La storia del ramingare sonoro di Embryo

Questo non gli impediva di essere incuriosito dalla nuova musica di John Cage e Steve Reich, mentre tutto intorno a lui i suoni psichedelici si prendevano la
scena europea. Questo calderone di stimoli creò terreno fertile per la nascita di Embryo che d’ora in poi lo assorbirà totalmente, troverà giusto il tempo per partecipare come vibrafonista a “Phallus Dei”, esordio discografico di Amon Duul degli amici Chris Karrer (violino, chitarre, sax soprano) e Dieter Serfas (batteria). All’interno di Embryo inizialmente Christian sedeva occasionalmente anche a tastiere e batteria ma quando quattro anni dopo si aggregherà al collettivo proprio Mal Waldron, deciderà di dedicarsi unicamente a vibrafono e marimba. Il risultato ottenuto con “Rocksession” (1973) non può considerarsi molto distante da quello che in quel periodo stavano raggiungendo gruppi inglesi quali Nucleus e Soft Machine. Il 6 settembre 1970 Embryo era in cartellone all’open air festival a Fehmarn nel nord del Paese unitamente a Jimi Hendrix Experience, Canned Heat, Faces & Rod Stewart, Ron Wood, Ginger Baker’s Air Force, Sly & the Family Stone, davanti a più di trentamila persone. All’arrivo, il grande bluesman bianco Alexis Korner gentilmente aveva trovato loro un posto dove pernottare, il giorno seguente Embryo suonò dopo il celebrato trio di Hendrix reduce dall’esibizione al festival dell’isola di Wight. Poco più tardi, però, qualcuno appiccò fuoco al palco e fu il caos totale, situazioni simili potevano accadere piuttosto frequentemente durante i concerti in quegli anni. Al ritorno a Monaco pochi giorni dopo, la radio tedesca trasmise la tragica notizia che Jimi Hendrix era stato rinvenuto privo di vita in un appartamento affittato al Samarkand Hotel di Londra. Quello di Fehmarn sarebbe rimasto dunque il suo ultimo concerto. Nel 1972 c’era stato anche l’incontro tra Embryo e il chitarrista tedesco Roman Bunka, che porterà nel gruppo le sonorità del baglama (saz) e quello con Charlie Mariano
(vero nome: Carmine Ugo Mariano) che, in aggiunta al sax alto, si cimentava in flauto di bamboo e nagasvaram (un tipo di oboe ad ancia doppia originario del sud dell’India). Mariano era reduce da collaborazioni con numerosi protagonisti della scena jazzistica avanguardistica sia americana (Elvin Jones, Charlie Mingus, Mc Coy Tyner) che inglese (Stu Martin). Il frutto dei nuovi incontri sarà il disco “We Keep On” inciso nel dicembre del 1972 e nel quale quattro culture musicali si fonderanno armoniosamente: africana, asiatica, latino-americana e bavarese (grazie all’uso da parte di Burchard di un particolare dulcimer, l’hackbrett, salterio a percussione, oggi considerato cuore e anima della musica folk appenzellese ma che ha remote origini persiane). Un disco fluido che non si voltava mai indietro, come evidenziato in copertina dall’uovo aperto fra la luce delle nuvole bianche in un cielo azzurro, simbolo armonioso di passato e futuro della formazione. Gli intrecci ritmici uniti al sax di Mariano con pick-up wah-wah anticiperanno il fenomeno trance-music che storicamente in Germania vedrà la luce una ventina di anni dopo. La scena musicale teutonica era in quegli anni, molto effervescente, grazie a numerosi gruppi divenuti oggi storici quali Amon Düül, Ash Ra Tempel, Can, Faust, Guru Guru, Popul Vuh, Slapp Happy, Tangerine Dream. Reduci da un viaggio mediterraneo tra Spagna, Portogallo e nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia) gli Embryo venivano intanto definiti dalla reazionaria stampa ufficiale del loro Paese un “ensemble di vagabondi senza patria”, il che può senz’altro essere considerato per loro un vero complimento! Sempre più lontani da sponsorizzazioni, strumentalizzazioni, commercializzazioni e presunzioni del mercato capitalistico e più prossimi a quell’area politica della sinistra-radicale che in Germania si situava tra pratiche dell’occupazione, antimilitarismo e antinuclearismo, dall’aprile 1975
