Ninfa Giannuzzi e Valerio Daniele – Amartìa (desuonatori, 2023)

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Quello nato dall’incontro tra Ninfa Giannuzzi e Valerio Daniele è certamente uno dei progetti artistici più interessanti nati nella scena musicale salentina negli ultimi quindici anni, sia per la solida base culturale su cui poggia, sia per il loro approccio non convenzionale alla musica tradizionale legata alla Grecìa Salentina. Quando nel 2014 diedero alle stampe l’opera prima “Àspro”, nato in quella fucina creativa che è il collettivo desuonatori, apparve chiaro il loro desiderio di riappropriarsi della lingua grica per ricontestualizzarla attraverso la sperimentazione sonora contemporanea, ma soprattutto ci colpì la ricercatezza delle soluzioni timbriche e melodiche. A distanza di nove anni, li ritroviamo con “Amartìa”, album che prosegue il percorso tracciato nel precedente, approdando a composizioni originali in grico ed in parallelo presentano arrangiamenti ancor più ricercati che spaziano dalla musica contemporanea al rock, dalla noise al jazz per toccare eleganti e raffinate atmosfere acustiche. Abbiamo intervistato, i due musicisti salentini per approfondire insieme a loro questo nuovo disco.

Il percorso di riappropriazione della lingua grica e della tradizione orale della Grecìa Salentina che hai intrapreso da lungo tempo con Ninfa Giannuzzi prosegue con "Amartìa" che arriva a sette anni di distanza da "Àspro". Nel mezzo ci sono stati diversi progetti tuoi personali tra cui "Sine Corde". Come si è evoluto in questi anni il tuo approccio alla musica tradizionale salentina?
Valerio Daniele - L’idea di lavorare specificamente sul repertorio in Grico nacque da un desiderio e un bisogno di Ninfa. Ricordo bene che una decina d’anni fa discutemmo a lungo su quanto fosse urgente un’operazione del genere. Da lì il nostro primo album, “Àspro”, che fu un disco di riproposta dal suono prevalentemente acustico. Nel frattempo, il nostro modo di permeare la vita e la cultura della nostra terra è
cambiato. Sono cambiati i nostri ascolti e così anche i nostri percorsi di ricerca.
Devo essere sincero: personalmente mi sono allontanato molto dalla tradizione salentina in senso stretto e nel frattempo ho collaborato ad altri progetti e pubblicato altri dischi piuttosto lontani dal linguaggio world. 
In questo senso, per me “Amartìa” non rappresenta un ritorno alla tradizione ma un ulteriore passo in avanti e un nuovo pensiero di libertà.

Rispetto a "Àspro" che era caratterizzato principalmente da riletture di materiali tradizionali, questo nuovo disco vede invece la presenza di diverse composizioni inedite. Quali sono state le ispirazioni alla base dei nuovi brani? 
Ninfa Giannuzzi - Abbiamo sempre avuto l’ambizione di raccontare storie che potessero parlare di noi attraverso la composizione; l’ispirazione risponde principalmente al bisogno di essere noi stessi fino in fondo e di portare la nostra creatività in uno spazio libero dagli stereotipi della riproposta che ad un certo punto erano diventati una zona di comfort infruttuosa. 
Il grico è una lingua arcaica che i linguisti definiscono lingua morta. In un momento storico che ha la cattiva abitudine di nascondere le singolarità e ci spoglia da quel “ritmo meridiano” che normalmente ci caratterizza, questa lingua racconta la parte più celata di me utilizzando un vocabolario negato e profondo.  Ho sentito l’urgenza di parlare del mio essere presente in questo tempo e la mia lingua arcaica è una lingua che descrive perfettamente l’indole, la volontà e il torpore che possono attraversarci. 

Alla realizzazione del disco hanno partecipato Redi Hasa, Giorgio Distante, Shadi Fathi ed Emanuele Licci. Quanto è stato determinante il loro contributo?
Valerio Daniele -
Il loro contributo è stato assolutamente determinante. Questi quattro artisti condividono la caratteristica di essere unici per espressività e qualità sonora. Lavoriamo insieme da molti anni, in progetti dai linguaggi più disparati. 
Ma al di là di questo, Giorgio, Redi, Shadi ed Emanuele sono amici con cui condividiamo pezzi importantissimi della nostra vita, del nostro sentire quotidiano, ben oltre la musica. 
Grazie a loro il disco è cresciuto tantissimo.

