Sono tanti gli album e le canzoni che ogni anno chiamano la nostra attenzione, ma quanti rimangono davvero indelebili nella nostra memoria? Al primo posto, quest’anno, nelle mie orecchie ci sono la cantante colombiana, ma da anni a Barcellona, Marta Gómez e il bassista argentino Andrés Rotmistrovsky. Il loro “Bajo & Voz” viene da lontano: dai comuni studi al Berklee College of Music e dall’intuizione di un amico svizzero che per primo offrì loro l’opportunità di tenere concerti come duo: risalgono al 30 aprile 2016 alcune registrazioni dal vivo all’Ancienne Poste des Planches a Montreux fra cui spicca una intima versione del classico “El día que me quieras” di Carlos Gardel e Alfredo Le Pera. Gli arrangiamenti per solo basso e voce non sono molto frequenti: hanno fatto scuola, col contrabbasso, Sheila Jordan con Harvie Swartz, ma anche con Cameron Brown e Arild Andersen a partire dai primi anni Ottanta; i due brani incisi a New York da Mark Johnson ad aprile del 1989 con Lucy Crane (“Beautyful Love” e “Ain't Misbehaven'”) in chiusura dell’album “Two By Four”; i tre album degli ungheresi Ágnes Lakatos e Tibor Csuhaj-Barna; e, quest’anno, l’esuberante e convincente prova offerta da Sofia Rei e Jorge Roeder.
Andrés Rotmistrovsky (o semplicemente “Rot”) sa essere estremamente versatile con il basso elettrico a quattro e cinque corde e, negli anni, in particolare al Café Nempla a Buenos Aires, ha inanellato innumerevoli collaborazioni in duo, soprattutto con voci femminili, fra cui Angela Watson, Chiara Izzi, Eleonora Bianchini, Eva Cortes, Josefina Scaglione, Laura González, Marina Wil, Mey, Sofia Ribeiro, Solange Prat, Sol Liebeskind, Vero Perez.
Fin dall’inizio, il duo con Marta Gómez ha funzionato molto bene anche dal vivo, sollecitando nel pubblico sia un ascolto attento all’incontro fra i due spettri sonori in gioco, voce-basso, sia un coinvolgimento diretto, scandendo il tempo con le mani quando si tratta di supplire la parte percussiva, come mostra egregiamente l’unico brano registrato in concerto, “Como un secreto”, che chiude l’album con una perfetta tensione fra riff che rimandano a Stevie Wonder e registro narrativo dove conta ogni singola nota e sfumatura espressiva. In tutte e dodici le tracce, Andrés Rotmistrovsky è magnificamente al servizio della voce di Marta Gómez che è autrice di otto brani e ne sa veicolare a fondo versi e musicalità, senza mai ricorrere a virtuosismi e, al tempo stesso, donando sempre al momento opportuno i colori espressivi di cui la sua voce è capace.
Oltre a “El día que me quieras”, c’è una delle gemme meglio nascoste dell’uruguaiano Jorge Dreexler, “El museo de las distanzia rotas” e una delle canzoni rese celebri da Mercedes Sosa “Son pan, son paz, son mas”, scritta da Piero, argentino così come Luis Alberto Spinetta che da adolescente compose “Plegaria para un niño dormido”, registrata nel 1969 dagli Almendra, pietra miliare della musica argentina, il brano con “licenza di diastole”, la libertà di spostare l'accento tonico verso la fine della parola tanto cara ai rioplatensi (e meno alla stampa benpensante).
Alessio Surian
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