Hiram Salsano – Bucolica (Autoprodotto, 2023)

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Il debutto di Hiram Salsano lascia il segno: “Bucolica” è stato suonato da Kathryn Tickell nel programma Music Planet di BBC Radio 3, è entrato di getto tra i primi dieci album della Transglobal World Music Chart, Ian A. Anderson, guru britannico della folk music, l’ha messo in scaletta accanto a Shirley Collins nella sua playlist, riscontri lusinghieri anche da Cliff Furnald, direttore di “RootsWorld”. Può bastare a far capire che si tratta di un lavoro che non passa inosservato? 
Euritmia ed etnografia nella formazione di Salsano, nativa di Agropoli (classe 1988), cresciuta fino ai dieci anni a Cava de’ Tirreni e poi trasferitasi a Castelcivita, alle pendici dei Monti Alburni, dove risiede tutt’oggi provvedendo con il suo compagno di vita e d’arte, Catello Gargiulo, all’autosostentamento rurale di una famiglia sempre pronta a donare ospitalità. Hiram ha concentrato i suoi interessi di ricerca sulle danze e le musiche tradizionali del Sud Italia, approfondendo maggiormente quelle della sua area di provenienza, la Campania. Tiene laboratori di danze tradizionali sia in Italia che all’estero, crea nella bottega artigianale di famiglia dedita ai manufatti in legno d'ulivo cilentano. 
“Rocce, fili d’erba, mirto e lentisco: voglio perdermi e ritrovarmi fra questi elementi”, così introduce il suo “Bucolica”, che parte dagli Alburni per toccare il Cilento e il Vallo di Diano, ma anche dall’entroterra napoletano e dall’Appennino centro-meridionale nel segno della trasmissione delle memorie e della reinvenzione di nove temi di tradizione orale, riarrangiati per un piccolo ensemble di fini suonatori e cultori, ad alto tasso di credibilità per il loro rapporto profondo con le comunità locali e le musiche di tradizione orale: il già citato Catello Gargiulo (fisarmonica, marranzano, voce, flauto
armonico e tamburi a cornice), da Gianluca Zammarelli (chitarra battente, zampogna, ciaramella), costruttore di strumenti e testimone e memoria al contempo di stili, partiche e repertori cilentani,  Peppe Frana all’oud, esperto di musiche modali e di cordofoni del Grande Medio Oriente; infine, l’efficace batterista Mario Pivetta, amico di vecchia data. Al centro di questo lavoro “naturale”, che ricerca l’essenzialità è la voce-strumento della cantante, autrice, percussionista, performer e ricercatrice che abbiamo raggiunto per approfondire la sua visione di vita e il suo mondo musicale. 

Come nasce il tuo rapporto con le musiche e il ballo di tradizione orale?
Nasce dall'incontro con dei giovani dell’area dei Monti Lattari (Na) che si occupavano di recupero del proprio repertorio musicale.

Come si è sviluppato il tuo percorso musicale?
Non ho seguito percorsi accademici, la possibilità di poter suonare la propria musica è nata imitando i canti e i suoni di tradizione orale ascoltati. Ho poi seguito formazioni brevi che mi hanno dato modo di conoscere lo strumento voce, portando conoscenza e sensibilità alla respirazione, all’emissione, all’intonazione e via discorrendo… Seguendo i ragazzi di cui vi parlavo prima, andavamo insieme alle feste tradizionali o in casa di cantori e suonatori per recuperare, canti, suoni, racconti. Registravamo e ascoltavamo ogni cosa con la finalità di apprendere le modalità di esecuzione, che erano così complesse da 
riprodurre

Vivi in campagna, non lontano dalle splendide Grotte di Castelcivita: una scelta di vita. Che implicazioni comporta questa scelta familiare? Come il respiro dei luoghi influenza la tua musica? 
Vivo in campagna ed è stata una scelta così naturale, forse perché ho avuto la possibilità da bambina di poter stare a contatto con la natura e assaporare ogni beneficio che offre; tanto da voler garantire un futuro simile anche ai miei figli. Questa scelta influenza moltissimo la mia musica, i maestosi monti Alburni, il fiume Calore che scorre indisturbato, i pioppi, il vento leggero, i campanacci delle mucche che pascolano, ogni cosa di questo territorio suggerisce informazioni che automaticamente si trasferiscono nella musica che provo a suonare.