In che misura i testi di Ninfa Giannuzzi hanno caratterizzato le tue scelte musicali?
Valerio Daniele - Leggo i testi di Ninfa come giostre fantasiose; scrive per immagini semplici, quasi pittoriche, dal sapore spesso surreale. Credo che questa affezione per il teatrino dell’assurdo ci accomuni profondamente.
Le sue parole, tuttavia, sottendono un radicamento fortissimo con i colori, le trame e i traumi della nostra cultura.
Molte delle mie scelte riflettono questa intenzione: mi piace illuminare i contrasti e giocare con gli ossimori, ma resto sempre attento alla costruzione di architetture semplici e minimali.

Valerio, come si è indirizzato il tuo lavoro nella costruzione del suono del disco?
Valerio Daniele - Non ho progetti del tutto definiti quando comincio la produzione di un disco. All’inizio vago in una specie di nube con poche idee sonore di base. Funzionano come un sestante e quelle sì, sono limpide sin dall’inizio. Sono dei profumi che miracolosamente si manifestano al primo contatto col materiale grezzo. Durante la lavorazione la nebbia si schiarisce e lascia spazio alle idee specifiche. Ho cercato di tenere insieme acustico, elettrico ed elettronico, come fossero facce di una piramide. Alla base, invece, il suono della lingua grica che, nella sua naturale musicalità, mi ha aiutato a dare coerenza al tutto. 
Un’altra idea di partenza era quella di dare rilevanza allo strumento ukulele. Da sempre nelle costruzioni armoniche amo i close voicing e l’ukulele mi restituisce quella vicinanza degli intervalli in maniera sorprendente. 
A contrasto ho usato la chitarra elettrica baritona - mia fedele compagna da ormai una decina d’anni - per addensare materia nella parte grave dello spettro, considerando il fatto che negli arrangiamenti praticamente non esistono bassi o bassi elettrici.
Altro elemento fondamentale erano gli arrangiamenti per archi. Compaiono in soli tre brani dell’album ma credo abbiano grande rilevanza nella dinamica dell’opera complessiva. Avevo scritto per quartetto standard ma parlandone con Redi, abbiamo deciso che avrebbe potuto eseguire tutto lui col solo violoncello, occupandosi anche delle parti di violino; cosa ovviamente non facile per lui ma, d’altra parte, Redi nella sua produzione ci ha viziati e stupiti con prove ben più audaci! Il risultato è meraviglioso, a mio parere. Differente dal suono di un quartetto classico ma con una qualità originalissima ed un’omogeneità eccezionale.

Ninfa, tra i brani più intensi del disco c'è la title-track com'è nato questo brano?
Ninfa Giannuzzi - “Amartìa” significa Peccato. Il peccato è da sempre e per sempre collocato nell’errore. In questo brano, invece, lo racconto come l’evento più capace di innescare in processo rinascita. Il peccato è per gli uomini un pungiglione che innesca un siero immunizzante e cicatrizzante.  
La musica che scrivo arriva da un luogo che non posso guardare e che mi meraviglia, mi incanta, mi nutre, incastona tutto ci che ascolto a come lo sento.  

Come avete lavorato all'adattamento del testo di "Motti torì" che arriva dalla raccolta "Canti di pianto e d'amore dall'antico Salento" di Brizio Montinaro?
Ninfa Giannuzzi - Brizio Montinaro è sempre stato un punto di riferimento, un intellettuale che ha amato e preservato la cultura della Grecìa Salentina considerandola sempre di altissimo spessore, ricollocandola ad un livello raffinato. Brizio ha tracciato un percorso, ha seminato, coltivato e raccolto.  
“Motti torì” è una poesia che abbiamo amato sin dalla prima lettura. Abbiamo lavorato per estenderla e darle la forma di canzone che si adattasse alla musica composta da Valerio. Abbiamo mandato le nostre idee a Brizio che ci ha supportati e spronati a perfezionarci seguendo le sue tracce.  

