Didgeridoo, icona world: Intervista con Fabio Gagliardi

Percussionista ed eclettico suonatore di didgeridoo, Fabio Gagliardi ha alle spalle un articolato percorso formativo e artistico che lo ha condotto a sviluppare un personale stile esecutivo, esaltato dalla costante tensione verso la ricerca e la sperimentazione. Nel 2006 ha dato vita al duo Tupa Ruja con la cantautrice Martina Lupi e, nell’arco di oltre tre lustri di attività, hanno messo in fila numerosi concerti e partecipazioni ai principali festival world, oltre a dare alle stampe quattro album “Terra Mi Chiami” nel 2007, “Suono dunque Sono” nel 2011, e Impronte Live del 2014 in trio con Alessandro Chessa e il più recente “In questo viaggio” nel 2019. Parallelamente all’attività musicale, molto intensa è stata anche quella didattica con corsi e workshop, oltre a collaborare con le cattedre di Etnologia, Etnomusicologia e Storia delle Tradizioni Popolari della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata con la quale ha realizzato nel 2011 il progetto “Le vie dei canti”, musica tradizionale, naturale, terapeutica”. A cristallizzare la sua esperienza da didatta e il suo metodo di insegnamento è il volume “Metodo di Didgeridoo”, pubblicato con la piattaforma Amazon e accompagnato da sessantacinque esempi audio, raggiungibili con QR Code. Frutto di un intenso lavoro di studio e ricerca, il testo presenta una introduzione storica e organologica sul didgeridoo per poi passare alla disamina delle varie tecniche esecutive con particolare riferimento alla respirazione circolare, gli armonici, la voce, gli esercizi ritmici, l’effetto tromba e gli altri suoni. 
Abbiamo intervistato il musicista ligure per ripercorrere il suo percorso formativo, soffermarci sul suo stile esecutivo e la didattica, oltre ovviamente a farci raccontare questa il recente volume didattico.

Partiamo da lontano, come ti sei avvicinato al didgeridoo?
Era il 1999, avevo 17 anni e vivevo a Genova, dove studiavo e praticavo arti marziali. Durante un seminario di kung fu che si teneva in cima ad un monte sulle alture liguri, sentii un suono che non riuscii subito a decifrare, ma che come una calamita mi attirava verso sé. Arrivato all’origine del suono, vidi due persone che si esercitavano in una forma di Tai Chi Chuan, ed un ragazzo che accompagnava i loro movimenti, emettendo dei suoni mai sentiti prima di allora, soffiando all’interno di un tronco di legno cavo. Ancora non ne ero consapevole, ma ero di fronte allo strumento che mi avrebbe cambiato la vita. 

Cosa ti ha affascinato di uno strumento così particolare dal punto di vista organologico?
Senza ombra di dubbio la sua “semplicità”. Pensare che da un semplice tronco cavo possano fuoriuscire una quantità di suoni pari solo alla fantasia del musicista che lo suona, è un aspetto che tutt’ora mi affascina enormemente. 

Come hai approcciato lo studio di questo strumento? Hai avuto un insegnante?
Quando ho iniziato a studiare il didgeridoo, non conoscevo nessun’altra persona che suonasse questo strumento e non c’erano i mezzi di oggi per accedere a lezioni o tutorial online. YouTube sarebbe nato solo sei anni più tardi. La fortuna ha voluto che andando ancora a scuola avessi abbastanza tempo libero, che per la maggior parte impiegavo nella pratica del didgeridoo. Come autodidatta mi sono scontrato con non poche difficoltà, prima tra tutte l’apprendimento della respirazione circolare. A differenza degli altri strumenti, in cui si usano mani e dita per percuotere o premere tasti, per tappare buchi o pizzicare corde, nel didgeridoo avviene tutto all’interno della bocca e si è quindi obbligati ad indagare dentro se stessi per trovare suoni, scoprire tecniche e correggere errori, soprattutto se si studia da autodidatta. Più avanti ho avuto vari insegnanti, di tromba, percussioni e canto armonico. Ho poi riportato le tecniche e le nozioni apprese, all’interno del didgeridoo, provando così a creare uno stile il più possibile personale.

