ERC/UKRI si intitola ‘maqām beyond Nation’. Il termine maqām definisce un insieme di pratiche musicali dall’origine comune, ma declinate diversamente nel corso di processi storici, dal Nord Africa all’Asia centrale: ne vuoi parlare?
Sì, il termine definisce soprattutto le “musiche d’arte” del vasto mondo islamico che vengono comunemente definite usando il termine arabo maqām (pronunciato mugham nell’accezione persiana,
azera e armena; makam nel turco moderno; maqom in area centroasiatica; muqam nell’attuale Xinjiang). A prescindere dalle sue pronunce locali, il maqām viene definito dai musicologici come un “sistema modale”, uno dei tanti sorti sul pianeta (come quello bizantino, gregoriano-medioevale, gregoriano-rinascimentale, cinese, indiano, giavanese, eccetera) che si basano tutti sul criterio comune della Modalità, assolutamente diverso da quello, più recente, della Tonalità, divenuto di riferimento nel mondo europeo agli inizi del XVIII e ora imperante sul pianeta. Come un armadio con i suoi cassetti, un qualsiasi sistema modale contiene in sé singoli e specifici modi musicali: nel maqām, ad esempio, avremo singoli e specifici modi come rast, segāh, nawā, husayni, usshaq eccetera; in un altro sistema modale, com’è quello della musica d’arte indiana detto rāga, avremo altrettanti singoli e specifici modi musicali come rāga bhairavi, oppure malkauns, kalyan, khamaj eccetera. Gli esempi potrebbero continuare per altri sistemi modali, ma penso che il concetto sia chiaro. Come dicevi, le tradizioni del maqām risuonano in uno spazio molto ampio che va dall’Andalusia e dal Maghreb sino alla Cina occidentale e condividono caratteristiche comuni, come la storia, le teorie, le forme, i generi, gli strumenti, i nomi dei modi o dei cicli ritmici: tutto questo fa supporre una radice unica, però ogni tradizione presenta poi caratteri specifici che la distinguono dalle altre. Quanto ai motivi della loro vasta spazializzazione, va ricordato che l’Islam ebbe una rapidissima diffusione che dal VII secolo lo portò a espandersi su di un’area vastissima che, nel tempo, venne poi uniformandosi seguendo analoghi principi amministrativi, politici, burocratici, religiosi e culturali in centri anche molto distanti tra loro quali furono, per la musica d’arte, Damasco, Baghdad, Cordoba, Granada, Herat, Costantinopoli, Bukhara, Samarcanda, le sei città oasi (altıshahr) sui bordi del deserto Taklamakan, Aleppo e il Cairo, nei quali era attivo il circolo di un determinato maestro o la corte dove era patrocinata una data attività. Si formò, così, una rete di centri culturali distribuiti su di un’area molto vasta. Se i centri erano distanti tra loro, il retroterra culturale di riferimento era però condiviso e accomunava artisti, scienziati e letterati che si
esprimevano in arabo e in persiano riferendosi, anche in musica, a testi e maestri comuni. Nei secoli maqām sostituì gradualmente alcuni termini preesistenti, sui quali non mi soffermo, ma va almeno ricordato come nel mondo arabo occidentale, per indicare un dato modo musicale, si usi il termine tab‘ (“natura, carattere”), molto spesso al plurale tubū‘, a designare l’intero sistema dei modi musicali. Tra i musicisti d’area mediorientale, infine, per designare un modo musicale si usa spesso il termine colloquiale naghm (“melodia”, al plurale anghām).

Centralità del progetto è il superamento di nazionalismi culturali, che hanno avviluppato queste musiche?
Sembrerà strano, ma la questione è ancor oggi di stretta attualità. Dopo la caduta degli imperi e la nascita delle moderne “nazioni”, un singolo poeta, un singolo compositore oppure un singolo genere musicale diveniva “iraniano”, oppure “turco”, oppure “azero”, oppure “uzbeco” (eccetera) senza tener conto che quando quell’autore operava, o quando quel genere musicale si formava, non esistevano affatto le nazioni. Pochi giorni fa ero a un convegno qui a Istanbul e veniva detto che il principe moldavo Dimitri Cantemir (1673-1723), attivo alla corte ottomana, è stato un autore della “musica classica turca” (türk klasik muziği). Mah. Anche in Occidente ci sono state simili correnti di pensiero, soprattutto negli anni 1920/40, ma oggi è abbastanza buffo pensare che Dante o Claudio Monteverdi siano solo “italiani”, anche perché all’epoca l’Italia non esisteva ancora. Mi sembra che ormai si sia andati oltre e che si ritenga comunemente che un certo autore, o un certo genere, siano semplicemente patrimonio dell’umanità.