Accanto ai brani inediti è presente una rilettura elettrica di "Ferma zitella". Come si è indirizzato il lavoro in fase di rielaborazione di questo brano?
Valerio Daniele - “Ferma zitella” è uno dei brani più riletti della nostra tradizione, io stesso in passato ne ho prodotto altre versioni. La sua melodia è un caso unico nel nostro repertorio per il suo carattere blues. Questo elemento mi ha sempre affascinato, incuriosito, rapito. Il testo racconta della difficoltà di incontrarsi di due innamorati e anch’esso, se vogliamo, ha un sapore blues
In “Amartìa” è uno dei brani più sanguigni, ha un suono molto distorto, fatta eccezione per una parentesi piuttosto romantica costruita con un’orchestrazione di due ukuleles e un guitalele. L’arrangiamento esprime quasi un sentimento di rabbia, di frustrazione e la voce di Ninfa, statuaria e sofferta, si erge con grande efficacia sugli strumenti.

In "Ulisse" fa capolino l'elettronica che imprime al brano una atmosfera quasi onirica, sospesa tra immanenza e trascendenza. Come hai lavorato all'architettura di questo brano?
Valerio Daniele - A volte accade che quando si pensa di aver finito, si metta in discussione radicalmente tutto il lavoro, si torni indietro e si ricominci dall’inizio. È una specie di visione a guidare; si comincia a far tentativi quasi per gioco e dopo qualche ora ci si ritrova con materiale completamente nuovo. Con “Ulisse” è stato così.
Tutto è nato dalla fine, da quello che ora è l’outro, ovvero una successione un po’ straniante di accordi di ukulele sui quali si innesta un solo di chitarra processata con Red Panda Tensor (un effetto granulare di pitch shifting/time stretching). 

In un secondo momento ho composto la parte armonica sulla quale ho chiesto a Ninfa di scrivere una melodia. Registrata la sua voce, ho buttato via più della metà del brano così come l’avevo immaginato inizialmente e ho ripensato tutto con elettronica (modulari eurorack e synth). Delle chitarre iniziali non è rimasto quasi nulla alla fine, sostituite con elettronica ed ukulele che hanno donato al brano questo suono sospeso e misterioso. Ulisse ha avuto effettivamente una lavorazione molto complessa, stratificata e dilatata nel tempo.

"Ce fei" è una ballata folk in cui chitarra, elettronica e violoncello costruiscono un atmosfera molto particolare, quasi elegiaca. Ci puoi raccontare questo brano?
Valerio Daniele - È un brano che ho scritto diversi anni fa. Sì, l’andatura ritmica è quella di una ballata folk anche se la parte armonica ha una natura differente. Anche da un punto di vista strumentale la scelta dei timbri (chitarra acustica, voce, glockenspiel, sampling ed archi), come hai notato, restituisce un’atmosfera originale.

Nell’architettura dell’album avevamo bisogno di un brano che “alleggerisse”, di un episodio distensivo. “Ce fei” è un brano semplice, in maggiore, e il testo di Ninfa è come una filastrocca con una lieve malinconia. Lo amiamo molto.

Dall'acustico si passa all'elettrico con "Rodo ce agàpi" la cui melodia sembra venire dal barocco con le due voci di Ninfa Giannuzzi ed Emanuele Licci che duettano, mentre la chitarra elettrica baritona spariglia le carte prima di dare vita ad un magnifico dialogo con la tromba. Com'è nato questo intreccio tra jazz, noise rock e grico?
Valerio Daniele - Questo brano nasce qualche anno fa da una melodia di ispirazione tradizionale che Ninfa aveva rielaborato. Emanuele, a sua volta, ha rimodulato ed arricchito in modo molto personale quella melodia, regalandole una sonorità greca in alcuni tratti. Lavorarci in studio in modo così libero e creativo è stato divertente ed emozionante. Il risultato è proprio quello che speravamo: uno scambio vivido e pulsante fra due voci di grande carattere.
Il mio lavoro su questo brano è piuttosto semplice: si basa su un paio di riff distorti con un forte senso ritmico. 
Il contributo di Giorgio è stato fondamentale. Gli ho chiesto di lavorare di improvvisazione: nella prima parte del brano assecondandomi nell’accentazione del groove (con slap ed altre tecniche di soffio ritmico) e nella parte strumentale lasciando libero sfogo al suo innato lirismo.

