Clive Carroll – The Abbot. Clive Carroll Plays the Music of John Renbourn (Plumme Tree Music, 2023)

Il doveroso omaggio e il conseguente revival degli ultimi anni sul lavoro e sulla musica di Bert Jansch hanno messo ingiustamente in disparte l’altro grande chitarrista britannico, John Renbourn, che di Jansch è stato anche compagno nel breve periodo della avventura dei Pentangle. Che il chitarrista di Chelmsford Clive Carroll fosse l’unico vero erede del grande musicista Londinese è risaputo: Renbourn è stato per Carroll maestro e mentore, ospitandolo sul palco e condividendo tour e palchi da quando Clive era poco più che un ragazzo. Clive Carroll è oggi il più importante chitarrista acustico inglese della sua generazione: fantastico interprete, compositore straordinario (il suo “The Furthest Tree” è sicuramente il lavoro per sola chitarra acustica più significativo uscito negli ultimi dieci anni) e da sempre grande divulgatore della musica del suo maestro. Con questo lavoro, un doppio cd la cui durata sfiora le due ore, l’allievo rende omaggio al maestro, e, come sempre accade dai tempi di Cimabue e Giotto, lo supera persino. I capolavori di Renbourn sono re-interpretati, arricchiti e persino riscritti e le capacità tecnica di Carroll risplendono tanto da fare addirittura impallidire le versioni originali. Il repertorio comprende sia i brani ispirati alla musica medievale e rinascimentale, i brani di stampo blues, le composizioni originali del periodo post-Pentangle (da “The Hermit” a “The Pelican”, arricchita da un importante tessitura orchestrale) e persino le canzoni, una manciata delle quali interpretate (e bene) da Carroll stesso con una voce la cui inflessione ricorda molto quella di Renbourn (vedi “I Know my Babe” e “Blues Run The Game”), altre dalla sorella Airavata (un’ottima “So Clear”) e da una splendida Lisa Hannigan che canta la nenia natalizia “Watch the Stars”, oltre alla superba Jacqui McShee che re-interpreta se stessa in “Wedding Dress”. Non mancano i tradizionali irlandesi (il set “Lament for Owen Roe O’Neill/Mist Covered Mountains of Home/The Orphan’s”) e pezzi di altri autori che erano entrati da anni nel repertorio live del chitarrista Londinese, come “Little Niles” del pianista Randy Weston. Tutte le esecuzioni sono di una qualità impressionante, sia dal punto di vista tecnico che da quello interpretativo: la “English Dance” di Clive Carroll è più intellegibile dal punto di vista ritmico dell’originale, lo stesso si può dire per la giga “The Orphan”, mentre altri pezzi, “The Hermit” ad esempio, hanno mantenuto la scrittura originale, con una pulizia di esecuzione che però fa invidia persino all’autore. La scioltezza con cui Carroll interpreta “Another Monday” e “Faro’s Rag” è poi invidiabile. Eppure non c’è niente di freddo e di artefatto in questo lavoro: è l’omaggio di un grande chitarrista contemporaneo ad uno dei geni della chitarra del Novecento. A fine disco Carroll si inventa anche una suite, cucita attorno al riff di “Sidi Brahim”, cavallo di battaglia del John Renbourn Group, dove ospita Wizz Jones, Jacqui McShee, Stefan Grossmann ed altri musicisti in una cavalcata fra Rinascimento, musica world, tradizionali americani e britannici che sigilla questo bellissimo doppio album. Fra gli ospiti del disco anche Dariush Kanani, da anni impegnato nella diffusione della musica e del chitarrismo di Bert Jansch e ospite del tour di “The Abbott”: i due interpretano insieme “No Exit” dal seminale disco “Bert and John” del 1966. Infine, una curiosità: “The Abbot” era proprio il soprannome che nel giro del folk inglese veniva dato a John Renbourn e la copertina richiama molto quella del capolavoro “The Hermit” del 1976. 


Gianluca Dessì

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