Produttore, ma soprattutto chitarrista e compositore, Valerio Daniele è una delle figure di maggior talento nell’articolato panorama musicale salentino, tanto per la sua capacità di muoversi attraverso territori sonori differenti dalla tradizione alla world music fino al jazz e alla musica contemporanea, quanto per aver dato vita ad una delle esperienze artistiche italiane più interessanti degli ultimi anni, quel collettivo desuonatori che a partire dal 2013 ha dato alle stampe una serie di produzioni discografiche originali ed innovative. A due anni di distanza dall’eccellente “Àspro”, inciso in coppia con Ninfa Giannuzzi, il chitarrista torna con “Sine Corde. Ballate salentine d’altro tempo”, nel quale attraverso ci offre la sua visione della tradizione musicale salentina, frutto di una sedimentazione esperienziale maturata lavorando a numerosi dischi prodotti negli ultimi. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la genesi di questo nuovo album.
Come nasce il progetto "Sine Corde"?
Ho lavorato e lavoro tuttora come chitarrista e arrangiatore per molti progetti di cantori e cantrici della riproposta. Da qualche anno progettavo di condensare in un disco la mia personale visione su una parte del repertorio tradizionale salentino. L’anno scorso ne ho parlato con Marco Leopizzi di AnimaMundi e di lì a qualche mese il master era pronto. Alessia Tondo, Enza Pagliara, Dario Muci, Ninfa Giannuzzi, Rachele Andrioli, Emanuele Licci, Marco Stanislao Spina (marimba), Giorgio Distante (tromba), Roberto Gagliardi (sax e harmonium) ed Egidio Marullo (videoclip) sono le persone che ho voluto al mio fianco per questo lavoro. E le ringrazio infinitamente per la generosità e per l’unicità che esprimono nella musica e nella vita.
Quali sono state le ispirazioni alla base di questo disco?
Nessuna, credo, a parte le stesse melodie tradizionali. Di sicuro non posso prescindere da una certa letteratura e da certi ascolti, ma per questo lavoro in particolare, non credo di aver avuto riferimenti specifici. E’ stato, in qualche modo, una gioco di condensazione, un lavoro di sintesi condotto lungo diversi anni.
Come hai selezionato il materiale da reinterpretare?
Nel corso degli anni, prendendo appunti. Si tratta per lo più di ballate, di brani scelti per particolare affezione. Ho preferito melodie poco note, in alcuni casi mai riproposte, che ho lasciato sedimentare in me molto lentamente. In realtà, col trascorrere del tempo, il fascino che le singole melodie esercitavano su di me ha lasciato il posto alla generazione di una sorta di universo interno organico e unitario. Non so spiegarlo bene a parole…tuttavia, credo che il disco ne sia una diretta conseguenza.
Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di arrangiamento dei brani?
Ho smesso di considerare le melodie tradizionali come occasione per costruirvi arrangiamenti. Ho cominciato invece a scrivere musica di sana pianta, a cercare connessioni sottili ma viscerali fra un certa via compositiva e quel linguaggio antico, una sorta di personale semantica, in fondo, che prescindesse completamente dalla parafrasi e che invece porgesse la musica all’ascoltatore in modo diretto, crudo, naturale.
Anche l’improvvisazione, che nei precedenti lavori assumeva un carattere rilevante, su “Sine corde” ha lasciato il passo a cellule sonore più essenziali e rigorose. Il testo è quasi sempre cantato integralmente, spezzato il meno possibile; ho preferito introduzioni o code strumentali agli intermezzi.
Che rapporto c'è tra questo disco e l'esperienza con il coordinamento desuonatori?
Beh, desuonatori fa parte di me. Il linguaggio debole, plastico, non statico, sfuggente che con desuonatori tuttora cerchiamo di costruire è alla base di ogni mia azione musicale. Tuttavia questo non ci costringe a pubblicare necessariamente con desuonatori. Questo disco in particolare, sin dall’inizio, è stato concepito per AnimaMundi. Perché AnimaMundi è la sua casa. Per una lunga serie di ragioni storiche ed ovviamente di genere. Certamente è stata determinante la forte sintonia umana, valoriale e concettuale con Marco Leopizzi e Giuseppe Conoci. Credo che questa etichetta, insieme a pochissime altre realtà, in questi anni abbia dato grande slancio alla ricerca e alla cultura di questa terra.
