Embryo non è morto ma senza più il suo leader vibrafonista Christian Burchard (1946-2018) è come per Gong senza Daevid Allen (1938-2015): impossibile non tirare una riga ed è diventato anche imperativo scriverne qualche parola, che editoria musicale e riviste specializzate hanno da sempre colpevolmente lesinato. Il gruppo, in lineare evoluzione generazionale, è passato da qualche anno nelle mani della versatile multi-strumentista figlia Marja (tastiere, trombone), che del collettivo si è nutrita al posto del latte fin dall’infanzia, e gli ha regalato una seconda vita.
L’Embryo Musik Kollective fu fondato dal padre nell’ormai lontano 1969 a Monaco di Baviera, assieme al fiatista Edgar Hoffmann e al bassista Lothar Maid a cui si erano presto aggiunti il tastierista Ralph Fisher e il chitarrista blues inglese John Kelly. Per i giovani tedeschi stava sorgendo l’era del “krautrock”, come lo definiva al tempo la stampa angloamericana, ma in Germania il suo nome corretto era “Kosmische Musik” (“musica cosmica”). Il gruppo si configurò fin da subito come una specie di comune aperta, nel tempo vi sono transitati circa quattrocento musicisti, talvolta diversissimi tra loro, a formare un fantasmagorico albero genealogico che passa da Trilok e Shoba Gurtu a Mik Quantius, da Sascha Alexandrov a Okay Temiz, da Chuck Henderson a Xizhi Nie. Uno dei luoghi simbolo della controcultura di Monaco era in quegli anni il “Paranoia-Center” che si trovava nella Ungererstraße del periferico quartiere Schwabing, poco prima dell’uscita autostradale per Norimberga, dove tra discussioni, sogni, utopie, films, happenings e sessions improvvisate, Embryo vide la luce sull’onda protestataria del maggio Sessantotto. Come avrebbe fatto Don Cherry col free nella sua utopica rincorsa all’universalità del
suono organico totale, si sposteranno incessantemente alla ricerca di un’altra strada in cui sviluppare la psichedelia, che pareva essere la forma più avanguardistica di suonare il rock. Lo faranno innalzando sempre più il ruolo dell’improvvisazione fino a giungere alla creazione di un sound cosmopolita che incorporava folklore afro-asiatico in strutture armoniche pseudo-classiche di jazz occidentale. Apertura e improvvisazione rimarranno sempre i cardini fondamentali della loro musica, dall’underground iniziale a una ethno-fusion, in evidente anticipo sull’arrivo della world music di massa. Furono tra i primi a inserire nel rock strumenti popolari quali l’oud, il saz, la veena e a un certo punto fare dischi non ebbe più neanche bisogno di studi di registrazione, il materiale in continua evoluzione, registrato con musicisti d’ogni dove cresceva come una montagna che se venisse interamente alla luce, aumenterebbe a dismisura la già abbondante quarantina di dischi pubblicati. Prima di Embryo, Christian Burchard viveva a Hof, vicino al confine con le allora Germania Est e Cecoslovacchia e dove stazionavano numerosi soldati americani, avendo modo di entrare così ben presto in contatto con la musica nera. Là aveva cominciato come pianista, suonando free-jazz e rhythm'n'blues assieme al compagno di classe Dieter Serfas e poco dopo li aveva raggiunti Edgar Hoffmann per un trio di musica contemporanea che non lasciò tracce registrate. Nel 1967 si trovò a partecipare al quartetto del pianista statunitense Mal Waldron (già collaboratore di John Coltrane, Max Roach e Charlie Mingus) di cui amava e suonava le composizioni ancor prima dell’incontro.
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