Gli ultimi trent’anni di storia della Bulgaria raccontano di una nazione che, diversamente da quanto accaduto negli altri paesi dell’Est Europeo, ha vissuto una fase di lenta ma progressiva transizione verso la democrazia e la modernizzazione. Dopo la deposizione del regime comunista di Todor Živkov, infatti, è giunta alle prime elezioni multipartitiche nel 1989, ma solo a partire dalla fine degli anni Novanta sono state introdotte una serie di importanti riforme economiche che, nel 2007, le hanno consentito di entrare a far parte della Comunità Europea. Si è trattato di un percorso non privo di criticità, ancora in parte esistenti a livello sociale e politico, ma certamente l’impressione che si ha visitando la capitale Sofia è quella di una nazione con straordinarie potenzialità di crescita. Il centro cittadino con i suoi viali ordinati e puliti, le sue costruzioni moderne, i suoi locali pieni di giovani, è lo specchio di una società vitale, dinamica e proiettata verso il futuro. In questo senso, significativa è stata l’esperienza vissuta all’A to JazZ Festival, rassegna che, nell’arco delle sue dodici edizioni, ha conquistato un posto di rilevo nella vita culturale di Sofia, ma ancor di più si è segnalata a livello internazionale per l’eccellente livello della sua proposta artistica. “Sofia ha uno spirito e un atmosfera davvero jazz e, infatti, lo slogan che abbiamo scelto per presentare il festival è Sofia is Jazz”, afferma il direttore artistico Peter Dimitrov, “Quando siamo partiti nel 2011 era un piccolo festival che si teneva in un bellissimo parco nel centro di Sofia, ma
potevamo accogliere, al massimo, cinquecento o seicento persone. La nostra idea era quella di portare la musica jazz al di fuori dei club e di farla conoscere ai giovani, attirare pubblico nuovo, dimostrando che questo genere non è solo per un pubblico di élite, ma la musica più ricca del mondo”. Prodotto dalla Fondazione A to Z con il sostegno del Comune di Sofia, del Ministero della Cultura, del Ministero del Turismo e del Fondo Nazionale per la Cultura, il festival ha allargato costantemente il suo raggio d’azione come afferma Dimitrov: “In questi dodici anni siamo cresciuti molto, grazie agli sforzi di tutto il nostro team, ma anche dello straordinario supporto del pubblico e siamo attualmente arrivati a quattro giorni di programmazione. Siamo entrati nell’Europe Jazz Network, ma soprattutto abbiamo cambiato il suono della città e questo ci ha consentito di aprirci anche verso altre musiche. Il nostro è un modo nuovo di organizzare un festival perché abbiamo una visione molto aperta che, del resto, è codificata anche nel nostro nome”. Nel corso degli anni, ha ospitato, tra gli altri, artisti del calibro di Branford Marsalis, John McLaughlin, Snarky Puppy, Jacob Collier, Robert Glasper, Richard Bona, Michel Camilo, Dianne Reeves, José James, Dirty Loops, Nick West, oltre a diventare un prezioso incubatore per giovani musicisti e band bulgare. In particolare, l’edizione 2023 ha visto A to Jazz Festival aprirsi alle sonorità della world music: “Guardiamo con molto interesse alla world music e, da quest’anno, apriamo ufficialmente le nostre porte a questo genere, perché crediamo che possa combinarsi
molto bene con lo spirito di A to JazZ che acquisisce, così, un nuovo significato non solo per la scena musicale bulgara, ma più in generale per quella europea”. Il 6 luglio, la prima giornata del festival è stata incentrata sugli showcase realizzati in partnership con UpBeat, la piattaforma europea dedicata alla valorizzazione dei nuovi talenti della world music, nata dalla collaborazione tra quattordici tra i principali festival europei, tra cui Tallinn Music Week, Czech Music Crossroads e Budapest Ritmo e FolkEst, a riguardo Dimitrov sottolinea: “Ci hanno coinvolto in questo progetto, due anni fa, e siamo molto felici di far parte di questa piattaforma che consente agli artisti emergenti di allargare il loro pubblico. La musica tradizionale in Bulgaria ha radici solide e lontane nel tempo, ma soprattutto presenta una grande varietà di stili che varia da regione a regione. L’incontro con la world music è una opportunità importante che colloca A to JazZ e la Bulgaria sulla mappa culturale europea non solo come un mercato in pieno sviluppo, ma anche come vetrina per far conoscere nuova musica”. La lungimirante ed illuminata politica culturale perseguita dal festival si riflette nella importante scelta di offrire al pubblico l’accesso libero a tutti i concerti e ai diversi eventi ad esso correlati: un elemento questo di grande importanza, soprattutto se si considera che in paesi come l’Italia, tutto ciò avviene sempre più raramente. Insomma, A to