Quali sono i partner coinvolti e gli studiosi del gruppo di ricerca?
Il progetto ha vinto un ERC Horizon divenuto, dopo la Brexit, UKRI (UK Research and Innovation) International. Le università partner sono fondamentalmente due: la University of London, School of Oriental and African Studies (SOAS) e l’Università Ca’ Foscari di Venezia, Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali (DFBC). Il gruppo di lavoro è composto da Rachel Harris, Principal Investigator (University of London, SOAS); Giovanni De Zorzi (Università di Venezia, Ca’ Foscari); Polina Dessiatnitchenko (Waseda University, Tokyo); Saeid Kordmafi (University of London, SOAS); Mukaddas Mijit (Université Libre de Bruxelles) con Aziz Isa Elkun (Independent scholar) e con l’apporto prezioso di Rosa Vercoe, per Londra, e di Silvia Bellacicco e dello staff del DFBC per Venezia, che ci permettono di affrontare il vero e proprio percorso ad ostacoli previsto dalle leggi e dalla burocrazia. Su questo punto è meglio tacere.

Quindi, per la natura organizzativa e finanziaria del progetto non ci sono università delle aree di ricerca?
Le università partner sono solo queste due, siamo quindi in un ambito strettamente Unione Europea e Regno Unito. Però ognuno di noi ha da decenni rapporti con studiosi, università e Conservatori delle aree di ricerca. E va notata la provenienza dei componenti del gruppo di studio, tranne forse chi parla e Rachel Harris. Quali saranno gli ambiti di ricerca?
Ovviamente le musiche d’arte del mondo islamico e le loro commistioni di là dalle nazioni e dei nazionalismi, le loro radici comuni e i frutti diversi che hanno dato, insieme al loro sorprendente stato di salute. Non posso che rinviare al sito che racconta in dettaglio il progetto e i suoi sei filoni principali, ed esiste poi anche un canale YouTube.

Quali modelli di indagine?
Per quanto mi riguarda, sto facendo una tipica ricerca sul campo (fieldwork), cercando di raccogliere il maggior numero di dati possibili, soprattutto attraverso interviste e registrazioni audio e video a giovani musicisti e dervisci, che integro con osservazioni personali. Le tradizioni del maqām hanno un passato millenario che traspare e affiora nell’attimo presente, nei momenti più inaspettati, e spero di essere abbastanza attento per coglierli.

Un aspetto significativo è il fatto che i ricercatori coinvolti siano anche musicisti: cosa comporterà?
Forse una diversa capacità di dialogo con i soggetti incontrati. È quella che gli antropologi chiamano “osservazione partecipante”: suonare e studiare strumenti e arti tradizionali, praticare canto, danza, poesia sono tutti mezzi per avvicinarsi più direttamente a una data cultura e ai suoi esponenti. Nel caso di Saeid Kordmafi le sue ricerche musicologiche hanno portato alla nascita di brani composti usando creativamente modi e cicli ritmici incontrati nei suoi studi tra Egitto (penso soprattutto alla sua collaborazione con il geniale solista di ‘ūd e musicologo Mustafa Said), Iran e Asia Centrale.

Il progetto si articolerà in diversi steps?
Ricerca sul campo, innanzitutto, che porterà poi alla realizzazione di concerti tra Venezia e Londra con gli artisti incontrati. In seguito, ci sarà la partecipazione del gruppo a convegni e scrittura di singoli articoli che saranno pubblicati in un volume collettivo. Non so ancora dire come verrà utilizzato il materiale audio e video raccolto.

Il progetto prevede concerti e attività di disseminazione?
Numerosi e sempre affiancati da masterclass e incontri con gli studenti. Purtroppo, il bacino a cui si rivolgono cambia molto tra Venezia e Londra, capitale, questa, nella quale vivono moltissimi solisti di maqām, con il loro pubblico, e nella quale è normale che all’università si faccia anche musica suonata, oltre che musica “parlata”. In Italia la separazione tra Università e Conservatori è ancora attiva. Un caso che fa ben sperare è l’arrivo all’Università di Napoli L’Orientale di un intero Gamelan indonesiano, e la formazione di un ensemble di studenti diretti da Daniele Zappatore, con il coordinamento di Salvatore Morra.

