Sedici musicisti, in una foresta, sotto lo sguardo di un Buddha alto oltre cinquanta metri: può accadere solo in Buthan ed è qui che Ian Brennan e Marilena Umuhoza Delli hanno registrato e fotografato gli undici brani confluiti nel nuovo album distribuito da Glitterbeat Records, preannunciato nella recente pubblicazione “Missing Music”. Non è un Paese qualsiasi: è la nazione più alta della Terra ed è stato il primo Paese a raggiungere la neutralità climatica, immettendo nell’atmosfera solo la quantità di gas a effetto serra assorbibile dalla natura, cioè dal suolo e dalle foreste che coprono la maggior parte del suo territorio; in Bhutan la legge obbliga a mantenerne boschivo almeno il 60%; fra i suoi quasi 800.000 abitanti è raro che vengano commessi crimini, tantomeno violenti, coerentemente con quanto recitano i versi del brano al centro della scaletta di quest’album: “Our Good Deeds Will Lead to a Better Life for the Next Generation”. L’origine della musica Zhungdra del Bhutan risale all’inizio del XVII secolo. Il nome viene dall’unione delle parole “zhung” (centrale) e “dra” (musica), cioè un genere che si è sviluppato nel cuore della regione Ngalop, nelle valli centrali, Thimphu e Punakha, attingendo dal repertorio popolare, piuttosto che dalla musica di corte tibetana, come nel caso delle musiche Bödra. I versi sono spesso ispirati a osservazioni e insegnamenti buddisti. In ambito discografico ne aveva offerto un assaggio Jigme Drukpa nell’album “Endless Songs from Bhutan” dove canta “Lhodrak Marpai Zhab”. La lingua in cui sono stati composti i versi deriva dal sanscrito e oggi risulta incomprensibile per la maggioranza dei bhutanesi. Inoltre, cantare Zhungdra richiede allenamento: chi ha doti vocali, ma non pratica questa musica, in genere trova difficoltoso cantare Zhungdra e riuscire a produrre i complessi abbellimenti intorno alla melodia principale, di per sé relativamente lineare. Queste difficoltà ne hanno progressivamente ridotto la popolarità rispetto, per esempio, al Rigsar, il veloce pop bhutanese a base di sintetizzatori. I brani Zhungdra sono caratterizzati da note vocali tenute, a produrre tessiture complesse, mentre l’accompagnamento strumentale di queste melodie è volentieri molto essenziale. Per queste registrazioni in cui oltre la metà dei brani sono intorno ai sei minuti, gli strumenti che si ascoltano in parte delle canzoni sono il flauto di legno (in “Homesick for My Village”) e il violino a 2 corde, suonate con l’archetto, chiwang, suonati qui da Yeshi Zangmo in “I Was Unhappy in My Marriage” e “Even If You Remember the Home You Left, You Must Remember Where You Are”; il liuto a 3 corde doppie drumnyen, suonato sia da Yeshi Zangmo, sia da Kinley Dorji, entrambi uomini (in “Please Help Me Clear the Obstacles in This Life”, “The Sun Has Emerged from the Clouds”, “Passing Thanks Down Through Generations” e “Passing Thanks Down Through Generations”); il salterio yangchen, con cui la cantante Lemo accompagna la propria voce in “Turning Inauspicious Days Good”. Verso la fine di questa traccia, ascoltiamo come il suono prodotto dai martelletti sulle corde dello yangchen sembri sollecitare gli uccelli che si rivelano attenti ascoltatori e rispondono a modo loro. Le cantanti coinvolte nell’album hanno fra i 27 e i 61 anni e danno vita a diversi contesti corali: in duo, trio, quartetto o in formazioni più numerose, attente a dare spazio a ogni voce e anche alla danza. Solo nel caso del canto di un'anziana nessuna ha saputo unire la propria voce alla sua: si tratta di un brano così raro che nessuna non l'aveva mai ascoltato prima.
Ricorda Ian Brennan che “il primo giorno la pioggia ci ha costretto a ripararci in uno studio di registrazione locale. Siamo finiti segregati in una stanza anonima, priva di finestre, inanimata quanto a sonorità. Eravamo passati dai pini blu d'alta quota a pareti ricoperte di schiuma di chiara d'uovo e luci fluorescenti, semplicemente per la necessità di avere un tetto sopra la testa. Avevamo attraversato mezzo mondo solo per finire proprio nel tipo di spazio che evito rigorosamente. Poi ci siamo sistemati nella foresta con quattordici cantanti in cima a una collina fuori dalla capitale, Thimphu, dove il Buddha seduto più grande del mondo fa la guardia, con la testa che sbuca dal profilo delle creste montagnose. L'intero album di debutto dei Bhutan Balladeers è stato registrato al 100% dal vivo senza sovraincisioni in una foresta. E quando ogni canzone è finita, i corvi sono apparsi in massa, facendosi sentite più forte per alcuni canti rispetto ad altie, come se stessero esprimendo un diverso apprezzamento per ciascuno dei brani”.
Alcune canzoni sono cantate interamente a cappella, in particolare i titoli in scaletta che suggeriscono un percorso che ricalca il ciclo di vita, cominciando con “The Day You Were Born” per terminare con “Farewell Song (I Hope We Meet Again)”, scandita dai battiti delle mani delle cantanti.
bhutanballadeers.bandcamp.com/album/your-face-is-like-the-moon-your-eyes-are-stars
Alessio Surian
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