JazZ ha inciso in modo determinante anche nell’educare il suo pubblico all’ascolto e alla scoperta di nuova musica e non è un caso che quest’anno abbia superato le oltre 50.000 presenze. Tutto ciò non basta, però, a rendere l’idea di quello che è realmente questo festival, perché accedendo al South Park, situato nell’area meridionale di Sofia, ci si rende conto di essere in una vera e propria Woodstock del jazz e non solo. Nonostante sulla capitale bulgara si fosse abbattuto un fortissimo temporale proprio poche ore prima dell’inizio, il festival ha preso il volo puntualmente, mentre le nuvole avevano lasciato posto all’ultimo sole della giornata. La prima cosa che è balzata immediatamente agli occhi è stata l’eterogeneità del pubblico con spettatori di tutte le età, tantissimi giovani, ma anche famiglie con bambini, in molti casi ben attrezzati con plaid e coperte, stese sullo splendido prato intenti ad ascoltare i vari gruppi che si esibivano sul palco. Impeccabile, poi, l’organizzazione con l’ampia area del parco riservata al pubblico, delimitata da oltre trenta stands commerciali dei diversi sponsor internazionali con punti ristoro e bar, un mercatino di prodotti artigianali e i diversi servizi per gli spettatori. Insomma, a pensarci bene anche la definizione di Woodstock del jazz sembra star stretta ad A to Jazz, perché è veramente difficile trovare un festival dove poter ascoltare ottima musica, comodamente seduto su una sdraio a sorseggiare un aperitivo o a bere un ottimo whiskey o un rhum invecchiato, senza contare la variegata offerta enogastronomica con cibo tradizionale e vegan.
L’apertura del festival è toccata agli Hands In Motion, trio belga di percussionisti composto da Simon Leleux (darbuka, doholla e soundscapes), Robbe Kieckens (bendir, riqq e percussioni) e Célestin Massot (hang, kalimba e tastiere) che hanno animato il South Park, mentre andava riempiendosi, con la loro intrigante proposta musicale che incrocia l’utilizzo di strumenti acustici ed elettronica, combinando i diversi ritmi che caratterizzano l’articolato panorama musicale del Mediterraneo. Travolgente, poi la performance del duo serbo Alice in WonderBand ovvero Ana Vrbaški e Marko Dinjaški, virtuosi delle body percussion dei quali ci siamo occupati su queste pagine recensendo “RikaTaka. New Balkan Rhythm” che a dicembre dello scorso anno si è piazzato al settimo posto della World Music Charts Europe. Il duo ha regalato al pubblico un originale, quanto affascinante, viaggio attraverso le musiche tradizionali balcaniche, spaziando dalla Macedonia con il canto d’amore “Jovano, Jovanke” alla Bosnia con "Mene Majka Jednu Ima" per immergersi in un itinerario sonoro che dalla natia Serbia attraversa la Grecia e approda in Turchia. Ad impreziosire il tutto, la loro attitudine teatrale nel presentare i diversi brani, ma soprattutto le coreografie che ne hanno caratterizzato l’intera esibizione. Sono poi saliti sul palco i greci Argalios, progetto artistico nato nel 2020 dall’incontro tra il pianista Alexandros Iossifidis e la cantante e percussionista Zoe Mantzou, a cui si sono aggiunti Olga Alexiou (voce, davul, bendir e darbuka) e Paris
Tseneklidis (contrabbasso) i quali hanno dato vita ad un intrigante set nel quale hanno messo in luce la loro originale cifra stilistica che li vede incrociare jazz e tradizione musicale greca. Elegante e molto raffinata è stata anche l’esibizione degli ungheresi Ephemer, formazione fondata da Izabella Caussanel e Lilla Orbay e completata da Patrik Sebestyén (tromba), Tamás Gyányi (basso), János Bitó (fisarmonica) e Márton Stummer (chitarra). Muovendosi tra jazz, improvvisazione e world music, il sestetto ha condotto il pubblico alla scoperta del loro ampio repertorio che spazia da composizioni originali cantante in ungherese, francese e inglese a chanson degli inizi del Novecento, non senza qualche incursione nella tradizione ungherese. A chiudere il primo segmento della giornata sul palco del South Park è stata la cantante e compositrice franco-congolese Fanie Fayar, nota anche come “La regina della fusion” che ha letteralmente rapito gli spettatori con una performance di grande intensità accompagnata da un versatile power trio composto da Vangama Kukiele Rodriguez (chitarra e basso), Planells Laurent Victore Gabriel (batteria) e Truffinet Matthieu Paul Henri (tastiere) in grado di incrociare i ritmi della tradizione congolese con le sonorità pop, funk, rock, soul e jazz. Il programma della prima serata è proseguito sul palco del Toplocentrala Culture Center con il live-set al fulmicotone dei Duckshell, band ungherese composta dai fratelli Benedikt (voce e chitarra) e Francisco Muzslai (sax), Árpád Perecz (chitarra e voce), Benjámin
