QuBa Libre Trio – Rei e Pastres (Quba Libre, 2023)

In “Re e Pastori” (questa la traduzione dall’occitano del titolo dell’album) che porta come sottotitolo “una veglia occitana”, il trio si dedica al repertorio dei nouvé (i canti natalizi) e intende ricreare l’atmosfera delle vijà, quelle riunioni comunitarie invernali che fino alla seconda metà del secolo scorso si tenevano nelle borgate di montagna e nelle fattorie di pianura e nelle quali non mancavano la musica e le storie raccontate. Simonetta Baudino (ghironda, organetto diatonico, boha e zufolo), Giuseppe Quattromini (chitarre, fisarmonica e flauto dolce) e la voce autorevole e dal gran bel colore timbrico di Paola Lombardo, con la partecipazione di Gigi Biolcati (percussioni urbane), si pongono sulla scia dell’insegnamento di Sergio Berardo, tra i protagonisti della rivitalizzazione non museificata, ma a dirla tutta si dovrebbe parlare di “invenzione della tradizione”, della cultura musicale occitana delle valli piemontesi. I QuBa Libre (il nome della band riprende le iniziali di Quattromini e Baudino) presentano questo suggestivo e festoso viaggio nel quale la narrazione della natività di Gesù è filtrata dalla fantasia popolare. Sotto il profilo strumentale, il gruppo privilegia arrangiamenti essenziali, tesi ad esaltare le combinazioni timbriche degli strumenti acustici e dei bordoni, non rinunciando ad accogliere stimoli di musicalità riconducibili ai variegati percorsi stilistici dei tre musicisti; attinge ai canti di tradizione natalizia provenienti dal versante italiano e francese dell’Occitania, ma inserisce anche brani a ballo sia tradizionali che di nuova composizione, come nell’intro “Impro Armena” che sfocia in “Nadalet”, un canto di Luisa Paulin e Daniel Loddo di La Talvera, influente gruppo della Linguadoca. Seguono due circoli, “Argalicia /Lo briquet”, scritti dal murgiano ma occitano d’adozione Giuseppe Quattromini. Dall’Occitania dell’Esagono arrivano i due canti “Enfants, revelhatz-vos” e “Ça, levez-vous charmants pastoreaux”, mentre risalta la morbida “Pastres de l’Argentiera”, un classico con testo tradizionale e musica di Berardo. Si fa spazio swingante “Scottish du Regret”, cui segue “La chançon di esposas” dalla Val Varaita (val Varacha, in occitano), in cui entra la boha, cornamusa del sud-ovest della Francia. Si danza ancora con “La Tourousela”. Un intro di vago sapore arabeggiante ci porta a “Lèva-te vite, Bertomieu”, tema che poi assume la fisionomia danzante occitana (ancora dal repertorio de La Talvera). Senza soluzione di continuità con “The Irish Washerwoman” ci si tuffa nel repertorio britannico-irlandese a tempo di jig. La successiva suite contiene due brani cantati: “La bona novela” e “Nadal de Luintra” (dal repertorio dei galiziani Berrogüetto) e un altro giro di danza con una vivacissima scottish, “Lo Viatjaire”, composta da Baudino e guidata dalla sua ghironda. Superato il giro di boa della scaletta composta da ben venti tracce (minuti), ecco affacciarsi “Lo Torin”, una marcia nuziale guascona che prende il nome dalla zuppa d'aglio, tradizionalmente consumata dagli sposi.  Oltre, la band procede tra sequenze a ballo (chappelloise, bourrée a due tempi, hornpipe) e canti del ciclo natalizio, che ci conducono dalla Guascogna al Limosino fino alla Provenza, e tra i quali spiccano “La terra es freja” e “La marcha dei Réi”.  Infine, c’è il classico “inno” delle valli occitana italiane, “Se chanta”, a chiudere il programma che, con equilibrio di timbri tra lezione del passato e aperture a sensibilità e gusto personali, si prefigge di trasmettere la conoscenza e la pratica dei repertori di quel vasto mondo che conosciamo come Occitania. 


Ciro De Rosa

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