Redi Hasa – My Nirvana (Decca/Ponderosa Music Records, 2023)

A tre anni di distanza dal pregevole “The Stolen Cello”, Redi Hasa ha dato alle stampe “My Nirvana”, album che lo vede rendere omaggio ai Nirvana, band seminale per la sua formazione musicale, scoperta quando era studente al Conservatorio di Tirana e l’Albania aveva appena riconquistato la libertà, dopo anni di dittatura comunista che, per mezzo secolo, aveva proibito la musica occidentale. Da quel momento sono trascorsi oltre trent’anni, durante i quali, il violoncellista albanese ha pubblicato numerosi dischi, oltre a collaborare con Ludovico Einaudi e Robert Plant, ma soprattutto ha affinato uno stile musicale originale che gli ha consentito di affrontare il repertorio di Kurt Cobain rileggendolo attraverso una originale cifra stilistica che incrocia musica contemporanea e rock sperimentale. Abbiamo intervistato Redi Hasa per farci raccontare questo nuovo album. 

Com'è nato il progetto "My Nirvana"?
È nato nel periodo del Lockdown. Stavo preparando il mio secondo disco di brani originali e, durante le pause, mi divertivo a suonare e improvvisare. Ne è nato un gioco che è diventato molto interessante.

Dalla prospettiva di un giovane musicista che viveva nell'Albania post-comunista cosa rappresentavano i brani dei Nirvana, e in generale il movimento grunge, per te?
I Nirvana sono stati molto importanti per la mia formazione musicale. Li ho scoperti tra il 1990 e il 1991, quando da noi in Albania cadevano i muri della dittatura, ma c’era una anarchia totale. Eravamo giovani cresciuti troppo in fretta, giocando a pallone in mezzo alle pallottole di kalashnikov. Se da l’altra parte dell’oceano i Nirvana vomitavano il malessere che si trovava dentro di noi per un sistema bugiardo, noi in Albania esprimevamo la nostra rabbia per i pregiudizi del mondo intero contro di noi, e per la politica marcia che non ci dava nessuna speranza.

Cosa ti colpiva della poetica del grunge e, in particolare, di Kurt Cobain e dei Nirvana? Quanto questa ha inciso nel tuo immaginario musicale?
Il grunge era un modo di essere e di vivere. Mi dava la sensazione di rompere le righe, di essere libero di esprimere veramente quello che avevo da dire.  Kurt Cobain mi ha sempre colpito per la sua voce e per la
capacità che aveva di trasmettere tutto ciò che aveva dentro. Dei Nirvana mi piaceva il loro sound inconfondibile, originale e potente che in tutti i colori del suono e del rumore rifletteva le tematiche dei loro brani.

Come hai scelto i brani da rileggere?
Ero e sono ancora un loro fan e la scelta dei brani da includere nel disco è caduta su quelli a cui ero maggiormente legato. Conosco nel profondo la loro musica per averla studiata, assimilata, capita e anche digerita. La sfida è stata quella di trovare la mia anima nella loro musica.

Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di riscrittura e rielaborazione dei brani?
Sono partito dal presupposto che non volevo fare delle cover, anche perché non riuscirei mai a farle perché non ne sono capace. L’idea alla base del mio lavoro è stata quella di inventare, fantasticare, senza tradire la natura dei brani dei Nirvana, ma tradurla e portarla ne mio mondo. 

Dal punto di vista degli arrangiamenti come hai lavorato sulle architetture dei diversi brani?
Quando suono ci metto tutto me stesso, tutto il mio bagaglio di musiche e di linguaggi. Ci sono io, il mio
suono e il mio pensiero su ogni nota e ogni pausa. In questo disco, ho voluto intraprendere una strada ben precisa, giocando con i contrasti. Ho cambiato totalmente gli arrangiamenti, pensando come potevo tradurre il suo urlo in un silenzio assordante, la melanconia in un sorriso di sofferenza. 

Come si evolve “My Nirvana” sul palco?
Il disco dal vivo lo suono in duo con Valerio Daniele che si divide tra chitarra ed elettronica. Oltre a collaborare da vent’anni, siamo legati da una grande amicizia. Lui ha registrato e mixato il disco al Sudeststudio e partecipato alla chitarra in due brani “In Bloom” e “Heart Shaped Box”. Il suo tocco inconfondibile imprime ai brani colori ed espressioni molto forti. Sono molto felice di questa nuova collaborazione insieme perché il suo contributo è fondamentale in questo progetto, soprattutto dal vivo. Il suo suono e i suoi tocchi da maestro si sentono e sono indispensabili.