Sappiamo che ci saranno esibizioni in Italia. Qualche anticipazione?
Il 25 settembre 2024 si terrà a Venezia, all’Auditorium Santa Margherita Emanuele Severino, il primo 
concerto della serie, affidato all’ensemble persiano/iraniano Nasim-e Tarab diretto da Saeid Kordmafi, al santūr, con Mehdi Emami alla voce e al tamburo a cornice dāyereh, Siamak Jahangiri al flauto ney, Saeid Nayebmohammadi al liuto ‘ūd, Hamid Ghanbari al tamburo a calice tombak, che proporrà un programma di brani tradizionali e composti ex-novo dallo stesso Kordmafi. Il 20 Novembre 2024, in Fondazione Giorgio Cini, si terrà un secondo concerto, affidato questa volta all’Ensemble Bezmârâ diretto da Fikret Karakaya, all’arpa çeng, con Ihsan Özer, cetra percossa santūr, Kemal Caba, viella ad arco rebab, Serap Cağlayan, cetra pizzicata kanūn, Furkan Resuloğlu, liuto a manico lungo kopuz, Ahmed Şahin, flauto ney, Bekir Şahin Baloğlu, liuti ‘ūd e şahrūd, Kamil Bilgin, tamburo a cornice zilli def. Il programma, che sto definendo qui a Istanbul con il maestro Karakaya, è dedicato alle composizioni dei musicisti persiani (acemler, acemī, acemiyūn) documentate da vari autori ottomani (Bobowski, Cantemir e Kevserī) tra XVII e XVIII secolo. Nel febbraio 2026 è previsto un terzo concerto dedicato alla musica d’arte centroasiatica (shash maqom) che si terrà a Venezia in Fondazione Cini, mentre a maggio 2027 è previsto un quarto concerto di musica d’arte
d’Azerbaijan (mugham) che si terrà sempre in Fondazione Cini. A lato dei concerti per “Maqām beyond Nation” sta nascendo un concerto speciale, previsto per l’autunno 2025, interamente organizzato da Ca’ Foscari e dedicato alle culture musicali dei paesi toccati da Marco Polo, in occasione del suo settecentesimo anniversario, ma è davvero troppo presto per parlarne. Per la realizzazione pratica di tutti i concerti è fondamentale l’azione di Fondazione Ca’ Foscari. E va notata la difficoltà costituita dai visti, che ostacolano ancor oggi il libero spostamento dei musicisti invitati e che farebbe pensare a un vero e  proprio: “Visa beyond Nation”.

Che esiti sono attesi?
Chi può dirlo? In Occidente il progetto potrebbe contribuire ad un allargamento complessivo della sensibilità collettiva, che porti a realizzare come la musica classica, d’arte, non sia solo occidentale. In Oriente potrebbe portare ad una maggiore consapevolezza della transnazionalità del maqām. Vedremo, intanto procediamo…

Sirojiddin Juraev, “Melody from Muhammadjon Mo’minov ‘Zulf’ ”, SOAS University Londra, 18 marzo 2024


Ciro De Rosa e Alessio Surian

Foto di Giovanni De Zorzi ©

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1 Verso il Serraglio
2 Fikret Karakaya seleziona i brani per Venezia
3 Fikret Karakaya all'arpa çeng
4 Muhammed Ceylan (ney) e Hasan Kiriş (tanbûr)
5 Gizem Nur Copçuoğlu
6 Musica all'atelier Ney Nevâ: in centro, al tamburo a cornice, il titolare, costruttore di ney (neyyapım), Rifat Varol
7 Da sinistra a destra: Ahmet Altınkaynak (ney), Cağlar Fidan (voce), Erhan Bayram (kemençe), Nikos Papageorgiou (tanbûr)
8 Da sinistra a destra: Rıdvan Aydınlı, Muhammed Enes Üstün, Burak Malçok, Hüseyin Avni Özaydın, Bekir Şahin Baloğlu, Enes Durceylan
9 Giovanni De Zorzi çay Üsküdar vaporu 06.07.2024

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