Perché hai voluto intitolare l’album “Bucolica”? 
Mi è sembrato il titolo più adatto ad anticipare il concetto e le sonorità presenti nell’album, oltre che a presentare un piccolo spaccato personale. L’aggettivo bucolico trasformato al femminile, vuole discostarsi dalla visione idilliaca e poetica a cui spesso fa riferimento, piuttosto ritorna alla semplicità etimologica.

Un disco sulla memoria dei canti, ma non passatista? 
Assolutamente, questa memoria rimane viva se praticata, ma non subisce il passato, non potrebbe. Adoro questi canti e melodie, dopo la fase di imitazione per l'apprendimento ho sentito il bisogno di farli miei, 
con tutta la contemporaneità che vivo ogni giorno.

La tua è una voce che sa narrare, ma che è anche usata come strumento…
Mi piace l’idea che la voce può diventare strumento d’accompagnamento dando supporto alla voce principale e grazie all’apparecchiatura elettronica riesco a lavorare con essa creando sovrapposizioni. La voce è uno strumento con possibilità infinite, tutte da scoprire ed essendo connessa direttamente al corpo umano ha il potere di trasformarci dall'interno.

Accanto ci sono musicisti non scelti a caso: li presenti?
Catello Gargiulo, principalmente fisarmonicista e polistrumentista nonché compagno di vita e di musica. Gianluca Zammarelli, polistrumentista, ricercatore, appassionato ed esperto di musica tradizionale, maggiormente del Cilento, anche se i suoi interessi musicali si estendono dall'Italia al blues americano. Peppe Frana, polistrumentista esperto di musiche modali extraeuropee. Mario Pivetta, batterista con un'attività concertistica molto florida, nonché amico di vecchia data della mia famiglia, mi ha affiancato con la sua esperienza nella produzione. In questa occasione, oltre ai musicisti vorrei presentare anche Francesco Aiello, ingegnere del suono del MIOH studio, che ha curato le riprese audio, il mixaggio e master.

Con che approccio usi l’elettronica?
Utilizzo principalmente una loop station, legata in ogni caso al suono ripreso dal vivo, i loop mi danno 
modo di sovrapporre e riprodurre creando un ambiente sonoro adatto al canto. Questa dimensione del suono che inizia e finisce per poi ricominciare mi riporta alla ciclicità della natura.

Come si è sviluppato il lavoro compositivo e di selezione delle tracce?
Il lavoro compositivo parte dalla voce che rimane l’unico strumento di mia conoscenza, prima fisso l’idea con la voce poi eventualmente, si trasportano le parti su altri strumenti. Per la scelta delle tracce, ho seguito i canti che appartengono ai vari momenti della cultura agropastorale. Lavoro, relazioni con l’amata/o, il padrone, il figlio da cullare. Tutto questo appartiene al fare quotidiano e all’esigenza di comunicare con il canto qualcosa di pratico.

Subito ci porti in Cilento con “Otreviva”. Di che motivo si tratta? 
“Otreviva” è una tarantella cantata su una zampogna, simulata dalla voce, che vede insieme diverse strofe di amore, corteggiamento, amicizia.

“Angelina” è in origine è una serenata tradizionale, ma la tua rilettura assume una prospettiva ben diversa dall’originale…
Nel caso di Angelina, ho voluto prendere un brano della tradizione, spesso cantato da un uomo alla propria amata e provare a vederlo dalla prospettiva femminile. Aprendo una riflessione sulla possibilità di non subire un destino, legato alla serenata, dando alla donna la possibilità di rifiutare e non seguire l'imposizione sociale; lasciando che tutto rimanesse velato e soprattutto non muovendo le strofe tradizionali.