"Orria esù plonni - Eìvala" è una versione in grico di "Bella ci dormi" e vede protagonista Shadi Fathi al setar con la quale avete spesso incrociato il vostro cammino. Com'è nata questa collaborazione?
Ninfa Giannuzzi -
Abbiamo incontrato Shadi Fathi in un suo viaggio nel Salento. Ci siamo riconosciuti, forse eravamo già stati.  
Shadi è nata a Teheran nel 1355 (1977), è entrata nella mia vita e da allora facciamo il possibile per suonare insieme. Shadi è innamorata del grico e della sua musicalità ed io sono innamorata della musica persiana. Nel 2019 abbiamo iniziato a collaborare.  
Nel 2022, insieme a Valerio Daniele e ad Egidio Marullo, abbiamo prodotto uno spettacolo per il Mucem di Marsiglia, “AZADÌ”: una mescolanza di musica classica persiana, elettronica, canto e poesia in grico in lode alla sopravvivenza.  
In "Amartìa" abbiamo voluto la sua presenza perché i nostri percorsi sanno di essere per tutto il tempo possibile e la musica classica persiana ormai è parte del nostro viaggio.  
Riguardo al testo ho immaginato “Beddha ci dormi” in grico quando ho ascoltato un canto greco dal titolo “Eìvala” che ha una melodia speculare a “Beddha ci dormi” con un ritornello che ho inserito nel canto, a dimostrazione che la musica abbatte tutti i confini. 

Chiude il disco "Ta rùddia", altro brano che nel suo interno racchiude atmosfere e ambientazioni musicali differenti. Quali traiettorie hai percorso in questa composizione?
Ninfa Giannuzzi - Ci sono storie ripetute che mi sono rimaste appiccicate come il miele alle mani fino a rigenerarsi. 
In questa canzone in particolare canto uno di quei quadri che mi vedono nelle strade della mia storia. 
Riesco ad immaginare i richiami della mia infanzia, e in quell’eco ho ricavato la consapevolezza che il canto grico è bello anche quando non si conosce il significato delle parole.   

Valerio, "Amartìa", come del resto il tuo ultimo disco solista, esce in formato booklet particolare, senza disco fisico, ma con un QR Code. Resta l'oggetto da collezione, sparisce il disco. Una crasi tra musica liquida e piacere di sfogliare un libretto. Ci parli di questo inedito formato?
Valerio Daniele - Il Compact Disc è un oggetto desueto oramai. La tecnologia alla base del CD prevede anche una prassi di ascolto e fruizione che purtroppo non è più così frequente. Per giunta, i lettori CD hi-fi da tavolo sono quasi scomparsi e anche nelle auto, da qualche anno, non vengono più installati. Tutto pare evolversi verso la fruizione della musica liquida.
D’altra parte, non siamo ancora pronti all’abbandono dell’oggetto fisico. Il contatto con il libello, la fruizione dell’artwork, la lettura dei testi e dei credits è un rituale di grande importanza quando si ha a che fare con un’opera musicale. 

Con desuonatori abbiamo quindi trovato questa via intermedia che prevede la fruizione liquida (attraverso il QR code) ma anche un oggetto fisico molto curato, grazie ai nostri artisti grafici Valentina Sansò ed Egidio Marullo. 
Le nostre edizioni, "Amartìa" compresa, sono anche su Bandcamp, canale desuonatori.bandcamp.com 

Come saranno i concerti di “Amartìa”?
Ninfa Giannuzzi - Lo spettacolo è pensato come un atto unico, per consentire una fruizione densa, intima, coinvolgente.  
Saremo in quartetto: insieme a me e Valerio ci saranno anche il già citato Giorgio Distante (tromba e basso tuba) e un giovane musicista dal talento eccezionale: Fabio Moschettini (chitarra classica). 

Concludendo quali sono i prossimi progetti in cantiere per desuonatori?
Valerio Daniele - Siamo al lavoro su più fronti. 
Per ora, a brevissimo, pubblicheremo i nuovi lavori di due musicisti eclettici e originalissimi: Francesco Pellegrino e Adolfo La Volpe. 