Valerio Daniele - Sine Corde. Ballate salentine d'altro tempo (Anima Mundi, 2016)
“Il suono di questa musica è scarno, è vuoto e viaggia nel pulviscolo. Ha le catene della carne e i guizzi della disperazione. E deve restare così, libero, sciolto il più possibile da strutture e ordini sequenziali. Ricco, ricchissimo ma del vuoto e dell’accoglienza che per sua natura incarna”, così Valerio Daniele scrive nella presentazione di “Sine Corde” nuovo album, prodotto con il sostegno di Puglia Sounds Records, che lo vede rileggere la tradizione musicale salentina, attraverso il suo originale approccio sonoro a metà strada tra sperimentazione e musica contemporanea, una visione di “altro tempo”, dove l’astratto prende il posto del didascalico e la suggestione quello della verbosità. Il chitarrista salentino rilegge, così, undici canti, per lo più tradizionali, scelti tra quelli meno affrontati dalla riproposta ed in alcuni casi mai reinterpretati sin ora. Ad affiancare Valerio Daniele in quest’avventura che lo vede destreggiarsi tra molteplici strumenti come chitarre acustiche, elettriche, baritone e battenti, glockenspiel, e-bows, Ehx Hog, e diamoniche, sono alcune tra le voci più intense e rappresentative del Salento, come Alessia Tondo, Enza Pagliara, Dario Muci, Ninfa Giannuzzi, Emanuele Licci e Rachele Andrioli a cui si aggiungono le suggestioni sonore di Giorgio Distante (tromba), Marco Stanislao Spina (marimba), e Roberto Gagliardi (harmonium e sassofono soprano ricurvo). Aperto da quel suggestivo bozzetto sonoro che è la title-track, il disco entra subito nel vivo con la splendida “Muntagne Fine”, brano tratto dalle registrazioni in Salento di Diego Carpitella effettuate tra il 1959 e il 1960, e qui interpretato dalle voci di Rachele Andrioli ed Alessia Tondo, che ritroviamo nella dolcissima ninna nanna “None none nanna” per la quale è stato realizzato anche un videoclip diretto da Egidio Marullo. La voce di Enza Pagliara è protagonista, poi, di “Cinquecentu” con le increspature della chitarra elettrica a caratterizzare il refrain melodico. Se dal repertorio dei Cantori dei Menamenamò arriva “La Monacella” con la tromba di Giorgio Distante in grande evidenza, la successiva “Morolòi” è un tradizionale della Grecìa Salentina costruito intorno alla voce di Assunta Surdo, tratta dalle registrazioni sul campo di Brizio Montinaro. Il canto d’amore “Beddhu Meu” con la voce di Alessia Tondo ci conduce ad uno dei vertici del disco “Oh Che Tormentu” nella quale duettano Dario Muci ed Enza Pagliara, evocando i canti alla stisa, mentre la chitarra di Valerio Daniele tesse una elegante tessitura melodica. “O Diu quantu sta casa è benedetta” con la voce antica di Rocco Gaetani, tratta dall’Archivio Sonoro di Luigi Chiriatti, ci conduce verso il finale in cui brillano “Il Mito” su testo di Rina Durante interpretata da Ninfa Giannuzzi, “Luna Otrantina” in cui protagonista è Emanuele Licci, e “Fiumi Currenti (Beddha Ci Stai Luntanu”) nella quale ritroviamo la voce di Dario Muci. Rifuggendo ogni retorica della riproposta, Valerio Daniele ci ha regalato un disco in cui tradizione e sperimentazione si intersecano dando vita ad un affresco sonoro di grande suggestione.
Salvatore Esposito
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