Nelle esibizioni dal vivo c'è spazio all'improvvisazione?
Dal vivo usiamo delle sequenze per essere fedeli al disco, ma questo non significa che non improvvisi.
L’improvvisazione è molto importante, abbiamo aperto delle finestre armoniche per fare circolare più in modo naturale l’armonia del brano. Ci divertiamo tanto.

Concludendo, quali progetti hai attualmente in cantiere?
Ho già pronto il mio terzo disco in solo, mentre ad aprile del prossimo anno metterò un punto a un progetto con il fisarmonicista Rocco Nigro a cui lavoriamo insieme da tanti anni: ora è arrivato il momento di registrare questi brani originali e lo faremo a Real World Studio. È un viaggio nel Mediterraneo contemporaneo, come ci piace chiamarlo. Inoltre ho scritto le musiche di uno spettacolo teatrale, “Il viaggio dei bambini”, scritto da Giorgia Salicandro, che debutterà a marzo con la regia di Tonio De Nitto e due attori favolosi, Sara Bevilacqua e Riccardo Lanzarone. Racconta la tragedia del 1997 della nave Katër i Radës nel Canale di Otranto, nella quale hanno perso la vita tante persone e tanti bambini. Una tragedia che si ripete ancora e ancora purtroppo ai nostri giorni. E poi mi sto dedicando a comporre musiche per film: ho concluso un lavoro per un documentario che ha una produzione internazionale molto importante. Non posso ancora condividerne i dettagli ma ne sentirete parlare fra pochi mesi.


Redi Hasa – My Nirvana (Decca/Ponderosa Music Records, 2023)
Quando lo scorso 6 ottobre, abbiamo avuto modo di ascoltare dal vivo al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma il progetto “My Nirvana”, per l’ultimo appuntamento con il segmento autunnale del Festival Popolare Italiano, a colpirci è stato come Redi Hasa sia riuscito a portare le canzoni di Kurt Cobain laddove quest’ultimo non avrebbe mai immaginato potessero arrivare, sia musicalmente, sia dal punto di vista prettamente concettuale. Tutto questo è significativo per due ragioni importanti. La prima è che le canzoni dei Nirvana hanno una architettura musicale e una profondità tali da poter essere esplorate attraverso visioni musicali differenti, si vedano, ad esempio, le versioni strumentali per piano di Brad Mehldau di “Smells Like Teen Spirit” e “Lithium” quest’ultima con la complicità di Joshua Redman. La seconda è che il violoncellista albanese, ma salentino d’adozione, ha portato tutto questo ad un livello più alto, riscrivendo i brani del gruppo di Aberdeen, ora preservandone le linee melodiche, ora destrutturandole e ricomponendole, ora ancora esaltandone il lirismo e la tensione drammatica. Composto da nove brani, “My Nirvana” ripercorre in lungo e in largo il repertorio della band guidata da Kurt Cobain, una delle formazioni più influenti dell’alternative rock americano degli anni Novanta e a cui Redi Hasa è profondamente legato sia dal punto di vista musicale che da quello personale, riconnettendolo ai giorni in cui giovane studente del Conservatorio di Tirana, osservava la sua nazione cercare il proprio riscatto, dopo l’oppressione della dittatura comunista. Ad aprire il disco è “Love Buzz” dal repertorio degli olandesi Shocking Blue, primo singolo estratto da “Bleach”, il disco di debutto dei Nirvana e che Redi Hasa proietta verso un dimensione cameristica con il violoncello che si divide tra parte ritmica e melodica. Si prosegue con la struggente sequenza in cui ascoltiamo “Smells Like Teen Spirit” dal capolavoro “Nevermind” e il classico folk “My Girl (Where Did You Sleep Last Night)” di Lead Belly che Kurt Cobain eseguì in una toccante versione per “MTV Unplugged”. Se “In Bloom” decostruita in una versione tesa e vibrante tutta giocata sul dialogo/contrasto tra il violoncello e la chitarra elettrica baritona di Valerio Daniele, la successiva “Lithium” ci porta nei territori della musica contemporanea con le diverse sovraincisioni del violoncello che guidano un crescendo di grande suggestione. La toccante “Come As You Are” ancora da “Nevermind”, spicca per le intersezioni tra il violoncello pizzicato che rimanda alla parte ritmica e quello suonato con l’archetto che evoca la linea melodica originaria. “Heart Shaped Box”, ancora con la complicità della chitarra di Valerio Daniele ci conduce verso il finale le belle riletture di “All Apologies” e “Polly” che suggellano un disco di assoluto valore da ascoltare con grande attenzione dalla prima all’ultima nota.


Salvatore Esposito

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