A fronte delle misure del suo territorio, – è pur sempre di una regione che stiamo parlando! – la Bretagna è uno dei luoghi dove è esistita e persiste una produzione discografica di abbondanza sproporzionata. Questa concentrazione ha avuto a che fare, a mio avviso, col proverbiale orgoglio indipendentista dei bretoni, con la diffidenza radicata e l’opposizione verso tutto ciò che è proveniente dall’accentratore Stato francese. Lo sviluppo numerico delle etichette armoricane ha toccato il suo apice negli anni di massimo risveglio culturale bretone quando un po’ dappertutto in Francia (e non solo) il lirismo si allontanava dal discorsivo a favore del canto. Era palpabile ovunque l’urgenza si organizzare al meglio ogni settore che fosse in grado di dare rappresentanza alla creatività dell’arte regionale. In Bretagna in quegli anni si incontravano numerosissimi e talentuosi musicisti o cantanti esibirsi ad ogni angolo di strade, porti, stazioni, bettole e piazze, portati da una inarrestabile ondata di fascinazione e rinnovamento che prima evidentemente giaceva sopita. Per troppo tempo relegata nel chiuso delle famiglie, delle festoù-noz o dei pardon religiosi tradizionali, la musica bretone si stava finalmente togliendo di dosso le catene invisibili dell’antica “vergogna” indotta dai francesi. Una nuova liturgia le stava facendo assumere l’autocoscienza che porterà a quell’attenzione, valore e dignità che meritava e che si manifestarono pubblicamente tutte insieme nella
vibrazione universalista impersonificata dal successo di Alan Stivell. La star internazionale che portava al collo la spirale sempre presente in ogni arte celtica e cantava della ricerca di esoteriche isole felici dove la religione non razionalizzasse più l’immaginario di un uomo innalzatore di menhir, ponendo così tra lui e gli dei la distanza dei dogmi. Il suono dell’introspettiva arpa celtica assunse allora una voce teofanica che sembrava permettere il dialogo con un indecifrabile Infinito dentro il Tempio interiore eretto nel segreto di sé stessi. Fu come se il riecheggiare di una presenza secolare di queste melodie nel fondo bretone degli ascoltatori, testimoniasse una qualche loro naturalizzazione. Certo, numerose arie di origine profana e comuni a più provincie francesi, erano state introdotte in Bretagna dagli antichi predicatori, quali Père Maunoir o Dom Michel Le Nobletz (e probabilmente anche prima di loro) ma la fascinazione era forte anche lontano dalla regione (Italia compresa). Lo sguardo sulle arti in Bretagna era in mutazione, trovava nuove parole, immagini, metafore come in un grande libro aperto alla pagina indicata dal vento della consapevolezza di appartenere alla millenaria storia della misteriosa Keltia. Una specie di odissea temporale e spirituale collettiva
coinvolgeva tutti, una scrittura anarchica e favoleggiante sorgeva in una zona di frontiera tra arte popolare e arte colta, la poetica di un movimento descrittivo del pensiero e dell’anima all’uscita da un secolare isolamento. Grazie alla miccia del deflagrante Glenmor la parola aveva sposato la musica rinata sulla scintilla del periodo e insieme portarono i fantasmi del passato nella contemporaneità creando l’esplodere di un nuovo, inedito linguaggio folk. “...Dal seno del mare profondo, come un alcione nel suo nido, l’Anima bretone viene al mondo nella sua dura culla di granito, fu una sera, una sera d’autunno sotto un cielo basso cerchiato di ferro…” aveva scritto il poeta Charles Le Goffic qualche decennio prima. Piccole e grandi città bretoni negli anni Settanta del secolo scorso videro sorgere botteghe di liuteria ed etichette che oggi possiamo ben definire mitiche. I testi di narrazione in cui si sviluppano le storie si fondevano magicamente con il momento di epifania musicale che era sbocciato e quell’istante divenne finestra sul mondo, qualcosa di epico e lirico insieme. Il cammino era aperto, come canterà enfaticamente qualche anno dopo sempre Stivell “...più nulla fermerà il vento che soffia dal largo dell'oceano ai monti dell'Alta Cornovaglia, sopra i monti dell'Alta Cornovaglia” (Digor eo an hent). Ma ovviamente, come tutto, anche questa multiforme storia discografica ha pur sempre avuto un suo punto storico d’inizio. L’editoria documentaristica e musicologica nacque a Kemper con la creazione nel 1950 della prima casa di produzione di materiale fonografico installata in Bretagna, la Mouez Breiz (La Voce della Bretagna).
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