Mauro Sigura Quartet – The Colour Identity (S'ard/Egea, 2016)

“The Colour Identity” è il disco di un quartetto strumentale, aperto e chiuso, tuttavia, da due brani cantati intensamente suggestivi in cui spiccano due ugole pregiate: ne “Il canto di Maddalena”, l’oristanese Marta Loddo (peraltro, autrice anche delle belle foto dell’artwork) poggia la sua voce sull’elettronica di Gianfranco Fedele, sviluppando un tema melodico costruito su una scala greco-ottomana, mentre nella struggente, tormentata composizione conclusiva, “Madri di Damasco” – che evoca la tremenda attualità della guerra siriana – svetta la magnifica vocalità di Rosie Wiederkehr, già con gli Agricantus. In mezzo, sette composizioni strumentali (solo in una ritorna, a tratti, la voce di Loddo) dalle coordinate sonore volutamente mobili, che si snodano tra profili jazzistici, privi di asperità e rarefatti, di ispirazione nordeuropea, stilizzazioni di modi mediorientali, ritmi dell’Africa subsahariana. Il leader del quartetto è Mauro Sigura, torinese, sardo d’elezione da poco più di dieci anni, chitarrista e plettrista, folgorato dal principe degli strumenti del mondo arabo, di cui è diventato studioso e praticante. Anch’egli con Agricantus, poi in forza all’Orchestra di Porta Palazzo, accanto al chitarrista Lutte Berg e al trombettista Erik Truffaz, con il gruppo sardo Janas, senza farsi mancare lavori per il teatro e sonorizzazioni di reading di scrittori, tra cui Antonio Pascale, Savina Dolores Massa e la poetessa siriana Maram Al-Masri. Nel 2013 costituisce il Mauro Sigura Quartet con il già citato Gianfranco Fedele, pugliese trapiantato in Sardegna (piano ed elettronica e coautore con Sigura di brani di questo CD), e i giovani oristanesi Alessandro Cau (contrabbasso) e Tancredi Emmi (batteria); valore aggiunto nel suono del CD è dato dalla maestria di Michele Palmas alla cabina di regia fonica. L’”Identità di colori” del titolo evoca affinità di intenti, convergenza di visioni, pur nella molteplicità dei linguaggi. 
Sigura appare propenso a lavorare sul timbro dello strumento (nonché sull’uso di modi greco-mediorientali), piuttosto che a inseguire la tecnica dei virtuosi del ‘legno’ (tra i suoi ascolti, naturalmente capisaldi come Munir e Jamil Bashir, mi ha raccontato), benché il virtuosismo del tunisino Anouar Brahem o le esplorazioni sonore di Dhafer Youseff siano certamente nelle sue… corde. Mi dice: «Rispetto molto la tradizione classica dell'ʿūd, alla quale mi avvicino sempre in punta di piedi, ma non è il mio mondo e non sarei “vero” se cercassi di suonare solo in stile tradizionale. La mia idea è piuttosto quella di cercare uno stile personale che unisca il fraseggio jazzistico, quello tradizionale arabo-ottomano, ma anche quello più legato al rock-pop. Nel mio background c'è un po' di tutto questo, nel mio stile non mi sento di rinunciare a nulla. Non penso sia giusto soffocare la propria ricerca stilistica a vantaggio di uno studio rigido ed esclusivo della tradizione piuttosto che del fraseggio jazzistico. Il quartetto è un lavoro di squadra, che parte con un'idea e una direzione concettuale mia: l'idea dell'identità del diverso, appunto; poi alle mie concezioni melodiche o ritmiche si sovrappone il quartetto, dando forma all'indefinito e creando una nuova sintesi. Gli arrangiamenti dei brani nascono insieme, in studio. Poi nel disco sono presenti due brani a firma Gianfranco Fedele che perfettamente si sposavano con la concezione sonora del progetto». Scorrendo la scaletta c’è “Allagamenti”, dove le procedure collettive prendono il sopravvento in un brano di levigata declinazione jazz nord-europea costruito a partire da un ciclo ritmico-melodico mediorientale. 