Báthori (basso), Áron Bujdosó (tromba), Ágoston Lehoczki (tastiere) e Péter Koncsekó (batteria). Il loro esplosivo intreccio tra musica balcanica e brasiliana, innestato su strutture musicali ska, punk e hip-hop, ha fatto ballare non solo il folto pubblico che ha affollato lo stage del centro culturale, ma anche quello presente all’esterno. Sotto il profilo artistico hanno certamente impressionato per l’energia e l’intensità della performance, ma soprattutto ci ha colpito la loro scanzonata attitudine post-punk che, nel prossimo, futuro li proietterà sulla scena musicale internazionale. Il vertice della serata è arrivato con il set dei bulgari Belonoga, progetto musicale creato da Gergana Dimitrova, nota per essere una una delle componenti de “Le Mystère des Voix Bulgares” e dell’Eva Quartet, e profonda conoscitrice del repertorio tradizionale della sua terra che, nel corso degli anni, ha amalgamato con le ricerche nell’ambito della musica e la cultura africana. Ad accompagnarla sul palco Hristina Beleva (gadulka), Kostadin Genchev (caval e synths), Aleks Nushev (basso) e Dimitar Semov (percussioni) con i quali ha proposto una selezione di brani dai pregevoli “Through the Eyes of the Sun” del 2013 e “Through the Eyes of the Earth” del 2018. Ascoltati dal vivo i brani dei Belonoga acquisiscono ancor più forza e spessore, così come emerge ancor di più tutta l’intensità interpretativa della Dimitrova, magistralmente sostenuta dagli eccellenti strumentisti al suo fianco.
Il cartellone degli showcase Upbeat si è concluso,
ormai a tarda notte, con i rumeni Tube, guidati dalla affascinante voce di Camelia Panaitescu-Alegria e composti da Radu Valcu (chitarra), Mihai Balabas (violino), Razvan Florescu (vibrafono e percussioni), Marin Alexandru (basso), Philip Goron (batteria) e Teo Fudulea (voci). Nella loro musica rivive il repertorio tradizionale aromeno, riletto attraverso arrangiamenti moderni ed eleganti nei quali convergono elementi di jazz e world music che esaltano la bellezza delle strutture originarie dei brani. Il set della formazione rumena è stato un crescendo di emozioni culminato sul finale con una lungo canto d’amore in forma dialogica, cantato a due voci che ha rappresentato la conclusione perfetta di una intensissima serata di musica. Mentre ci accingevamo a lasciare il Toplocentrala Culture Center ci siamo intrattenuti ancora qualche momento con Peter Dimitrov, direttore artistico di A to Jazz e, prima di accomiatarci, non abbiamo mancato di chiedergli quali saranno le future linee progettuali su cui si muoverà il festival: “C’è molto da fare e credo che il nostro futuro sarà certamente luminoso. La nostra priorità è quella di far diventare sempre di più questo festival un occasione di incontro e confronto e, già da quest’anno, ospitiamo degli speed-meeting per mettere in contatto artisti, promoter e festival, ma anche panel e workshop di approfondimento con eccellenti relatori su temi come il marketing in ambito musicale e lo sviluppo sostenibile del settore dei festival e l’impatto ambientale. Il nostro sogno è quello di far diventare
A to JazZ il primo festival con zero rifiuti. Altra novità di quest’anno sono i progetti educativi dedicati ai bambini con A to JazZ Kids, oltre all’integrazione nel nostro programma di eventi sportivi e sedute di yoga mattutine. Stiamo, inoltre, cercando di creare una rete regionale dei festival nei Balcani per favorire l’interscambio di know-how, risorse, ma anche la circolazione degli artisti”. Il programma musicale di A to JazZ è proseguito dal tardo pomeriggio del 7 luglio con il focus sulla scena jazz bulgara con il progetto The Big Band di Petya Stancheva e il quintetto del bassista Evden Dimitrov, mentre in serata è salito sul palco il virtuoso chitarrista italiano Matteo Mancuso, presentato dall’Istituto Italiano di Cultura di Sofia, e lo statunitense Bilal che ha portato in scena la sua originale commistione di gospel, jazz, soul e hip-hop. La serata dell’8 luglio si è aperta con il funk dei bulgari Funkilicious e l’R&B di Krista ed è proseguita con il sax di Nikola Bankov, mentre la conclusione è stata affidata alla voce soul di Judith Hill. La scena jazz bulgara è stata ancora protagonista della serata conclusiva con YAVI, Clavexperience e Bobo & The Gang per chiudersi con la superba performance della sassofonista americana Lakecia Benjamin. Insomma, A to JazZ è un festival unico nel suo genere, ma soprattutto con incredibile potenziale di crescita a livello internazionale, un evento da seguire con grande attenzione per il futuro.
Salvatore Esposito
Foto di Lubomir Vassilev / LAVA
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