Tracce Contemporanee. La musica che viaggia, I Edizione, Napoli, 18 - 23 dicembre 2023

Nel bulimico carnet musicale natalizio finanziato dall’Amministrazione comunale partenopea si erge la prima edizione di Tracce Contemporanee - senz’altro in linea con il continuativo progetto istituzionale di “Napoli città della Musica” – che è stata organizzata da La Bazzarra e dalla Cooperativa Dedalus, sotto la direzione artistica di Gigi Di Luca, veterano di rassegne world-oriented, a partire dallo storico Festival Ethnos. Il fatto è che, la rassegna, distribuita su tre venue – il Teatro Nuovo, la splendida Chiesa di Santa Maria Donnalbina e il cortile dell’Ex Ospedale della Pace – è stata imperniata su un’idea forte non sul mero affastellamento di nomi, privilegiando illustri dialoghi musicali tra artisti che si riconoscono nel sottotitolo che ha accompagnato la manifestazione: “la musica che viaggia”. Un pubblico fidelizzato ha riempito i luoghi del festival, concentrato nella settimana dal 18 al 23 dicembre. Ha aperto il 18 dicembre, al Teatro Nuovo il cantante, compositore e scrittore capoverdiano Mário Lúcio, già ministro della cultura dell’arcipelago posto al largo della costa nord-occidentale dell’Africa, protagonista anche di un incontro riflessione sulle musiche migranti che ha preceduto il recital
dell’artista che ha scritto note illuminanti sulla contemporaneità del suo Paese, attraverso stili musicali locali. Nella materia musicale del suo ultimo album, il decimo della sua carriera. intitolato simbolicamente “Migrants”, si concentrano il senso della sua storia e della creolizzazione che caratterizza il suo Paese con gli scambi tra estetiche musicali che le migrazioni rendono possibili. Accompagnandosi alla sola chitarra, il musicista rivisita i giorni della schiavitù in “Goré”, canta “Hino à gratidão”, una composizione che trasmetta la a gratitudine per tutto ciò che ci circonda, ci infila anche una canzone italiana “Domani è un giorno importante” di Ernesto Bassignano, scalda i cuori, interpretando l’iconico inno “Sodade” di Césaria Evora, e finisce il set duettando con il sax di Marco Zurzolo. Nello stesso luogo, il 20 dicembre è salita sul palco l’albanese-svizzera Elina Duni (voce e tamburo a cornice) con l’inglese Rob Luft (chitarra & loop). La coppia tocca le corde emotive con il progetto “Songs of Love and Exile”, in cui i canti tradizionali della nativa Albania (da nord a sud) si uniscono a un eclettico mix di canzoni di luoghi, lingue ed epoche diverse: “In the Mood for Love”, “Amara Terra Mia”, “Meu Amor” di Amalia
Rodrigues, “Couleur” Serge Gainsbourg, il Salento tradizionale di “Bella ci dormi”, la poetica arabo andalusa di “Lamma Bada Yatathanna” e il folk di “Wayfairing Stranger”. Una voce sicura di grande estensione quella della Duni, che sa essere potente, delicata e accorata, accompagnata dalle ambientazioni chitarristiche di Luft, che non solo si dimostra notevole per qualità tecnica, ma sa usare con misuratezza gli effetti e l’elettronica. Forti suggestioni quando la cantante regala come bis al pubblico napoletano “Cammina Cammina” di Pino Daniele. Poesia, narrazione (testi di Matvejevic, Andric e Rumiz), canto plurilingue, aneddoti salaci, arguti e irresistibili nel recital “Rotte Mediterranee” (21 dicembre) di Moni Ovadia (dalla voce una po’ segnata dal tempo che passa), sempre magistrale per proiezione storica, tensione civica e politica e doti affabulatorie, accompagnato dalle finezze delle chitarre di Giovanni Seneca (autore degli arrangiamenti), dalla cantante Anissa Gouizi, dal contrabbasso di Gabriele Pesaresi e dalle percussioni di Francesco Savoretti. Nella Chiesa di Santa Maria Donnalbina (22 dicembre) serata con doppia esibizione. Si è iniziato con il viaggio nella varietà linguistico-culturale del Kurdistan con
Ashti Abdo, polistrumentista (tembûr, duduk), cantante e autore di Aleppo, cresciuto a Efrin, in Italia da un po’ di anni. È debitore nei confronti del cantautorato sociale e politico curdo come dei repertori narrativi orali tradizionali che ha appreso fin da piccino; Abdo racconta di sé e della sua terra martoriata, per poi condividere la scena con il tunisino-italiano Marzouk Mejri (darbouka e nay), musicista di rango con cui propongono sequenze dall’impronta improvvisativa. A seguire, il set del fiatista romano Gabriele Coen e dell’oudista tunisino (romano di residenza) Ziad Trabelsi, protagonisti di un percorso che si alimenta delle antiche convivenze sonore arabo-andaluse e del canto della diaspora ebraica sefardita rivisitati con stilemi jazz improvvisativi. È un dialogo serrato tra liuto arabo, clarinetti e sax, protagonisti nel 2023 del notevole album “Sephardic Beat”. Gran finale, il giorno successivo, nell’Ex Ospedale della Pace, prima con la performance del laboratorio “Contaminazioni Musicali” che ha coinvolto adolescenti di prima e seconda generazione che frequentano il Centro Interculturale Gomitoli, e poi con i confini abbattuti dall’orchestra afro-salentina La Répétition, guidata dall’organettista Claudio Prima, portatrice di un ibridato suono danzante. Una prima edizione di qualità, con la speranza che queste tracce sonore non si interrompano negli anni a seguire. 


Ciro De Rosa

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