Seguiteci sul nostro Bandcamp, sui nostri canali Facebook e Instagram e sul sito desuonatori.it 


Ninfa Giannuzzi e Valerio Daniele – Amartìa (desuonatori, 2023)
Il sodalizio artistico tra Ninfa Giannuzzi e Valerio Daniele ha radici lontane nel tempo e, nel corso degli anni, più volte i rispettivi percorsi si sono incrociati in progetti diversi, fino a giungere nel 2014 ad “Àspro” che segnava il debutto come duo e cristallizzava il lavoro compiuto insieme sulla tradizione musicale salentina, con particolare riferimento ai canti in grico di cui ne fornivano una originale e moderna lettura. Era quello l’approdo di un percorso di ricerca compiuto, ora singolarmente, ora insieme, e che si concretizzava nella scelta ben precisa di staccarsi dagli stilemi della riproposta per approdare ad un sound dal respiro più sperimentale che si muoveva dal rock alla musica contemporanea. Da allora sono trascorsi nove anni, in cui i due musicisti salentini non sono stati certo fermi, ma anzi hanno proseguito il loro lavoro su piani paralleli, muovendosi ora in ambito musicali differenti, ora ritrovandosi per nuove esperienze come nel caso di “AZADÌ” con Egidio Marullo e Shadi Fathi. Tutto ciò ha contribuito a sedimentare quanto fatto con l’opera prima, ma soprattutto ha rappresentato la base di partenza per tornare a lavorare insieme. Ha preso vita, così, “Amartìa” nuovo album nel quale hanno raccolto nove brani, di cui sette inediti, una riscrittura e un brano tradizionale, registrati presso il Chôra Studio di Calimera (Le) con la partecipazione di Giorgio Distante (tromba), Redi Hasa (violoncello), Shadi Fathi (setar) e Emanuele Licci (voce). Rispetto al precedente, Ninfa Giannuzzi (voce, ukulele e glockenspiel) e Valerio Daniele (chitarre, elettronica, ukulele, synth e programming) hanno voluto estendere il raggio della loro ricerca, giungendo alla composizione di brani inediti in grico, per svelarci la vitalità di questa lingua che ha radici profondissime nel tempo, ma che è pronta a veleggiare verso il futuro, sulle ali della poesia. Aperto dal breve frammento introduttivo “Ale tse ala – ali di sale” con la voce di Ninfa Giannuzzi che si adagia sulla trama intessuta dal violoncello di Redi Hasa, il disco entra nel vivo con la title-track, un brano di rara intensità e lirismo, tutto giocato su un climax che si dipana dall’acustico all’elettrico, incorniciato dall’elettronica ed impreziosito da una magistrale prova vocale. Se raccolta "Canti di pianto e d'amore dall'antico Salento" di Brizio Montinaro arriva il testo della struggente "Motti torì", avvolta da una elegante trama acustica, la successiva “Ferma zitella” ci conduce nei territori noise-rock con elettronica e squarci chitarristici ad imprimere al testo ancor più drammaticità. Si prosegue con l’elettronica di “Ulisse”, sospesa in una atmosfera onirica in cui si staglia la linea melodica disegnata dalla chitarra elettrica e che abbraccia la voce di Ninfa Giannuzzi, per giungere poi a "Ce fei", ballata folk elegiaca in cui si intrecciano chitarra acustica, elettronica e violoncello. Si torna alle atmosfere elettriche con la superba chitarra di Valerio Daniele che domina "Rodo ce agàpi", cantata a due voci da Ninfa Giannuzzi ed Emanuele Licci e nella cui melodia si scorgono elementi di musica barocca e sefardita. Il vertice del disco arriva, però, sul finale con "Orria esù plonni - Eìvala", versione in grico del tradizionale "Bella ci dormi" e che vede protagoniste Ninfa Giannuzzi alla voce e Shadi Fathi al setar per una performance da incorniciare. Le suggestioni poetiche di “Ta rùddia” con la tromba di Giorgio Distante in evidenza chiudono un disco di raro fascino e lirismo che non mancherà di sorprendere quanti vi dedicheranno un attento ascolto. Dal punto di vista musicale “Amartìa” ci mostra una prospettiva diversa e non convenzionale da cui guardare alla musica tradizionale e che muove da una sperimentazione a tutto tondo fatta di interazioni tra sonorità, atmosfere e ambientazioni differenti.


Salvatore Esposito

Foto di Egidio Marullo (1-5), Annalisa Lazoi (6-7), Incontri Ipogei (8)

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