Premio Andrea Parodi, XVI edizione, Cagliari, Teatro Massimo, 12-14 ottobre 2023

E come è giusto, parliamo di loro, gli otto finalisti del Premio che fin da giovedì 12 si sono esibiti con il loro brano in gara e un secondo motivo in repertorio. Come detto, non c’è stato un nome che abbia fatto davvero breccia, per intenderci come avevano fatto in passato Flo, Daniela Pes o Fanfara Station. Eppure, ben meritato il consenso ricevuto dai beneventani Osso Sacro con “Demetra sul tamburo”, composizione che, a dirla tutta, non decolla appieno, ma che offre un denso mix di spoken word e canto (opera del poeta Vittorio Zollo) con richiami al mondo della narrazione orale e all’immaginario folklorico sannita, con una sezione percussiva (tammora e batteria), chitarra elettrica ed elettronica su cui agiscono i fratelli Carlo e Corrado Ciervo, figli d’arte, nati e cresciuti nell’alveo folk revivalista creativo dei Musicalia (sono i figli di Amerigo Ciervo). Di loro ci siamo occupati in queste pagine in occasione della pubblicazione di “Urla dal confine”. Ben riuscita anche la loro cover del brano di Andrea Parodi, “De Bentu”, pur se l’uso della voce campionata dell’artista a cui è dedicato il Premio, è sembrato evidentemente un pochino ammiccante. Di fronte alla mancanza di un guizzo, la giuria critica (in cui è consistente la componente di generalisti) ha trovato il bene rifugio nell’essenzialità acustica degli arpeggi di chitarra e della poetica in lingua sarda di Andrea Andrillo (“Sa noti de is animas”), tratto da “Bella cantandi”.  Di suoni acustici era cucita anche “Mare e arena” di Hiram
Salsano (voce e tammorra) e del suo compagno Catello Gargiulo (fisarmonica). Un brano tra i migliori dell’album “Bucolica”,  brano costruito su una fronna e su strambotti amorosi scherzosi tradizionali tipici della tammurriata, che nel disco veleggiava sulle corde dell’oud, che conferiva una spinta immaginificamente world. Evidentemente la combinazione timbrica proposta a Cagliari non ha conquistato le giurie italiane: parliamo di un timbro vocale dalle belle sfumature, una voce che sa essere terragna ma anche levigata, ma che forse non è stata esaltata dalla combinazione dei suoni ed è sembrata non spiegarsi appieno sul palco. Una voce però che è piaciuta alla giuria internazionale, che le ha attribuito la sua menzione speciale. E qui si potrebbe aprire un’altra discussione sullo scollamento che sovente caratterizza le scelte della giuria di giornalisti internazionali e quelle della stampa italiana e della giuria tecnica: roba da ricerca musicologica sulle diverse modalità di significare la world music e di percepire cosa sia tradizione italiana. Se poi parliamo di folk, Guido Maria Grillo (riconoscimento per la miglior interpretazione di un pezzo di Andrea Parodi, “Armentos”), nome dotato di non poco peso mediatico visti le sue passate
collaborazioni e premi raccolti, ha messo in mostra una grana vocale di pregio, ma in “Lettera a un figlio”, canzone di ascendenza napoletana, l’accompagnamento di arpa elettrificata, lira calabrese e pipita sembravano fare più colore “etnico” che dare maggiore propulsione alla voce svettante. Se ancora di canzoni vogliamo parlare, “Semu” dei siciliani Curamunì, un duo divenuto un quartetto per l’occasione, si è aggiudicato il premio per la miglior musica, mentre le corde e le voci del sestetto ciociaro Trillanti, che hanno presentato “Evado”, non hanno fatto breccia pure avendo proposto un bel testo intorno al quale hanno elaborato un vestito musicale da canzone dialettale. All’asciutto di menzioni il quartetto Ra di Spina, ancora un gruppo campano in un premio a trazione meridionale, che fa interagire voci davvero interessanti, elettronica e loop station. “Madonna quant’è jirti stu palazzo” non ha fatto centro dal vivo ed è un vero peccato, perché il progetto ha margini di crescita. A proposito di loop, l’ha utilizzato la spagnola Looping Greis (al secolo Gracia Texidor), menzione dei giovani dell’organizzazione, voce, elettronica e body percussion, in un amalgama accattivante ma ormai abusato. In conclusione, per chi frequenta da anni 
il Premio e scrive per un magazine che vuole essere anche area di dibattito e di servizio, tirare le somme significa anche lanciare nuove idee, piuttosto che riprendere comunicati stampa o raccontare quanto si stia bene a Cagliari, che poi è del tutto vero, perché detto a chiare lettere il calore del Premio Parodi, l’ospitalità e la comunità che si costruisce nei giorni della rassegna sono un invidiabile valore aggiunto di questa manifestazione. La formula del contest sembra ormai perdere smalto in un’Italia inflazionata da Premi. Le proposte musicali non sempre riescono ad emergere pienamente nel presentare due soli brani, di cui uno in gara. Chissà se ridurre i finalisti e concedere loro un set più lungo che metta a fuoco la fisionomia del progetto musicale non sia una strada da seguire. Ancora, perché non aprire alla musica strumentale? Dopotutto la manifestazione è dedicata a un artista la cui voce era un mirabile strumento, davvero unico. Budget permettendo, il contest potrebbe rientrare in un più ampio festival, che possa portare in scena artisti italiani e internazionali che non siano solo guest star, ma protagonisti di showcase. Non da ultimo, in un’Europa di network di professional, di piattaforme strategiche per gli artisti (una su tutti Upbeat), di fiere e festival, non si può tralasciare la necessità di navigare oltre i confini isolani e perfino italiani per confrontarsi con i luoghi e operatori, che agiscono nell’ambito della musica world, glocal, nu trad o nu folk, comunque desiderate catalogarla. Che poi qualunque cosa sia la “world music”, qualche coordinata occorrerà pur darla, altrimenti che senso ha il Premio Andrea Parodi? 


Ciro De Rosa

Foto di Gianfilippo Masserano

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