Scritto a quattro mani con il pianista, nasce con ancora vivo il ricordo della tragedia dell'alluvione che causò diverse vittime nell'isola. Sulla sua genesi, sentiamo Sigura: «Forse un po' condizionati dall’atmosfera che si respirava in quei giorni, iniziammo a lavorare su una mia melodia, ma devo dire che fu Gianfranco a trovare l'arrangiamento giusto per il brano: introdusse una linea di basso il cui ritmo ci portava proprio lì, nel mezzo del fluire delle acque ma con un crescendo progressivo e impetuoso. Era tutto lì davanti ai nostri occhi, vedevamo la forma ma non sapevamo che nome avesse. Così, facemmo ascoltare il brano a una delle più importanti scrittrici sarde, Savina Dolores Massa, la quale, dopo aver ascoltato il brano, disse: “Allagamenti”. Per noi non ci furono dubbi». Invece “Mbour” (il nome di una città del Senegal) parte proprio da un ritmo locale per poi espandersi secondo armonizzazioni occidentali. Il lungo “Bruja” (scritto alla spagnola e non alla sarda – Bruxia – a testimoniare altri transiti, altri passaggi e incroci di culture) evoca nel titolo il mondo folklorico e magico-ancestrale sardo, “Terramare” richiama i paesaggi isolani, entrambi i brani portano la firma di Fedele e rappresentano le esperienze e le suggestioni della Sardegna vissute da parte di chi come Gianfranco da un altro luogo Mediterraneo, la Puglia, l’ha scelta per vivere. “Instabile” (con la sua irregolarità ritmica in 15/8) e “Ad Ovest di me” (in quest’ultimo il piano si fa particolarmente ammirare) portano la tensione tra diramazioni solistiche ed espressivo interplay del quartetto. 
Dei due brani, Sigura racconta: «”Instabile” è legato a tutta l'insicurezza e l'instabilità di questo mestiere che mi travolsero per alcuni giorni senza che io riuscissi a reagire. Dopo qualche tempo la tempesta passò e io mi ritrovai in una parentesi di quiete con il riff del brano in testa; da lì scrissi la melodia e poi portai l'dea in sala e con Alessandro, Gianfranco e Tancredi creammo la struttura e l'arrangiamento. Volevo che il brano esprimesse questo senso di precarietà, tensione continua, equilibrio instabile, appunto. Invece, “A ovest di me” è un brano scritto da me e arrangiato in quartetto. È un'idea di partenza, di speranza, guardare “a ovest di me” che sono nato a Torino è sempre stato un guardare le Alpi, e immaginare un oltre. Ora, in Sardegna è guardare il mare, ma questa volta è anche un togliere gli ormeggi e partire, non per fuggire ma per scoprire». Giunti a “Seven Chitzaz”, una delle punte del CD, si è al cospetto con il brano più significativo del progetto: è una composizione che fonde ancora i modi del maqâm con la fraseologia jazz. Il titolo si riferisce al tempo in 7/8: parte dalla stilizzazione di un modo hijaz per motivi di intonazione (mentre dal vivo – precisa Sigura - : «introduco sempre il brano con un taqsim sullo stesso maqam »). Poi nella seconda parte lo scenario cambia. Ancora il musicista: «Volevo che avesse una svolta forte, decisa, immediata e risolutiva in senso nord-europeo, con un ostinato ripetuto ipnotico che portasse l'ascoltatore in una dimensione sospesa. Le idee ritmiche di Alessandro e Tancredi, l'elemento poliritmico di Gianfranco e l'elettronica creano la ripetizione, mentre la voce di Marta Loddo àa la novità, traccia la via nuova da percorrere. L'idea della sospensione è qualcosa che mi ha sempre attratto musicalmente. Penso che se riesci a portare l'ascoltatore in una dimensione sospesa, ipnotica, forse è più facile fare passare delle idee, delle sensazioni». Disco raccomandato, opera di un quartetto abile nel piegare con plasticità le influenze e i molteplici echi, tratteggiando direzioni proprie. 



Ciro De Rosa

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