Acqua Potente: La voce del popolo Uiguro

I protagonisti proteggono tribù e popolo da nemici e invasori ma sono personaggi raramente reali o storicamente esistiti, lo scopo principale dei “dastan” sta nella trasmissione di saggezza. Gli uiguri possiedono anche un ricco repertorio musical/poetico relativo alla cultura sufista della Turchia dell’est dove l’Islam è tradizione sunnita che ha incorporato molti costumi e forme di espressione preislamici. La sovrapposizione culturale iraniana e turca è stata la culla di molte forme rituali classiche sufi che in seguito si sono diffuse nell’universo musulmano. Lo stesso sommo poeta mistico e filosofo medioevale Jalal al-din Rumi (magistralmente evocato anche da Leonard Cohen in “Recent Songs”) era nato nella città battriana di Balkh, che oggi è collocata nel nord dell’Afghanistan. Nella musica e nelle parole delle canzoni folk uigure si odono gli echi delle antiche pratiche sciamaniche e dei metodi esoterici sopravvissuti fino al XX secolo, specialmente nelle zone rurali e meno contaminate dalla modernità. Questo grazie ai “baqshis”, bardi (oggi anche donne) guardiani di una cultura tramandata unicamente in forma orale, che dedicano l’intera vita alla memorizzazione e alla recitazione dei poemi epici storici, sempre accompagnandosi con il dutur. Uno di loro, Dede Korkut, si sostiene essere inventore del violino a due corde, conosciuto come qobyz, lo strumento preferito dagli sciamani. Talvolta vengono utilizzate pure delle percussioni (dap) che simboleggiano un immaginario veicolo (più frequentemente un
cavallo) che funge da trasporto lungo i viaggi spirituali in direzione di regni trascendenti. Gli uiguri usano coltivare la loro tradizione musicale in rituali “zikr” (in urdo) come atti devozionali sacri dove gli strumenti musicali dutur e dap mantengono ruoli di grande significato e importanza. Un’abitudine sufi anti-dogmatica comune è decisamente quella praticata dagli “ashiqs” (in arabo/persiano: “coloro che sono innamorati”): menestrelli folk mendicanti del Caucaso che vagabondano cantando in una combinazione di poesia, danza, narrazione, musica vocale e strumentale. In taluni casi costoro possono assurgere al ruolo di veri e propri cantanti di protesta e i loro testi denunciare povertà, miserie e soprusi perpetrati da oppressivi potenti locali. Nell’epoca recente, il più straordinario di questi è stato Kurash Sultan, cantautore, multistrumentista, anche studioso, letterato e pedagogo. Nato a Urumchi, la capitale del Turkestan orientale, discendente di un padre combattente nazionalista morto in esilio e di un nonno deceduto in galera dov’era imprigionato per le medesime ragioni, una volta ebbe a dichiarare: “...quando mi stavano allattando, il sapore era amaro, era quello dell’ingiustizia e del pregiudizio, la rabbia imperversava nel sangue di mia madre…”. Da giovane Kurash fu svariate volte ufficialmente premiato dalle autorità cinesi per meriti artistici ma tutto mutò col progressivo cambio di rotta della politica amministrativa interna statale. La colonizzazione delle provincie, l’economica e ideologica liberalizzazione d’inizio anni novanta del secolo scorso si trasformò anche in feroce avversione contro le espressioni culturali delle minoranze. Ciò non risparmiò Kurash che venne espulso nel 1993 dall’Istituto d’Arte di Xinjiang, il passaporto gli fu confiscato, lo pedinarono e monitorarono costantemente. Dopo essere stato interdetto a pubbliche esibizioni artistiche a cui fossero presenti più di otto persone, lo costrinsero a campare di espedienti per tre anni, condannandolo agli arresti
domiciliari. Stremato nel ‘96 si decise a fuggire grazie all’aiuto di amici compiacenti, dapprima in Turchia e quindi l’anno seguente in Kirghizistan, dove le autorità lo individuarono e imprigionarono senza alcun processo, per un periodo di nove mesi, non esitando a torturarlo per compiacere alle pressioni dell’influente governo di Pechino. In degradanti condizioni psico-fisiche ebbe comunque la forza di comporre in cella la canzone “Atlan Dok” (Alla Libertà) rivolta alla condizione culturale degli uiguri ("...non ci arrenderemo mai, non moriremo mai, non tradiremo la religione, noi siamo il popolo più grande dei popoli pagani turchi perché siamo il primo popolo pagano turco, finché la Cina non crollerà, Kurash non morirà...”) Inutile sottolineare come le sue canzoni sovversive fossero severamente interdette nella Repubblica Cinese. Dopo l’intervento delle Nazioni Unite nel 1999, Kurash chiederà asilo politico alla Svezia, in attesa del quale le autorità lo assegneranno a lavorare in un café della città centro-orientale di Eskilstuna, 120 chilometri circa ad ovest di Stoccolma e fu lì che fortunosamente qualcuno si accorse del fine intellettuale che si trovava di fronte. Lui imparò la nuova lingua e collaborò con quel monumento della musica folk svedese che è Arild Staffan (Ale) Möller che volle ospitarlo, inserendo la straordinaria “Atlan Dok” nel repertorio della propria band (la si ascolta nel CD “Bodjan”, 2004). Fu invitato a partecipare ad alcuni festival europei, pubblicando nel 2002 “Uyghur folk songs” e nel 2004 “Tunes of Kuchar (Songs for freedom)”, dischi purtroppo oggi introvabili sul mercato discografico. Fu quindi proprio lì lungo il fiume Eskilstunaån, che collega i laghi Hjälmaren e 
Mälaren, tra i più grandi del Paese, che Kurash Sultan ha fermato la propria odissea negli ultimi giorni del secolo scorso, con in mano il dutar e la sua poesia come uniche identità. Erkilstuna è diventato il porto europeo di accoglienza della sua grandiosa creatività. Purtroppo un attacco di cuore lo ha portato via a soli 47 anni ma lo Svenskt Visarkiv (Centro Svedese di Ricerca della Musica Folk e Jazz) non ha dimenticato questa sua preziosa eredità. Le canzoni di Kurash Sultan sono piccoli miracoli poetici, voce intera degli uiguri “che non possiedono una vita reale”. “Atlan Dok” è stata ripresa anche all’interno della compilation norvegese: “Various: Freemuse & Deeyah Present: Listen To The Banned” (2010). Nel 2011 la Caprice Records di Stoccolma ha meritoriamente pubblicato postumo il CD “Ärkäk Su” (Acqua potente), contenente undici brani originali registrati nel 2006, pochi mesi prima dell’improvvisa scomparsa il 29 ottobre, al Centro Culturale di Eskilstuna. In coda è stata inserita anche la ripresa di un precedente (2002) brano tradizionale introspettivo uiguro “Hawada” (Nell’aria) che narra la danza d’ombra delle nuvole e di come la vita sia un grande mistero. Dopo questi eventi, piace pensare che questa città della parte centro-orientale svedese a poco più di un centinaio di chilometri da Stoccolma, in realtà non si trovi più solo nella contea di Södermanland ma che in un sogno musicale leggendario, il suo nome si possa leggere sull’immaginaria mappa contemporanea della remota terra degli indigeni uiguri. 


Flavio Poltronieri 

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