decisero di abbandonare definitivamente i legami con l’industria e i suoi meccanismi. Produrranno autonomamente da allora la propria musica in autogestione alternativa, l’etichetta si chiamerà April e la distribuzione Trikont, nella quale verranno coinvolti numerosi altri gruppi tedeschi. Talvolta le sfumature di colore delle copertine di cartone dei dischi cambiavano da una tiratura all’altra, per la distribuzione in Italia, si affidarono a Materiali Sonori, cooperativa discografica indipendente e laboratorio musical/culturale da poco fondato. Il sodalizio divenne davvero fruttuoso e solido da sopravvivere a tutt’oggi. Dal 1978 il nome verrà giudiziosamente mutato in Schneeball (Palle di neve) per evitare una causa legale minacciata dal colosso americano CBS che possedeva un’agenzia dello stesso nome April e si sentiva minacciata concorrenzialmente. L’Europa Occidentale nel frattempo stava esplodendo quasi ovunque di scontri sociali, anche la vita in Germania era complicata, il terrorismo politico della Rote Armee Fraktion dall’autunno 1977 utilizzava nelle strade, la medesima guerriglia urbana latino-americana, l’“autunno tedesco” stava toccando il suo apice. In quei mesi Embryo maturò l’idea di intraprendere un mirabolante viaggio verso est, nel tentativo di comprendere quello che stava accadendo invece nella parte orientale del mondo. Nel settembre seguente partirono con mogli, figli, strumenti, microfoni, registratori, cineprese, tende da campeggio, un clown, un funambolo, due meccanici, un pittore e un paio di autostoppisti. A bordo di tre vecchi bus-caravan si diressero verso la Turchia con l’intento di proseguire quindi per l’Iran, dove peraltro l’ultimo scià di Persia Reza Pahlevi era sul punto di fuggire davanti all’imminente rivoluzione khomeinista, che avverrà l’11 febbraio del 1979. Non trovarono da nessuna parte situazioni tranquille. Ad Ankara dovettero interrompere un concerto per la minaccia di una bomba, la notte prima sei studenti erano stati assassinati da squadre fasciste e le notizie che
giungevano dall’Iran erano un’ombra scura che rendeva incerto anche il lasciapassare al confine. Valicato il quale, gli avvenimenti incombettero minacciosi ancor più, creando palpabili tensioni, i membri del gruppo vennero fermati da servizio segreto politico e sospettati di essere spie russe. Furono rilasciati dopo otto ore di interrogatorio e a Kabul i concerti divennero degli incubi brutali. Anche in India non c’era nirvana nelle strade di città, a Bombay i finestrini dell’autobus contenete le apparecchiature foniche, vennero rotti a causa di scontri tra musulmani e indù. Ma lontano dai grandi centri urbani quando suonavano con i musicisti locali, la gente incuriosita veniva ad ascoltarli dai villaggi circostanti in bicicletta, a piedi o su carri trainati da buoi. E questo era di grande soddisfazione per Embryo che non si trovava certo in quei luoghi per raggiungere fama o accumulare rupìe. In tutto trascorsero otto mesi in Oriente, incontrando e suonando con musicisti in Iran, Afghanistan, Pakistan e India in una fusione globale tra vita e suoni dove non esisteva differenza tra musici di banda, da circo, buskers o orchestrali. “Le facce della gente più povera e avvilita che incontravamo emanava più energia di quelle delle vittime della prosperosa e industriosa società che dalle catene di montaggio produce rifiuti e prodotti di massa.” Immagini e registrazioni di questo avventuroso “rock-afghano-indù” sono icasticamente contenute nel doppio disco Embryo’s Reise (1979) e nella pellicola Wagabunden Karavane, che restituiscono l’atmosfera spontanea dei momenti, voci, rumori, onde di stazioni radiofoniche locali, senza mai un pensiero rivolto al potenziale commerciale. Quando tornarono risultavano numericamente accresciuti di una, poiché il giorno di Natale, era nata Bajka, figlia del bassista Uve Müllrich e di Sliwka, il cui corpo in gravidanza, nudo e dipinto, campeggia nelle buste interne degli LP. Esempi pratici delle parole di Charlie Parker: “La musica è vita, se non la vivi, non verrà mai fuori dal tuo strumento.” Dopo quattro mesi dalla partenza, al Festival Jazz di Calcutta di gennaio, c’era stato anche l’incontro con il Karnataka College of Percussion, rigorosi
