Yarákä – Curannera (Zero Nove Nove, 2023)

Il giovane trio tarantino si è rapidamente ritagliato uno spazio non secondario nel panorama trad & world nazionale e internazionale, svincolandosi dal cliché tarantolato e pizzicarolo e portando in primo piano il dialetto della città dei due mari, con una predilezione per la “ritualità”, che conduce a cercare nessi tra il “mondo magico” popolare del Sud Italia e quelli dell’Africa e dell’America Latina. Difatti, Yarákä è una parola della lingua amazzonica tupi-guaraní composta dai quattro elementi – acqua, aria, fuoco e terra –, che rappresenta per la band l’esemplificazione perfetta della compenetrazione tra uomo e natura. Gianni Sciambarruto (chitarra, saz, doromb, berimbau e voce), Virginia Pavone (voce, tamburo sciamanico e flauto armonico) e Simone Carrino (tamburello, riq, daf, kanjara, troccola e voce) si erano imposti all’attenzione con la pubblicazione del disco d’esordio “Invocação” (2018) e del singolo Maletímbe (2021), quest’ultimo portato in gara anche al Premio Andrea Parodi. Nel luglio del 2023 il trio ha vinto meritatamente il Premio Alberto Cesa, riconoscimento attribuito nell’ambito dei concerti-contest del friulano Festival FolkEst, pur facendo trapelare la necessità di limare il loro live set per renderlo ancora più incisivo. Il loro nuovo album, concentrato in ventinove minuti, prodotto dalla Zero Nove Nove, è intitolato “Curannera”: si presenta già con una suggestiva e artistica copertina e un titolo che riprende la figura popolare femminile di guaritrice – riconducibile al modello magico-religioso tradizionale, non certo solo dell’Italia – che utilizzava elementi della natura per esercitare il trattamento di mali del corpo e della mente. L’elemento sacrale è la chiave con cui gli Yarákä gettano un ponte tra culture apparentemente lontane. 
Lusinghieri apprezzamenti sono giunti dalla stampa internazionale, “Songlines” in primis. L’album è entrato sia nella World Music Chart Europe che nei primi quaranta album della più internazionale Transglobal World Music Chart. Nel loro secondo capitolo discografico, i tre musicisti tarantini si sono avvalsi della collaborazione di Anna Vozza (voce narrante nel brano “Tuppe tuppe”), Cristina Ciura (violino), Sabrina Di Maggio (violino), Arianna Latartara (viola) e Mirko Sciambarruto (violoncello). Proprio in occasione del concerto di San Daniele del Friuli abbiamo incontrato il trio per sapere di più su “Curannera”.

Quali le origini di Yarákä?
Virginia Pavone - Yarákä nasce nel 2015 dall’idea di Gianni Sciambarruto, che aveva il desiderio di mettere su un progetto che potesse raccontare in un primo momento un lavoro sulla musica afro-brasiliana contaminandola con altre culture, altre sonorità del sud del mondo. Dopodiché nel tempo, dopo diversi anni di collaborazione, siamo arrivati a compimento di quello che è il progetto com’è adesso: ovvero il trio con Simone Carrino alle percussioni. Ovviamente idee nuove, personalità nuove, istinti nuovi ci hanno portato a creare quello che è il lavoro che stiamo presentando negli ultimi tre anni, principalmente basato su un racconto di ritualità legate alle tradizioni popolari. 

Che formazione musicale avete?
Virginia Pavone - Io vengo dagli studi, diciamo accademici, di musica jazz in Conservatorio, Gianni è laureato in chitarra classica e Simone ha studiato con dei grandi tamburellisti pugliesi.
Simone Carrino - Beh, ho una formazione un po’ da autodidatta, più di stampo tradizionale, quindi a stretto contatto con suonatori; ho fatto alcuni studi accademici per quanto riguarda la musica classica, poi alla fine mi sono dedicato allo studio un po’ più sperimentale del tamburello.

