Nella parte centrale asiatica vivono all’incirca una decina di milioni di persone, il linguaggio turco e la religione musulmana sono i fattori di appartenenza e solidarietà del popolo uiguro che, tra estati roventi e inverni pungenti, abita la regione dello Xinjiang (o Shinjang - Nuova Frontiera). Una terra, autonoma dal 1955, che ospita anche altri gruppi etnici, numericamente inferiori: han, hui, kazaki, kirghizi, mongoli, russi, tagiki, tibetani, xibe. Lo Xinjiang contiene monti di altezze seconde solo all’Everest e deserti stepposi la cui depressione raggiunge i 154 metri sotto il livello del mare, possiede inoltre una vicenda documentata da almeno 2.500 anni. La storia ci ha raccontato spesso di fili immaginari che correvano lungo l’antica Via della Seta tenendo uniti luoghi come Bukhara o Samarcanda, meno dei misteriosi percorsi erratici di pastori nomadi e tribù guerriere. La ricchezza musicale dello Xinjiang si deve soprattutto a una posizione strategica d’incontro il cui antico ultimo cammino finiva sempre per condurre alla corte imperiale, mentre tutt’attorno Buddismo e Cristianesimo Nestoriano coesistevano con le credenze tradizionali in una
raffinata e cosmopolita cultura urbana. Gli arcaici testi uiguri rappresentano le prime forme di letteratura turca, sarà l’islamizzazione iniziata durante il X secolo a favorire l’intensificarsi delle connessioni culturali persiane fino a modellare una nuova versione dell’intero alfabeto arabo. Queste basi porteranno alla moderna lingua ufficiale oggi praticata nell’Uzbekistan. Gli imperi hanno combattuto da sempre per controllare la terra degli uiguri, in tempi recenti (estate 2009), le autorità cinesi decisero di radere al suolo il centro storico della città di Kashgar, prevedendo la pena capitale per chi si ribellava e la reazione della gente non si fece attendere. Uno spaventoso inferno distopico fatto di “campi rieducativi” cinesi creerà la diaspora uigura e un genocidio umano e culturale che ha tolto a questo popolo finanche il diritto di pregare. Ovunque, le identità culturali collettive sono creazioni umane, prodotti dell’immaginazione sociale e della creatività, sentimenti indispensabili che i suoni rappresentano ovunque benissimo, al di là delle parole. La ricchezza musicale di queste genti va dagli ensembles muqam classici al folk rurale,
lo strumento-emblema delle loro sonorità è il dutar, utilizzato in entrambi i casi. Si tratta di una specie di liuto, in origine riservato ai pastori, composto da listelli di legno sagomati a forma di pera, dal suono caldo e dal manico che varia da uno a due metri di lunghezza, con una coppia di corde di catgut ricavato dalle interiora degli animali da pascolo (oggi si utilizza più comodamente il nylon) che gli uiguri pizzicano senza plettro (mentre altrove viene suonato diversamente). Il suo nome, di origine persiana, significa banalmente “due corde” ed è strumento assai affine al dombra kazako, al setar iraniano e al bağlama turco. Nonostante la sua semplicità è però capace di polifonici effetti assai evocativi. I testi delle liriche uigure indugiano sovente nel tema degli amori tragici, quando non sono religiosi o a sfondo storico, le narrazioni epiche “dastan” occupano un ruolo fondamentale nella tradizione e sono in genere incentrate su un eroe o una eroina, principalmente come metodo di insegnamento o guida spirituale.
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