rappresentanti attuali della millenaria tradizione percussionistica del sud dell’India ma al contempo sempre disponibili al “druga devi”, giorno di grandi festeggiamenti per ogni indù musicista o artigiano, tra devozione e godimenti vari. Ospitalità e improvvisazione annullavano qualsiasi differenza timbrica o culturale tra le genti, grazie a stati alterati di coscienza e strati modificati di suono. Passati questi avvenimenti Roman Bunka uscirà dal gruppo e lo stesso fecero tre altri membri che agli inizi del nuovo decennio formarono i “Dissidenten”. Scherzosamente raccontarono che mentre in Germania tutti erano in fibrillazione davanti alle immagini della Carovana dei Vagabondi, camuffati con barbe finte e parrucche, loro raggiungevano nuovamente quei luoghi (India e Marocco) che li avevano stregati e dove la musica popolare “ti assalta a ogni angolo, è cultura vivente, la corrente non c’è, i programmi televisivi li fanno i bambini fino a mattina presto, la produzione di dischi è una bestia marziana”. In verità dopo il primo convincente disco ne seguiranno altri decisamente convenzionali e patinati, di buon successo in ambito “ethno-beat” o “world dance”, commercialmente all’esatto opposto della galassia Embryo. La quale, con l’arrivo degli anni ottanta, inizierà la ricerca di una “galleria di suoni e nuove impressioni embryo-nali più occidentali”. L’avvento della new wave li favorirà, fornendo loro una specie di attestato di modernità grazie a quella miscela di rock, jazz e musica etnica sposata fin dagli inizi e trasformando quello che avrebbe potuto essere considerato un gruppo itinerante di “nostalgici fricchettoni” in “avanguardistici precursori dei tempi”. Vecchi e nuovi membri parteciperanno al gruppo
come il percussionista indiano Ramesh Shotam o Chris Karrer, chitarrista e sassofonista, tra i fondatori di Amon Düül, amico fin dall’adolescenza quando con Burchard e Hoffmann suonava la musica dei loro eroi John Coltrane e Ornette Coleman. Lo stesso vale per Dieter Serfas che condivise col gruppo un tour in Nigeria dove si esibirono anche con Fela Kuti e che in seguito decise di rimanervi in pianta stabile. Defezioni e ritorni ben testimoniati dalla copertina cartonata di “La Blama Sparozzi” (1982) che elencava oramai una lista di musicisti misurabile a decine. Nel frattempo il fenomeno del progressive-rock germanico era entrato in una crisi irrimediabile e gruppi, pure rinomati anche internazionalmente o sotto contratto con multinazionali discografiche, si trovavano costretti a emigrare o a sciogliersi. L’autogestione per contro, aveva garantito la sopravvivenza a Embryo che si vendeva in proprio i dischi e una miriade di cassette “pirata” audio e video in occasione dei concerti anche in situazioni precarie o marginali e ciò bastava loro per continuare a esistere. Musicalmente, l’artigianale band che amava le orme di Marco Polo più che le sedute di registrazione, contando sul caso e sulla instabilità dei propri componenti, non aveva mai fatto troppa differenza tra un jazzista di fama o un oscuro trovatore medio-orientale. Quando nell’assolata Italia si discuteva sul rapporto tra tradizione orale e contaminazione, nella Germania della rigida musica colta e della fredda ricerca elettronica, il visionario antidivo Christian Burchard esplorava mescolanze sonore oltre limiti stilistici e confini culturali. Nel 1985 nascerà la figlia Marja che a soli undici anni iniziò a salire sul palco con Embryo suonando tastiere, fisarmonica, percussioni varie, trombone. Sarebbe troppo lungo il racconto, ancorché parziale, di diario, cronache e percorsi di questo gruppo che proseguirà senza scorciatoie o facilonerie e sempre privo di qualsiasi retorica culturale. Non conoscendo la parola “confine” 
