Un seme del lavoro di Giovanna in ognuno di noi…

C’è un seme del lavoro di Giovanna in ognuno di noi, o almeno in tutti quelli che hanno avuto la fortuna d’incontrarla. Far parte del Quartetto Vocale Giovanna Marini per ventiquattro anni, è stata un'esperienza incredibile, straordinaria. Ho partecipato a tutte le sue produzioni e tournées dal 1990 fino al 2014, quando abbiamo deciso, senza fare grandi annunci, di chiuderne l’attività. 
È importante comprendere quando è venuto il momento per uscire di scena e quel momento era giusto per diversi motivi. Non c'era più la frequenza degli spettacoli degli inizi. Giovanna era coinvolta in molti progetti e anche noi eravamo impegnate in altre attività, di conseguenza il processo di apprendimento delle sue cantate, che richiedeva quattro, cinque mesi di lavoro, era diventato più difficile da realizzare. Quel livello, quella qualità, quella potenza in scena che il Quartetto guidato da Giovanna esprimeva, se non nutrito rischiava di diventare un'imitazione di sé stesso. 
La preparazione che precedeva ogni nuova produzione è stata sempre molto meticolosa, dovevamo studiare e memorizzare mediamente due ore di musica. Giovanna scriveva partiture complesse, i suoi studi classici la portavano a prediligere una scrittura contrappuntistica, ma la sua musica era anche influenzata dai compositori del Novecento, il risultato era una scrittura moderna, trasparente, incisiva, con una grande attenzione al testo, alla narrazione cantata, a questa integrava elaborazioni di brani di musica tradizionale riscritte per Quartetto; era affascinata soprattutto dai suoni delle voci popolari, che lei considerava essere l'avanguardia. 
Negli anni Ottanta, avevo lavorato molto con alcuni compositori di musica contemporanea della scuola romana, i quali avevano un controllo assoluto, quasi maniacale sulla partitura, per cui dovevi restituire esattamente quello che era scritto. Con Giovanna era completamente diverso: lei scriveva la partitura della Cantata, poi, dopo mesi di lavoro, di memorizzazione e di prove, nel momento in cui la Cantata andava in scena, la partitura si modificava. Passata, attraverso lo strumento vocale del Quartetto, cambiava; persino le note, oltre all’espressione, alle dinamiche e ai tempi. 
Si inserivano elementi di improvvisazione che lei non aveva previsto nella scrittura, ma che sollecitava, amava molto sperimentare con le voci. Per questo, alla fine della tournée Giovanna riscriveva la partitura. Un aspetto che mi ha sempre colpito era questo non affezionarsi ad una sola versione delle sue composizioni.   
La Cantata Profana, per fare un esempio, è stata “attraversata” da due quartetti. Giovanna l’aveva scritta per le voci di Sylvia Valentina Vadimova (la figlia di Giovanna), Patrizia Nasini, Lucilla Galeazzi e naturalmente per la sua. Quando poi Sylvia ha deciso di seguire la sua carriera di cantante lirica, sono subentrata io e quando Lucilla, quasi contemporaneamente, ha lasciato il quartetto è arrivata Francesca Breschi. La prima partitura della Cantata Profana, nel momento in cui io e Francesca abbiamo iniziato a cantarla, si è modificata ulteriormente. Questo per Giovanna era normale, l’essere sempre in quello stato di sperimentazione con la sua musica, era una cosa che le piaceva molto. Amava che le sue composizioni colte, diventassero un’opera orale. Proprio quell’oralità portava la sua musica ad essere compresa anche da parte di un pubblico non specialistico, cosa che, molto spesso, alla musica contemporanea non riesce.
Essendo una donna di spettacolo, una cantastorie, aveva la grande capacità di costruire la drammaturgia di ogni Cantata, alternando brani di grandissimo effetto, che colpivano il pubblico, a racconti ironici seguiti da madrigali con dissonanze ardite. Il messaggio era completamente intellegibile. 
Nella mia attività di ricerca e interpretazione di alcuni repertori della musica medievale come l ’Ars nova italiana ho cercato di applicare il suo metodo.  I madrigali melismatici o le ballate, nel momento in cui vengono eseguiti a memoria passano attraverso quel processo dell’oralità che ne restituisce il senso e permette al pubblico di apprezzarli. Questa è stata una grandissima lezione. Io non mi rendevo conto di quanto questo 
bagno nella tradizione orale, fosse innovativo e lo è anche per la musica classica. Fino a che restiamo attaccati alla partitura, non liberiamo completamente la musica. 
Giovanna questo l'aveva capito tantissimi anni fa e ce l’ha trasmesso, come ci ha insegnato che non si può portare in scena un brano di musica tradizionale, facendo semplicemente l’imitazione dei cantori, trasferendolo su un palcoscenico spogliato della sua ritualità originale. Si deve apprenderne la tecnica, capirne le caratteristiche per poi restituire il tutto sotto una forma nuova, dandogli un’altra funzione, magari esagerandone i suoni, le altezze, i timbri, il ritmo. Questo ha fatto sì che ognuna di noi ha dovuto sviluppare una solida tecnica vocale che ci permettesse di avere un colore popolare, un suono largo, aperto e potente, senza perdere la voce dopo due giorni. Durante i tour cantavamo due ore ogni sera, tutti i giorni, per settimane, non ce lo potevamo
permettere.
Il suono del Quartetto era impressionante, alternavamo costantemente brani di scrittura con intonazione “ben temperata”, a pezzi che si muovevano, come diceva Giovanna, su scale scelte. 
La scrittura di Giovanna usava una tessitura molto estesa sia nei gravi che negli acuti, passavamo da un registro all’altro usando colori molto diversi, voce classica, jazz, gutturale, di petto. Quest’alternanza continua tra le diverse vocalità richiedeva una preparazione “atletica”, che noi, per fortuna, cantando durante l'anno per lunghi periodi insieme, avevamo acquisito. 
Verso la fine di una tournée, non scaldavamo neanche più la voce, giocavamo a carte nel foyer fino a 10 minuti prima di salire in scena, ridendo e scherzando tra di noi. Le più grandi risate della mia vita le ho fatte in viaggio con Giovanna e le signore.
Entravamo in scena e uscivamo dopo due ore, appagate, felici e con il pubblico in delirio. È stata un'esperienza eccezionale, unica e indimenticabile e non potrò mai ringraziare abbastanza Giovanna per quanto ho imparato da lei e dalle mie compagne di viaggio. 
Ricordo sempre di aver pensato al Quartetto come un corpo solo con quattro teste, una sorta di Idra: nella mitologia greco romana la testa centrale dell’idra era immortale.
Quel seme che Giovanna ha messo in ognuno di noi la rende immortale.

Patrizia Bovi

1 Commenti

  1. Grazie per questo diario intimo. Giovanna non riuscì mai a farsi considerare compositrice contemporanea nonostante tanti progetti. E l accompagnò il peso del Cacciatore Gaetano...

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