Amaro Freitas – Y’Y (Psychic Hotline, 2024)

Si fa presto a dire Brasile. Nel perimetro di questo “continente” il pianista Amaro Freitas ha viaggiato quasi cinquemila chilometri verso l’interno, dalla sua Recife, sull’Oceano Atlantico, per raggiungere Manaus e la foresta amazzonica. Qui è nato il suo quarto album, un lavoro capace di reinventare l’ascolto degli strumenti a tastiera a partire da due mulinelli. Il primo è l’acqua, chiamata “y’y” in lingua Sateré Mawé dove significa anche fiume; proprio verso gli infiniti modi di fluire del fiume e alle molteplici percussività delle onde e delle gocce ci conducono i suoni di questo lavoro. Il secondo è Juvenal de Holanda “Naná” Vasconcelos, lo straordinario percussionista che a Recife era nato nel 1944 e cui la sua città ha dedicato l’anno scorso una bellissima ed enorme pittura murale intitolata "Naná Vasconcelos, Sinfonia e Batuques", dipinta da Micaela Almeida su un’intera facciata di un grattacielo, l’Edifício Guiomar, nella Rua Princesa Isabel, zona Boa Vista. “Viva Naná” è il terzo dei nove brani, sorta di ecologia acustica che fa da fulcro a tutto ciò che le sta attorno, in ascolto di foglie, scimmie, uccelli e dei flauti e delle voci che sanno imitarli e dialogarci. Quando le corde e le percussioni entrano in gioco, ogni distinzione fra composizione e improvvisazione salta ed è un piacere ascoltare e raccogliere l’invito al viaggio. La sensazione è quella di una comunione fra gli “strumenti” musicali e la musica della foresta, in presa diretta; ma, in realtà, il processo di produzione ha richiesto maggiore elaborazione e ha visto i musicisti registrare nello studio Carranca di Recife e al Maxine di Milano, oltre a due puntate a Los Angeles e Brooklyn per arrivare a coinvolgere altri cinque complici: Jeff Parker (alla chitarra in “Mar de Cirandeiras”), Brandee Younger (all’arpa in “Gloriosa”) e il trio Hamid Drake e Aniel Someillan (alla batteria e al basso) e Shabaka Hutchings al flauto in “Encantados”, l’energetico brano di chiusura in quartetto, reminiscente dell’impareggiabile interplay dell’album precedente, “Sankofa”. È un lamellofono ad aprire le danze e il dialogo con il piano nel breve brano introduttivo “Mapinguari (Encantado da Mata)” che esplorare paesaggi sonori amazzonici, intersecando shaker e piatti con il frusciare delle foglie, quasi un prologo all’incontro con la “madre acqua” “Uiara (Encantada da Água) – Vida e Cura” in cui il piano si fa strada materializzando lo scorrere ed il rincorrersi delle acque. È questo il preludio all’intreccio fra percussioni e quotidiofoni di “Viva Naná”, l’enzima da cui si sviluppano le variazioni ritmiche e la maestria sul piano preparato di “Dança dos Martelos”, otto minuti e mezzo di musica in continua transizione, capace di evocare, soprattutto con i bassi sollecitati dalla mano sinistra, anche la tempesta e le aggressioni che oggi subisce la foresta. Un ciclo si è compiuto e ci pensano nuovamente le lamelle metalliche sollecitate dalle dita a richiamare un momento di quiete e di “Sonho Ancestral”, con il pianoforte a rincorrere e far volare le poliritmie evocate dalla kalimba. Un attimo di silenzio e il flauto di Shabaka Hutchings comincia a raccontare “Y’Y” comunicandone spessore e fluidità, sostenuto da bordoni vocali e percussivi che vanno a comporre un unico corpo sonoro, una narrazione capace di rallentare ed accelerare come se intuisse le aspettative di chi ascolta. Jeff Parker contribuisce alla successiva oasi di onde e pace “Mar de Cirandeiras”, ispirata da una danza popolare circolare che accoglie a braccia aperte la chitarra. La magia continua e accentua la dimensione melodica nel dialogo fra il piano acustico e l’arpa di Brandee Younger. Sarebbe stato un finale troppo consolatorio: e allora, fuoco nuovamente alle polveri con “Encantados”. 

  

 Alessio Surian

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