Mauro Sigura – Dunia (S’ard Music/Egea Music, 2023)

Con la Sardegna come terra d’elezione e l’iconico oud come strumento principale è alto il rischio che si ricorra ad abusate e astoriche immagini di arcaicità e di stati estatici. Diversamente, occorre superare un frasario scontato per parlare di Mauro Sigura, torinese di nascita ma di residenza oristanese, contemporaneo perlustratore di mondi sonori, che guarda al jazz nordeuropeo e al rock dalle tinte psichedeliche tanto quanto ai sistemi modali mediorientali. Prima di lanciarsi con entusiasmo tra le corde del bouzouki (modello greco a quattro cori di corde doppie) e del liuto (un modello turco a undici corde, con accordatura araba), Sigura si è formato come chitarrista passando per il blues, il rock e il jazz. Discograficamente, ci aveva dato nel 2020 “The Colour of identity”, tre anni dopo “TerraVetro”. È ora la volta di “Dunia”, che esce per S’ard Music sotto la regia dell’attenta mente sonica di Michele Palmas (partecipe anche degli arrangiamenti di alcune tracce) ed è portatore di non pochi cambiamenti. Anzitutto, la scelta di affidarsi a una diversa palette timbrica di matrice elettro-acustica, schierando tre quotatissimi musicisti dalla grande bontà tecnica: la chitarra elettrica di Marcello Peghin e la sezione ritmica portata dal basso elettrico di Pierpaolo Ranieri e dalla batteria di Evita Polidoro. Dunque, un quartetto di anime musicali diverse rispetto agli affiatati complici dei primi due album. Lasciamo la parola a Mauro Sigura: “Ho pensato di provare a lavorare con un sound differente, più elettrico. Ho voluto esplorare un suono dove la parte armonica fosse sostenuta da una chitarra con ambienti molto eterei, ma al tempo stesso con una forte componente ritmica. In sostanza, ho cercato di far dialogare il sound e la cultura di due strumenti come bouzouki e oud con un panorama sonoro più vicino alla fusion. Si tratta certo di un nuovo corso, ma non tanto alternativo quanto, piuttosto, parallelo al precedente”. Intanto, prende subito la bellezza delle foto di Sara Deidda, che rendono elegante il libretto del formato fisico dell’album e ben si adattano alla figura “sospesa” di questo musicista, per il quale viaggiare significa andare oltre il sé, misurarsi con un “altrove”, mentale o fisico. Se, pertanto, si avverte la volontà di Sigura di svincolarsi da barriere stilistiche, si coglie, allo stesso tempo, una continuità con i lavori precedenti, perché predilige un lavoro di squadra per mettere in comunicazione i differenti background dei quattro protagonisti. Spiega ancora il musicista, nelle note di presentazione dell’album, che con il suo suono intende perseguire un “dialogo costante tra Particolare e Universale, provando a mettere insieme gusti e percorsi differenti tra loro, melodie chiare ed incisive immerse in un contesto sonoro che rimanda ad un secondo piano più profondo, solo apparentemente si trova sullo sfondo”. Insomma, è un equilibrio instabile di chi non ricerca rigidità, piuttosto si fregia di far confluire interplay e fraseggio jazzistico, avvolgenti scorrevolezze fusion, modi del patrimonio arabo-ottomano e acide vampate rock pinkfloydiane. Quale il motore compositivo di Mauro Sigura? “Ho diversi approcci alla composizione: a volte parto dal basso, a volte da un tema di oud e in due occasioni (“Dunia e “La Danza di Amarech”) sono partito dal ritmo. Solitamente registro un’idea, che magari rimane ferma per qualche mese, successivamente, provo a svilupparla, dandole una struttura e creando delle modulazioni armoniche, ma la finalità è quella di non far perdere mai efficacia all' elemento principale melodico o ritmico. Cerco di costruire un concetto melodico semplice su di un piano ritmico complesso. Alcuni brani nascono da un concetto antecedente la composizione stessa, in un ordine di questo tipo: concetto-musica-rielaborazione del concetto in base alla suggestione musicale. Oppure il titolo può nascere anche, semplicemente, da una suggestione musicale senza alcun preconcetto. Dunque, tendenzialmente le composizioni sono in rapporto con la fisionomia della composizione”. La scaletta, composta da nove brani, è aperta da “I labirinti del silenzio” in cui è il bouzouki a dettare il colore di una composizione dal ritmo irregolare che “vuole esprimere in musica l’instabilità e l’ansia emotiva, un vagare frenetico senza una meta sensata”, rimarca Mauro. In “Caretta Caretta”, l’oud prende il largo; Sigura spiega che il brano “nasce da una cadenza ritmica che vuole richiamare la suggestione del passo di una testuggine”. I quattro strumentisti si trovano, si ascoltano, si lasciano spazio solistico e costruiscono a volte guidando a volte seguendo. Paesaggi in continua trasformazione nella superlativa “La danza di Amarech”, evocazione di incontri etiopici, dove si sviluppa un dialogo emozionale tra oud e chitarra elettrica. Tre sono le composizioni che segnano più profondamente il senso del lavoro, chiosa il musicista: “Dunia, “Caretta Caretta” e “The Cat in the Garden”. “Il tema dell’album è legato al concetto Mondo-Terra (è il significato di Dunia), che viene utilizzato spesso come sinonimo di vita, lì dove – per esempio in molte culture dell’Africa – il mondo è visto come qualcosa di vivo. Un concetto animista in cui gli elementi naturali sono mossi da un istinto superiore naturale che finalizza ogni singolo movimento dei suoi elementi (animali e vegetali) verso un senso superiore onnicomprensivo. Dunia è la Madre, la Natura che vive in noi e in ciò che ci spinge ad agire. Quando perdiamo il senso delle nostre azioni, quando cioè non comprendiamo che ogni singola azione è parte di un movimento più grande, allora vaghiamo senza una meta reale come in un labirinto silenzioso. Tuttavia possiamo riconoscere qualcosa di simile nelle cose e negli esseri del mondo attraverso l'istinto che muove i loro e i nostri movimenti: ad esempio in una testuggine o in un gatto osservato in giardino. Infine, “Dunia” è donna e ha carattere eterno. Un’idea che trova compiutezza nella presenza della voce-strumento di Elena Ledda, preziosa ospite proprio nel brano che dà il titolo all’album. Si impone la cantabilità del bouzouki in “L’ultima alba”, che ci porta verso Levante, mentre l’imprevedibilità del movimento di un felino di “The Cat in the Garden” si rappresenta “attraverso una progressione armonica insolita”, racconta ancora Sigura. Ci sono lirismo ma anche aperture sognanti in “Song for Marina”, mentre si generano aspre sequenze di chitarra elettrica in “Transumanza”, che segue le suggestioni di “un andare che si ripete sempre uguale nei secoli sospeso nel tempo”. Sorprendente, infine, “Red Titan”, motivo firmato da Peghin – il cui titolo fa riferimento al nome del delay dal cui uso è scaturito il brano –, che parte con un’intro pensosa per poi illuminarsi, producendo incisivi, taglienti squarci rock. Un lavoro che sa mantenere costantemente alto il livello di espressione musicale. 


Ciro De Rosa

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