Negli anni come hai sviluppato la tua personale tecnica esecutiva? Quali particolari accorgimenti usi nell'approccio allo strumento?
Il didgeridoo si classifica tra gli strumenti musicali come aerofono ad ancia labiale. Io lo intendo più come una “percussione a fiato”. Trasporto infatti all’interno del didgeridoo tecniche di konnakol (solfeggio indiano), tecniche proprie della beat-box, ritmiche imparate nello studio dei tamburi a cornice, che lo trasformano in una vera e propria percussione da suonare con la bocca. Inoltre, nonostante sia uno strumento monotonale, cerco di conferirgli il più possibile una buona musicalità, focalizzandomi sulla pulizia del suono e di conseguenza sull’ottenimento di armonici chiari e brillanti e sull’utilizzo della voce.

Quali sono le potenzialità espressive del didgeridoo?
Nonostante sia uno strumento apparentemente semplice, il didgeridoo ha enormi potenzialità espressive, soprattutto se approfondiamo il mondo della ritmica. Si può accostare benissimo ad altri strumenti; con il gruppo Tupa Ruja lo abbiniamo alla voce, alla chitarra e alle percussioni e nel recente passato al pianoforte. È uno strumento che, organizzando a dovere i brani, funziona bene anche come solista. Infatti quando si suona si riproducono più suoni contemporaneamente, che possono rivestire i ruoli di basso, batteria e addirittura si può dare una linea melodica con la voce, o con i “toot” (un particolare effetto simile agli armonici degli ottoni).   

Ci sono particolari accorgimenti da osservare per l'intonazione dello strumento?
Lo strumento originale si trova in natura pronto per essere suonato; infatti, il didgeridoo è un tronco cavo di eucalipto, scavato internamente dalle termiti che si nutrono del suo midollo. L’intonazione dello strumento dipende dal diametro interno e dalla lunghezza dello stesso. Un tronco lungo e un diametro interno ampio determinano una nota grave; al contrario, più il tronco sarà corto ed il diametro stretto, più la nota sarà acuta. Visto che con il gruppo Tupa Ruja eseguiamo brani in varie tonalità, anzi che utilizzare tanti strumenti monotonali, preferisco avvalermi di didgeridoo multitonali. Ci sono artigiani che costruiscono splendidi didgeridoo con un’escursione tonale di un’intera ottava, che hanno un suono
meraviglioso su tutte le note. Io ad esempio suono un Hard Fiberglass Didgeridoo di Andrea Furlan, che ha un’escursione tonale da Sol grave a Sol acuto. Ha il corpo in vetroresina ed è totalmente smontabile, per cui anche molto comodo per viaggiare anche in aereo.

Come va conservato uno strumento così particolare?
La pulizia dello strumento è un aspetto che reputo fondamentale. Dopo che si ha suonato, è importante lasciare il didgeridoo in posizione verticale e mai orizzontale, per fare in modo che la saliva presente all’interno del corpo dello strumento defluisca e non si assorba nelle pareti dello stesso. Tutti i didgeridoo si possono, anzi si devono lavare internamente, con una frequenza direttamente proporzionale a quanto vengono utilizzati e si possono utilizzare olii naturali per dare un buon profumo e disinfettare soprattutto l’imboccatura, come ad esempio il tea tree oil. È anche importante, specie per gli strumenti in legno, tenerli lontani da fonti di calore dirette.

Nel corso degli anni hai esplorato sonorità nuove partendo dall'uso tradizionale di questo strumento?
Non sono mai partito da un uso tradizionale dello strumento. Lo stile tradizionale è un modo di suonare ben definito, che si differenzia dal mio stile, che è caratterizzato prevalentemente da ricerca e sperimentazione. Lo stile tradizionale è davvero molto interessante, soprattutto se eseguito da chi ha dedicato la vita al suo studio, ma è lontano dal mio modo di concepire lo strumento. 

