Ducoli – Adorabili cannibali (Cromo Music, 2023)

Ritroviamo il Ducoli in un album acquatico, che segue, a distanza di un tempo relativamente breve, “Il cotone”. Il titolo di questo percorso in dieci brani-racconti e quattro parti è “Adorabili cannibali”. Inutile dire (i lettori di queste pagine conoscono bene l’artista) che la descrizione del percorso non può che essere libera: slegata dai fatti, direi, trascinata dalle parole e dalle atmosfere e, soprattutto, dalla voce (“L’onda lenta lenta nella schiuma”). Perché la raccolta di espressioni che Ducoli condensa in questo album ci imprime ogni sillaba sulla pelle, ci marchia con schegge di suoni pratici, praticati sotto un linguaggio “osservativo” e piacevolmente ambivalente, ambiguo. Che da un lato guada dentro, scivolando in una visione intima ed esclusiva. E dall’altro guada fuori, fuoriesce in un’attualità limpida, ruvida e scivolosa (“l’importanza delle cose incerte”). Il discorso musicale è costruito senza mimesi (“come è bello stare sempre solo/ la lussuosa vita del pensiero”), illustrato senza nessun filtraggio e imperniato su una traccia melodica in cui si percepisce la preminenza strutturale del pianoforte, delle tastiere (di Gaffurini). Di una scrittura orizzontale, insomma, dentro la quale non si ha mai la sensazione di un rapporto diretto con la voce, ma piuttosto di un rapporto indiretto con il pensiero, con la visione: di un rapporto inevitabile, nell’arco del quale tutti gli elementi interagiscono deformandosi e plasmandosi (come con la chitarra di Lombardi). L’atmosfera generale dell’album è - anch’essa - inafferrabile. Non che sia importante, ma suggerisce prevalentemente indipendenza, principi sani e granitici di autonomia che si esprime in valori opposti: calma e rabbia, forte e piano, urlo e sospiro, sotto e sopra, me e te, me e voi. Appunto - come si diceva - dentro e fuori. Le parole di Ducoli si lasciano percorrere con una quasi inquietante naturalezza. Sembra vogliano davvero trascinarci in uno spazio irreversibile, nel quale il senso ci è dato da loro stesse. E, a questo punto sembra addirittura che si prestino a descrivere, loro stesse, l’album: in effetti “tutto sembra fermo ma si muove” e semplicemente “sento che ho bisogno di fumare”. Perché l’analisi degli elementi che riguardano questo album non può posizionarsi troppo a latere del contrasto e delle opposizioni che lo ingenerano: a rischio di una presunta comprensione - a rischio di una beata incomprensione. Ora, illustrata la visuale criptica del Ducoli, ci ritroviamo con mani e orecchie nelle sue canzoni (sembra, da qui, quasi una violazione). Ma - se non fosse ancora chiaro - continuiamo a porre la massima attenzione: non per riverenza ma per prudenza, perché “i fasci siete voi che fate gli artifici” e “sono questioni più grandi/ più grandi di me”. Però, di questo passo, lasciamoci anche convincere dalla bellezza dei micro-racconti - lapidari e sfrenati - che intessono un orizzonte più che concreto (comprensibile? condivisibile?), più che coerente (con la voce, il suono di chitarra e pianoforte), più che assoluto: personale, gigante, assurdo, lucido. L’impostazione della scrittura di Ducoli si svela con slanci brevi e perentori, con parole strette e frementi in fraseggi caustici e mai caotici: “voglio restare da solo/ non voglio vedere nessuno” ma, attenzione “voglio studiare le cose/ le voglio studiare da dentro”. E, in questi slanci reiterati e a modo loro ordinatissimi, non si ha mai l’impressione di poter controllare e codificare in pieno né la poetica né la lirica. Perché in fondo Ducoli possiede la raffinata complessità di chi scrive e canta per sé e che, a differenza di chi lo fa per compiacenza, trasmette la forza di chi sa trascinare - pur non volendolo: “sembra che sembro qualcuno passare”.  


Daniele Cestellini

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