Batsükh Dorj – Ögbelerim (Music for My Ancestors) (Buda Musique, 2023)

Questo trentatreenne interprete originario del distretto di Tsengel, nella provincia di Bayan-Ulgii, estrema regione occidentale della Mongolia, è stato iniziato al canto dal maestro tuvano Papizan Badar e ha appreso ad eseguire le tecniche del khöömii con suo fratello Butemj, per poi approfondire lo studio con le registrazioni d’archivio; si è diplomato presso il Collegio musicale della Repubblica di Tuva a Kyzyl, in Russia. Dorj padroneggia diverse tecniche di khöömii, negli stili mongolo e tuvano, sia nel registro acuto (sygyt) sia in quello grave (kharkhiraa), ma è anche maestro di effetti vocali che si accompagnano a queste tecniche come l’ezenggileer (imitazione dei ritmi dell’equitazione, ottenuta aprendo e chiudendo il velum, che separa la cavità nasale da quella orale) e il borbangnadyr (sorta di trillo, realizzato con rapidi movimenti della lingua e delle labbra. Dorj è anche un polistrumentista (flauto shuur e faluto nasale kahi, il violino a due corde igil, liuto non tastato a tre corde doshpuluur, lo scacciapensieri khomus e attinduyou, che sono zoccoli di cavallo). Si è fatto conoscere grazie all’album antologico “An Anthology of Mongolian Khöömii” (Buda Musique, 2017). ; cinque anni dopo, nel corso di un tour francese, ha registrato il suo primo album da solista presso lo Studio du Faune con Johanni Curtet, musicologo, viaggiatore e docente universitario di canto khöömii (ha studiato con il compianto Tran Quang Hai e poi nelle steppe dell’Asia Centrale con D. Tserendavaa e B. Odsüren), che ha curato gli arrangiamenti e le note introduttive del booklet e lo accompagna al canto difonico e agli strumenti (chitarra, doshpuluur e dan moi). Nella maggior parte delle dodici tracce, Dorj – autore della maggior parte delle musiche e di molti dei testi – utilizza le tecniche vocali, ad iniziare dalla simbolica apertura con la title track (canto, igil e chitarra), una canzone di Gerel Jamish (professore di letteratura il quale firma diversi testi dell’album), che esalta il rispetto per gli antenati. In “Nchynyn Yry” al canto accompagnato dal liuto si associano il ritmo degli zoccoli di cavallo e il fischietto nasale. Il tema incalzante fa riferimento al ruolo della caccia, centrale, un tempo, nella cultura tuvana. La compassionevole e benefica figura di Bainak, vissuto durante il periodo sovietico e arrestato per le sue convinzioni spirituali, è ricordata nell’omonima austera, intensa e atmosferica canzone per sottolineare come la forza derivi dall’unione e dalla solidarietà. Ispirata alle tecniche sciamaniche, “Khomus” è eseguita allo scacciapensieri, strumento che connette il mondo terreno a quello ultraterreno. L’arte divinatoria e ludica associata alle ossa di caviglia animale è cantata in “Kajyk”, sempre su liriche di Gerel, mentre in “Kaldak-khamar”, commento satirico su un passo di montagna difficile da attraversare in auto, la chitarra di Curtet ben si combina con i timbri degli strumenti tradizionali, così come avviene nel successivo, motivo, “Kongurei”. La voce del flauto shoor è protagonista nell’omonimo tema strumentale, appreso da uno sciamano: lo strumento usato nel canto epico per cacciare gli spiriti maligni. “Khei at” (Cavallo del vento), ancora su un testo di Gerel, è un inno del festival della cultura tuvana che si tiene nella città di Tsengel. Solitario è il violino in “Igil”, mentre “Churtum” (La mia terra) è un canto di lode per il proprio Paese, il cui testo è firmato da Gerel. La conclusiva “Jin Söörtügjüler” (La Carovana) è un tradizionale che rievoca l’epoca in cui non c'erano automobili e in una carovana di cammelli si raggiungevano i luoghi del commercio arrivando fino a Pechino. Descrivendo l'interminabile carovana, questa canzone simboleggia la perpetuità del popolo tuvano della Mongolia. Da mesi tra gli album top della Transglobal World Music Chart, “Ögbelerim” ha raggiunto la prima posizione nel gennaio 2024: un sapere musicale che è davvero patrimonio dell’Umanità. 


Ciro De Rosa

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