Ali Doğan Gönültaş – Keyeyȋ (Mapamundi Musica, 2024)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Originario di Kiğı, tra le montagne dell’Anatolia orientale, di famiglia curda alevita, Ali Doğan Gönültaş è un nome che si è affacciato su queste pagine in occasione della pubblicazione del suo eccellente album d’esordio, “Kiğı”, disco autoprodotto ben accolto dalla critica, al quale sono seguiti numerosi concerti europei. Quello di Ali Doğan Gönültaş sarà anche uno degli showcase in programma al WOMEX 24 di Manchester il prossimo ottobre. “Keyeyi” significa “Case” in lingua zazakȋ, l’idioma nativo del musicista per il quale la casa non è uno spazio fisico, ma è una metafora che racchiude differenti stati d’animo, e che, soprattutto, mette al centro il senso di appartenenza, la memoria, il ricordare, riportare alla mente. Il fatto è che i suoi studi accademici lo spingono a riservare grande attenzione alla ricerca e all’analisi delle fonti, ma non solo, perché il musicista di “Kiğı” è abile nel rielaborare il suo mondo culturale in un linguaggio musicale accessibile e fortemente comunicativo. Le otto tracce di questo secondo album sono divise in due parti, come era già avvenuto per il lavoro con il gruppo Ze Tijê. La prima sezione è “Şemugê”, soglia in lingua zazakȋ, quella soglia da varcare quando si entra in una casa, chiedendo prima il consenso dello spirito del luogo, secondo le credenze popolari. Incontriamo, qui, canti nella lingua madre e in kirdaski. La seconda, “Annelerin Sofralari” (in turco significa “le tavolate delle madri”), contiene nefes turche e canti aleviti che riportano alla mente proprio i momenti conviviali organizzati dalla madre e dalle sue amiche, tavole imbandite in case diverse: le sue “madri” accomunate dal senso di comunità, di emozione per la condivisione di parole, tradizioni e musica. È questo il contesto in cui Ali è venuto a contatto con la spiritualità, i canti e la poetica alevita. Il libretto è accompagnato da note che spiegano sinteticamente i
brani e ne ricordano le fonti. Con due codici qr è possibile accedere ad altri materiali: un video documentario sull’album, disponibile su Youtube e intitolato in turco “Eve Giden Yol” (La strada di casa), diretto da Deniz Tepe , e un booklet più ampio. Diciamo subito che i riscontri non si sono fatti attendere: “Keyeyȋ” ha scalato i vertici della Transglobal World Music Chart, raggiungendo la prima posizione nel mese di luglio, si è piazzato al numero uno anche della Balkan World Music Chart estiva, buona anche la collocazione nella World Music Charts Europe. In contemporanea alla registrazione audio dell’album è stato girato un video del lavoro, con cui Ali ha inteso cogliere lo spirito, l’anima del momento restituendola con tutta l’intensità dell’esecuzione in presa diretta all’ascoltatore. Gönültaş canta accompagnandosi in maniera minimale al tembur, dando enfasi alla voce e alle corde del liuto a manico lungo a corde metalliche, strumento legato alle pagine più classiche della musica curda alevita. Scava in un canzoniere che attraversa il tempo, testimone e portatore di emozioni e sentimenti, momenti felici e dolorosi. Porge i canti con un timbro di cui si apprezzano le varie sfumature, fortemente espressivo, avvolgente e ipnotico, lirico ma anche declamatorio nello stile dei cantori tradizionali e dei poeti orali vaganti. Motivi che emozionano fin dalla prima traccia, “Hespȋ Degdȋ”, la cui fonte è Mayrig Ğazanciyan, un’armena costretta all’esilio per via dei massacri perpetrati sul finire del XIX secolo, registrata nel 1986 in una casa di riposo di Fresno, California, da Bedros Alahaydoyan. Nella canzone, attestata nella regione di Kharpert, si consiglia al protagonista, Degdȋ, di fuggire dal nemico rifugiandosi sulle montagne. Per Ali il tema possiede un significato profondo, poiché il canto è stato raccolto proprio da una donna morta lontano dalle sue montagne. È una sorta di lamento “Abaso”, testo in kirdaski e musica di anonimo, dove si segue la tragica sorte di un giovane mandato a combattere in Corea nel 1952 con le truppe turche a sostegno degli Stati Uniti. In apertura, a parlare è lo stesso Abas (Brucia, Corea!/ Oh, mamma! Quando ero nell'unità americana,/ quando sono salito sul traghetto per Smirne…/ La mia fortuna cieca non era ancora lontana), poi è una donna dalla cui voce apprendiamo che lui ha inviato tante lettere ma non a lei
che avrebbe portato in petto (La lettera di Abas è arrivata./ Ha salutato i vicini. /Non ha salutato me./ Se l’avesse fatto, l'avrei presa e avvolta nel mio petto). Infine Abas riprendendo la parola per dire della sua fine mentre era alla guida di un camion. Dalla sua nativa Kiğı” “Dotmamê”, canto conosciuto da Ali fin da giovanissimo, racconta della relazione tra due cugini dal punto di vista dell’uomo. Il primo capitolo del disco termina con “Warway” (A piedi nudi), una canzone composta da Gönültaş in zazakȋ sulle politiche assimilazioniste che hanno condotto alla crisi della lingua e della memoria, e già nel repertorio dei Ze Tijê. Indietro nel tempo, al XVII secolo, per “Nedendir”, un canto in turco su liriche di Aşik Emrah sull’angoscia derivante dall’incapacità di avvicinarsi veramente a Dio. Ancora un tema alevita nella successiva “Bin Derdim Var Idi”, in cui le sofferenze del mondo sono il viatico per raggiungere Dio. “Ak Meleğim” di Aşik Metin Dede (1926/30-2006) porta all’attenzione il significato della vita, che può essere trovato nella morte di un altro essere umano. Secondo la canzone la vita in questo mondo non è l’unica realtà: il tempo è fugace e la realtà inizia dopo la morte. Infine, un canto dall’Anatolia il cui testo è ancora di Aşik Emrah. Si tratta di una composizione del genere conosciuto come methiye (lode) tra gli Alevi, sull’amore senza limiti. Dimensione interiore e sociale albergano in questo eccellente lavoro: non ci sono dubbi sul fatto che Ali Doğan Gönültaş si conferma consapevole cantore, che si adopera per trasmettere memoria e bellezza della musica del suo popolo. www.alidogangonultas.com 




Ciro De Rosa

Posta un commento

Nuova Vecchia