Il lavoro è al centro di “Padrone”, brano sorprendente sul piano ritmico…
Il lavoro che spesso si associa alla fatica fisica e alle ingiustizie, è un tema da sempre cantato e purtroppo sempre attuale. In “Padrone” ho messo insieme un canto sull’ascia dei Monti Lattari e un canto di protesta 

bracciantile diffuso nel ‘900 in tutto il meridione. L’utilizzo di una ritmica così importante, suonata con la batteria all'inizio mi lasciava abbastanza perplessa, in fase di produzione poi mi ha convinta, mi ha conquistata, ha rafforzato il sentimento che aveva dato origine all’arrangiamento.

Pur se con fisionomie differenti, “Tarantà” e “Ciccì” rappresentano rivelano  l’anima danzante del disco…
Sicuramente, oltre che ad essere agli opposti, in “Tarantà” sono partita da una filastrocca, appresa da mio nonno che è di Cava dei Tirreni (Sa); una cantilena, se vogliamo anche monotona che poi è diventata tutt'altro. “Cicci” invece è un canto sul tamburo con un profilo molto ricco, già adatto alla danza; comincia con una ritmica vocale, come spesso accadeva in passato, il tamburo non era presente in tutte le case e si cantava accompagnando con le voci.

L’amore è il tema “Mare e Arena”, uno dei brani che spiccano anche sul piano musicale con la sua transizione, in cui hai usato, come per gli altri brani, testi tradizionali. Di che provenienza? C’è un’immagine chiave?
In “Mare e Arena” ho messo insieme strambotti (barzellette) tradizionali, utilizzati nel canto sul tamburo del napoletano, dedicati ai rapporti amorosi. Ad evidenziare il pulsare dell'amore. L’immagine chiave è descritta nell’intro: “Come sbattono le onde del mare, allo stesso modo sbattono i cuori degli innamorati", che è una "Fronna 'e limone", canto tipico dell'area partenopea, armonicamente riarrangiata, conservando
però il suo stile originario. 

Ascoltando “Tradere”, inevitabile chiederti che significato ha per te la tradizione…
La tradizione per me è un elemento molto plastico, che ha radici profondissime basate su esigenze umane. Esigenze che cambiano nel corso del tempo. La tradizione viene messa in pratica e la sensibilità del singolo da un’espressione che tradisce a sua volta la fonte. Il ritornello “tradire e da, tradire e fa” è esplicativo, racconta di questo passaggio che si tradisce ogni volta, conservandone la memoria.

“Vulesse” è un altro gran momento corale…
In “Vulesse” troviamo Catello alla fisarmonica che accompagna il canto, Gianluca si inserisce con i bordoni e poi con una suonata di zampogna, il richiamo di una tarantella tradizionale esplode, in questo brano dedicato ai desideri.

Chiudi con “Nonna nonna”, che origine ha questa ninna nanna?
In origine è una ninna nanna più una filastrocca che ascoltavo da mia nonna. In questo brano si addensano i ricordi. Per la sua composizione mi sono ispirata alle sensazioni sonore che si creavano durante i riposini pomeridiani, quando ero piccola. Gli sbalzi di voce della mia nonna, da acuta a grave che poi risolvevano 
in gioco, intrattenimento, e io, affascinata, ascoltavo.

Che musica ascolta ed emoziona Hiram Salsano? 
Hiram ascolta tantissima musica, da Bartok a Nina Simone, passando da Zì Giannino (indimenticato cantore tradizionale campano, ndr) ai Pink Floyd, tutto quello che è musica “vera” è nelle mie corde e questo ascolto plasma il mio modo di cantare ogni giorno. 

Un altro progetto in cui sei coinvolta è la “Banda del Sud”. 
La banda del Sud è un progetto ideato da Gigi di Luca che ha visto insieme 10 artisti di tutte le regioni del Sud Italia, per una residenza artistica, che ha prodotto uno spettacolo fantastico, con la direzione di Mario Crispi. Un progetto ambizioso e lungimirante che non solo vede insieme i suoni di più regioni ma si apre alla musica del mondo.