Hai dato vita al progetto Tupa Ruja con Martina Lupi in cui il tuo didgeridoo è protagonista. Com'è nata questa esperienza artistica?
Insieme a Martina Lupi abbiamo dato vita nel 2006 al progetto Tupa Ruja, in cui il didgeridoo è protagonista tanto quanto la voce. Con questa idea di “ritorno alle origini”, attraverso l’unione di due tra gli strumenti più antichi del mondo (voce e didgeridoo), abbiamo creato brani caratterizzati 
semplicemente da ritmo e melodia. Con questo progetto abbiamo suonato dapprima in moltissime piazze e strade europee, poi in vari Festival, in Italia e all’estero ed è stato l’inizio di un percorso che dopo tanti anni è in costante crescita ed evoluzione. Il progetto “Tupa Ruja” è nato Sardegna, infatti il nome che abbiamo scelto per il nostro gruppo ha origini sarde e significa “Tana Rossa”, che è anche il titolo della prima canzone che Martina ha scritto sul suono ed il ritmo del didgeridoo. Ad oggi, per un’esigenza di crescita artistica, abbiamo scelto di ampliare il nostro gruppo con altri strumenti e sonorità, ma il nucleo di base, rimane quello della voce che si sposa con il didgeridoo.

Da quasi vent'anni tieni corsi e seminari in tutta Italia. Ci puoi parlare del tuo approccio alla didattica?
Credo che insegnare sia una grandissima responsabilità ed un buon insegnante secondo me deve avere sopra ogni altra cosa, una grande capacità di ascolto. Ho notato nel tempo, che ogni allievo ha un modo diverso di approcciare allo strumento ed ognuno di loro ha una “chiave” diversa per arrivare a medesimi concetti. Per cui bisogna essere in grado di ascoltare e saper interagire con una “ferma delicatezza” in quello che per un allievo è un vero percorso di scoperta. Per chi volesse seguire le mie lezioni in presenza 
è possibile contattarmi all’indirizzo e.mail info@tuparuja.com.

Dalla tua esperienza didattica è nato il Metodo di didgeridoo. Ci puoi illustrare questo libro?
È un metodo in cui ho cercato di racchiudere nella maniera più semplice e diretta, tanti anni di esperienza come insegnante e come musicista. È un libro che mi rappresenta particolarmente, perché sono riuscito a raccogliere nelle pagine che lo compongono, tutto il mio percorso didattico. Sono certo che possa essere d’aiuto a tutti coloro che vogliono approcciare allo strumento, ma anche a chi già lo suona e vuole approfondire il suo studio. Il volume è disponibile in vendita su Amazon.

Nel testo sono presenti dei QR code che permettono di raggiungere ben sessantacinque tracce con esempi pratici?
Questo metodo si basa sulla pratica dello strumento fatta attraverso un confronto sonoro. Sono infatti presenti all'interno del libro alcuni link e QR code, che rimandano a 65 tracce audio, utili per capire se l'esercizio svolto sia corretto o meno, ma non solo. Altri link e QR code rimandano a ben 40 ritmi, suddivisi in quattro categorie: principiante, intermedio, avanzato, ritmi del mondo nel didgeridoo.

Concludendo quali consigli ti sentiresti di dare a chi intende avvicinarsi a questo strumento?
Se una persona ha voglia di esplorare sé stesso oltre che imparare a suonare uno strumento antico dalle grandissime potenzialità e dalle potenti vibrazioni, troverà nel didgeridoo lo strumento che fa per lui. Ci saranno dei momenti di maggior energia durante lo studio e altri di leggero calo, come in tutto del resto, ma se riusciremo a salire questi gradini, a superare queste piccole prove, ci renderemo conto che in realtà nel didgeridoo tutto è possibile e che un filo sottile lega la dedizione all’ottenimento del risultato.


Salvatore Esposito

Foto di Roberta Gioberti (1), Victor Leo (3 e 4), Edoardo Lapegna (5 e 6)

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