C’è molto trasporto nelle parole di Claudio Cavallo – mattatore indomito e cantore delle musiche salentine – nel descrivere, nel tempo contratto di un teaser, l’omaggio dei suoi Mascarimirì agli Ucci. C’è il trasporto di una passione che non si trascina nell’inerzia della forma della riproposta – nell’inerzia che si reitera nella rappresentazione afflosciata di un patrimonio che tutti potrebbero percepire come di tutti, dato il successo e la fortuna (anche internazionale) che lo ha investito da trent’anni a questa parte. Cavallo lo sa bene, però non si tira indietro e anima la scena della contemporaneità musicale salentina con la partecipazione profonda di un artista che non vuole nascondere niente. Si potrebbe dire che il trasporto viene proprio da qui: da questa posizione salda e cristallina, da questo affaccio naturale su un panorama che i salentini come lui hanno saputo (potuto, dovuto) dividere con molti di noi. L’efficacia della sua proposta, che in questo caso tira un filo con una tradizione vista da vicino (gli Ucci, la loro posizione totemica nello scintillio della più grande riproposta che la storia delle musiche popolari italiane abbia mai conosciuto), si nutre, in certo senso, proprio di questa vicinanza: lui stesso parla del suo rapporto normale, che è anche un approccio partecipante (normale anch’esso e anelato per chi di musica vuole e voleva occuparsi) con uno dei numi del Salento musicale. Non stupisce, quindi, che Cavallo, nel rappresentare il tributo dei Mascarimirì al clan Ucci, dia a noi un abbocco trasfigurato attraverso la sua esperienza diretta, personale: la normalità della loro attività (degli Ucci e, aggiungiamo noi, dei Mascarimirì) acquisisce un valore unico proprio nella nemesi con la loro riconosciuta straordinarietà che, allo stesso tempo, crea le condizioni per agganciare la curiosità ambiziosa dei giovani musicisti degli anni Novanta. Noi condividiamo a pieno. Perché conosciamo i Mascarimirì e Cavallo, perché riconosciamo il fremito che abbraccia da capo a piedi la sua narrazione e comprendiamo quanto sia gratificante riconnettere il cinquantenne musicista affermato e la sua matrice di ventenne ammaliato dalla scoperta. Allora potremmo dire che il punto di connessione più saldo con il repertorio degli Ucci – che in questo album sono omaggiati attraverso tredici tracce stupende – sia proprio quello della contemporaneità, della dimensione del presente. Cioè quello che si intravede non tanto nell’interpretazione, ma nella “posizione” che entrambi gli ensemble assumono nei confronti del repertorio e della storia che rappresentava e rappresenta oggi (insomma, dell’insieme di nodi espressivi che legano il nervo della musica popolare: della tradizione!). Cavallo trasforma ciò che risuona con passione partecipata: è a un passo (ne è pienamente consapevole e la sua distanza di sicurezza si materializza nello slogan internazionalista “Tradinnovazione from Salento”) da quella tradizione cristallizzata (contro il volere di tutti? nessuno sa più rispondere) nella più nobile e pragmatica epica della Magna Grecia e nel tonfo-trionfo irresistibile del tamburello salentino (il mare, il sole e il vento – scelleratamente impressi sulle pelli delle versioni turistiche di questo strumento – sono davvero dietro l’angolo. E bruciano, potendo arrivare a seccare anche gli animi più impenitenti). Gli Ucci – con quelle facce un po’ così – sono stati essi stessi delle trasfigurazioni delle immagini che andavano componendo un Salento paradossalmente a-storico e a-epico. Nella loro prospettiva, però, questa dimensione esatta e “presente” rifletteva la concreta contemporaneità della loro interpretazione musicale: solcata dalla fatica del lavoro (componente innegabile, insieme al ghigno distaccato e ai capelli indomabili, del fascino dell’ultimo Uccio) impressa nel volto e nelle mani e, in egual misura, sublimata dal piacere intenso di un’emancipazione tutta artistica, ancorché di svago e vagamente rituale. mascarimiri.bandcamp.com/album/mascarimiri-cantano-gli-ucci
Daniele Cestellini
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