Il dialetto tarantino ha un ruolo centrale: “scoperta” o lingua della quotidianità?
Virginia Pavone - Entrambe le cose, credo. Perché da un punto di vista prettamente musicale è stata una bella scoperta trovare nel dialetto della nostra città una musicalità interessante: soprattutto la ritmica del suono dialettale con le sue inflessioni; è qualcosa che ci ha ispirato a creare anche in fase musicale. D’altra parte, anche se non conosciamo proprio il dialetto strettissimo parlato da nonni e bisnonni, ci sono quelli che sono gli intercalari più comuni, che in famiglia si sentono sempre. Quindi siamo abituati alle sonorità della lingua dialettale.

Come si è sviluppata la transizione da da “Invocação” a “Curannera”?
Gianni Sciambarruto - Pur continuando a seguire il filone di riferimento al mondo sud americano, già parallelamente esisteva questo percorso di ricerca e affinamento di quello che poi adesso si delinea sempre di più con l’identità progettuale. La “Curannera” è una figura che suggella questa unione e l’abbiamo trovata perché in tarantino il termine c’è: “Curannéra”, si pronuncia con la a molto chiusa. Era la guaritrice del popolo, quando non c’era la possibilità di curarsi con l’alta medicina e c’erano mezzi naturali per curarsi. E non soltanto mali fisici, ma anche mali che un tempo erano sconosciuti ma anche legati alla sfera mentale, se possiamo dire spirituale, le cose a un certo punto si uniscono.

Musicalmente come è si è costruito il lavoro?
Gianni Sciambarruto - Non ci stiamo spingendo ancora a scrivere testi ex novo, quindi facciamo affidamento sulla tradizione per creare qualcosa di più personale possibile, almeno musicalmente. Ci siamo affidati a quelle che sono le preghiere, le tiritere, le invocazioni, che hanno in sé una matrice, delle radici molto ritmiche, che ben si prestano all’elaborazione motivica, che diventa poi un brano musicale a tutti gli effetti. C’è molta ritmicità nei versi, anche con le rime che suggeriscono un minimo di struttura. Questo ha favorito la creazione e la sperimentazione di brani musicali, nati appunto da quest’idea. Ogni brano e ogni idea porta in sé l’intenzione musicale di ognuno di noi e ciascuno di noi porta con sé un bagaglio, anche una volontà di sperimentazione da un punto di vista stilistico-musicale differente. Quando stiamo componendo, ognuno dà un’idea, poi mettendo insieme queste idee cerchiamo di dare una forma
uniforme, per quanto eterogenea negli stili.

La scaletta inizia con due brani della tradizione tarantina che sono due invocazioni. Di cosa si tratta?
Virgina Pavone - La prima ha traccia ha titolo “A Sand’Ánne” ed è appunto un’invocazione che abbiamo trovato, una preghiera che veniva recitata in contesti familiari, lì dove c’era una donna che era in procinto di partorire o che comunque era in dolce attesa e quindi si auspicava il miglior percorso, sia alla vita nel momento in cui nasceva sia anche alla crescita nel grembo. A Sant’Anna, essendo la protettrice delle partorienti, veniva dedicata proprio come se fosse, non dico una canzone ma quasi, un rituale, che accompagnava tutta la parte della gestazione e poi anche poco prima del parto o la donna che doveva partorire o le donne vicino a lei che la aiutavano quando si doveva partorire in casa, insomma aiutavano alleggerendo il dolore attraverso questa preghiera molto bella che potesse proteggere il momento della nascita e renderlo più, come dire, benefico possibile, affinché andasse bene, non ci fossero problematiche, comunque era una nuova vita che si stava affacciando.
Gianni Sciambarruto - Sì, per noi è una sorta di rito di iniziazione. Stilisticamente abbiamo poi pensato di citare, perché ci divertiamo anche a fare citazioni in questo album e in generale nel nostro stile. Abbiamo voluto tributare un omaggio allo stile gallego. Con le ricerche fatte da Simone recentemente abbiamo trovato forti punti di incontro con quella che è poi la tradizione del sud Italia, nello specifico anche della Puglia: ritmicamente, ma anche nell’utilizzo di strumenti, anche lì un tamburello, la pandereta, è lo strumento principe della tradizione e ci è piaciuto creare questo legame.


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