“Bucolica” è anche un live set? 
Si, ci sono date in continuo aggiornamento sulla mia pagina di Google sites. Durante il live ripropongo insieme a Catello e o quando possibile insieme a tutti i musicisti del disco, l'intero album e altri brani. https://sites.google.com/view/hiramsalsano/home-page


Hiram Salsano – Bucolica (Autoprodotto, 2023)
Il linguaggio del folk come elemento sociale vivo nel canto di Hiram Salsano, denso di cultura popolare che dal passato rivive nel presente. Ricerca, celebrazione, reinvenzione e trasmissione di memorie: un’immersione nei suoni della tradizione orale rivisitata con gusto e rispetto da chi ne possiede consapevolmente il linguaggio. In una coralità di intenti, nel suo debutto Hiram Salsano (voce, loop vocali, tamburi a cornice e castagnette) è in compagnia di Catello Gargiulo (fisarmonicista e polistrumentista), Gianluca Zammarelli (chitarra battente, zampogna, ciaramella), Peppe Frana (oud) e Mario Pivetta (batteria).  Il brano d’apertura, “Otreviva”, parte con un cinguettio, suono di campanacci, richiami di bestiame e una voce in loop che imita la zampogna, poi il canto incalza mettendo insieme strofe di amore e d’amicizia su un ritmo di tarantella di area cilentano-lucana portato dalla zampogna a chiave insieme alla fisarmonica e alle percussioni. Parte con il pulsare del tamburo e la fisarmonica la successiva “Angelina”, una serenata tradizionale ridisegnata con taglio e prospettiva femminile. Sugli arpeggi cristallini della chitarra battente e con innesti di loop si espone la voce di Hiram, particolarissima nell’intensa passionalità, nella duttilità e nella pronuncia. Marranzano e flauto armonico conducono l’iterativa e percussiva “Tarantà”, concepita a partire da una filastrocca di area cavese e con un inatteso exploit blues finale. A sorprendere è pure “Padrone”, combinazione di un canto degli spaccalegna e di un canto di protesta bracciantile novecentesco diffuso con varianti locali in tutto il sud Italia. Qui, il canto è scuro e accorato nella prima parte per poi assumere, con un cambio di passo, una fisionomia in levare sostenuta dalla batteria, mentre gli strumenti (ciaramella e fisarmonica) si muovono con libertà improvvisando sul profilo melodico. Il ritmo vocale introduce il liberatorio canto sul tamburo “Ciccì” in cui la voce, potente, è sostenuta da marranzano e dalla propulsione e solidità ritmica fornita dai vocalizzi in loop e dal tamburo a cornice. Irresistibile frenesia danzante. Fa ancora meglio “Amore e Arena”, motivo costruito su una fronna e sulle “barzellette” (gli strambotti a carattere ironico) della tammurriata di tema amoroso e sulle digressioni fascinose, cangianti e contrapposte quanto ad atmosfere prodotte, dell’oud e della fisarmonica. “Tradire e da, tradire e fa” è il ritornello dichiarativo e coinvolgente nell’esuberante “Tradere”, dove la voce di Gargiulo si unisce a quella di Salsano, in un gioco avvincete di armonizzazione e contrappunto. Nei desideri di “Vulesse” la voce di Hiram trova sponda nella fisarmonica, nei bordoni e nel dispiegarsi di una impetuosa tarantella per zampogna. In chiusura, c’è “Nonna nonna”, canto intimo e riverberato appoggiato a un bordone digitale, mentre le corde del liuto arabo ricamano con ragguardevole fluidità, lanciando l’accelerazione vocale e ritmica finale.  La stoffa c’è tutta: con un timbro ricco di sfumature e tensione emozionale, grintoso e appassionato al contempo; una voce che ha il dono di una controllata sobrietà e della schietta naturalezza, capace di stare dentro i repertori tradizionali ma anche di sfuggirne i cliché con lieve sfrontatezza e scelte inusuali. I trentotto minuti di “Bucolica” sono più di un bel biglietto da visita. Meritevole.


Ciro De Rosa

Foto di G. Mandola da 1 a 6
Foto di P. Perrone da 7 a 8

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