Il mio primo incontro con Giovanna Marini risale agli anni Ottanta, quando studiavo canto alla Scuola Popolare di Musica del Testaccio, nella vecchia sede di Via Monte dei Cocci. Lì mi sono formata, facevo tutt’altro genere rispetto alla musica popolare, studiavo jazz ma cantavo in formazioni rock… Quando andavo a lezione passavo sempre davanti all’aula 9 dove Giovanna teneva le sue lezioni e sentivo questi canti che, al mio orecchio, sembravano strani e di dubbia intonazione. Però quei canti mi attiravano, mi incuriosivano, c'era qualcosa di ancestralmente familiare. Un giorno ebbi il coraggio di entrare in quell'aula e da lì non sono più uscita. C’era questa donna meravigliosa di cui sentivo tanto parlare a scuola ma che non avevo mai incontrato fino a quel momento.
Sembrava che con le sue mani “desse i numeri”, una sorta di "morra" e tutti cantavano. Creava così, per tradizione orale e non scritta, polifonie straordinarie, solo con l’uso delle sue mani, dando intervalli e creando armonie. Questo metodo di insegnamento l’ho ereditato da lei anch’io.
Poi c'erano canti e soprattutto le storie legate ad essi! Giovanna diceva sempre: " Cercavo la musica ma ha trovato le persone" ed era esattamente così, dietro ad ogni canto c’era un aneddoto molto spesso divertente, che riguardava la sua scoperta attraverso le persone che lo avevano cantato. La cosa che mi ha sempre affascinato era questo suo modo di mettere insieme la musica e la vita quotidiana delle persone che la cantavano e il risultato era il "rito del quotidiano". Ho un altro ricordo bellissimo che conservo gelosamente ed è racchiuso in una foto che ci scattò Mauro Palmas in Sardegna.
Mi trovavo a Selargius per un concerto con Mauro e proprio lì vicino c'era Giovanna che stava tenendo un piccolo stage per i ragazzi che studiavano alla scuola civica con Luca Nulchis. Decidemmo subito di raggiungerla per un saluto. Mentre eravamo lì in disparte ad ascoltare, Giovanna mi chiamò e mi disse:“oh Gabriellina che fai qua? Dai! vieni mettiti vicino a me che facciamo sentire a questi ragazzi un po' di canti”. Forse era la prima volta che cantavo da sola con lei . Così ci mettemmo a cantare passando da un canto a stesa all'altro. Mentre eseguivamo vicine, testa a testa “La Passione di Diamante”, sentivo tutte le microvarianti che lei con voce leggera faceva ereditandole da un sapere antico di anni di ascolto e spingeva anche me a farne altre: eravamo totalmente dentro al canto! L’insegnamento più grande di Giovanna è stato proprio questo stare dentro al canto e alla sua storia e questo "rispetto" è la cosa più grande che Giovanna mi ha insegnato.
Gabriella Aiello
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