non esiste musica di cui Embryo non si sia abbeverato: da quella gnawa marocchina a quella dei riti magici nigeriani Yoruba fino a giungere a quelle di Cina, Mongolia, Tuva, Giappone… In aggiunta al duraturo sodalizio con Materiali Sonori il legame con l’Italia ha avuto anche altri rappresentanti occasionali in qualità di musicisti, in particolare ne vorrei ricordare due. Il primo è Roberto Licci di Calimera (Lecce) (già con Gruppo Canzoniere Grecanico Salentino e con Ghetonìa e Marco Poeta duo), esperto in canto e tamburello di Terra d’Otranto e Grecìa Salentina (lo si trova immortalato nella traccia iniziale del cd “Istambul – Casablanca”, testimonianza sonora del tour 1998). La seconda è Cristina Mazza, alto-sassofonista free e concittadina veronese che durante il tour europeo 2012 li ha accompagnati in qualità di ospite, impreziosendo con il suo inconfondibile timbro geneticamente ornettiano la musica di Embryo (la cui formazione di allora era comprensiva anche del trombonista Carlo Mascolo, collaboratore fin dal 2006). Per longevità musicale pochi brontosauri musicali sono sopravvissuti: i Rolling Stones, John Mayall, Sonny Rollins ma per coerenza e creatività nessuno è paragonabile a Embryo. Nel tempo ha onorato con i suoni, il medioevale viaggiatore arabo Ibn Baṭṭūṭa, la poliritmia africana, raccolto melodie lungo la via della seta, sognato Orienti reali e Orienti immaginari. La logica del viaggio erratico ha filtrato i suoni delle metropoli d’occidente nell’elisir dadaista di quelli delle culture povere e marginali di mezzi ma ricchissime di proprietà afrodisiache. Gli imperativi di accostare più che fondere, di scambiare più che saccheggiare i differenti suoni e ispirazioni incontrate, li ha condotti in Asia e Africa all’interno di un caos colorato e libertario che attraversa nomadismi stilistici e intellettuali. Il loro tratto resterà per sempre realmente popolare e questo sia affermato senza retorica, nonostante sia storia che sulle riviste musicali, il prezzo di emarginazione pagato da Embryo al “business” musicale è stato qualche sparuto trafiletto occasionale di tanto in tanto. Un’epoca e una generazione sono tramontate, niente nostalgie, please, per Embryo quelle di Marja Burchard sono le migliori mani possibili. 


Flavio Poltronieri

2 Commenti

  1. A completare il già esauriente articolo di Flavio Poltronieri di mio aggiungo una nota riguardante un tour di Embryo che il collettivo romano 'Era Ora'v( di cui facevo parte con Chicco Ricci) assieme a quello di Bergamo 'Il Branco' organizzò nella primavera del 1976 . Da Bergamo a Mestre da Siena nel meraviglioso teatro di Piazza del Campo e poi a S.G. Valdarno dove fummo tutti ospitati dai fratelli Bigazzi/Ma.So con cui Embryo già collaborava , poi Roma al Teatro Alberico (che aveva appena visto il debutto di un giovanissimo Carlo Verdone!) giù fino a Catania .50 000 lire a concerto che coprivano a malapena le spese di viaggio ma sempre in sintonia! Meraviglioso Christian come anche Roman , Uve e gli altri sia con noi che con gli organizzatori locali che ci ospitavano volentieri in appartamenti, piccoli casali ma anche nella bellissima casa Bigazzi. Concerti di più di due ore di musica eterodossa, creativa sempre frenetica, spirituale , internazionalista. Ps dunque se qualche lettore di blogfoolk era presente a quei memorabili concerti italiani di Embryo nella primavera del 1976 batta un colpo.Toni de Martino

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  2. Grazie Toni per il tuo intervento, non ne ero a conoscenza, hai conservato una registrazione audio? D'altra parte stiamo parlando della preistoria (non solo temporale) e le avventure anche italiane del gruppo furono molte, io stesso ho tralasciato quelle di cui sono stato testimone. Non basterebbe un libro, l'articolo non è che un piccolo ringraziamento a Christian o Roman che ora purtroppo non ci sono più.

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