Vasco Rossi, Stadio Olimpico, Roma, 17 giugno 2023

Questa non è una semplice cronaca di un concerto, né uno studio di popular music perché richiederebbe ben altro spazio e approfondimento. Sono piuttosto alcune note a margine di una serata di intensità tale da far vibrare corde emozionali dimenticate e risvegliare ricordi lontani. Il 17 giugno un po’ inaspettatamente ci siamo trovati nel Pit dello Stadio Olimpico per la seconda data romana di Vasco Rossi. Piaccia o no, il cantautore di Zocca è una delle figure da cui non si può prescindere quando si parla di intersezioni tra rock e cantautorato in Italia e questo certamente non per i successi commerciali, né per gli affollatissimi tour, ma piuttosto per tutte quelle canzoni disseminate nella sua discografia e che ormai appartengono alla storia della canzone italiana. Poco importano gli eccessi, le cadute e le risalite, gli alti e bassi fisiologici, o certe canzoni strappamutande e un po’ sopra le righe, perché - per citare Francesco De Gregori - non è da questi particolari che si giudica un cantautore. Un cantautore lo vedi non dagli equilibrismi poetici o dalla quantità di citazioni, ma dalla capacità di suscitare emozioni ed è qui che Vasco Rossi da il meglio di sé,
soprattutto calcando le assi del palco. Come non ricordare il live “Fronte del Palco” del 1990 che documentava il tour dell’anno prima o il tellurico “Vasco Live Roma Circo Massimo” dello scorso anno. Tuttavia, ci siamo avvicinati a questo concerto con un pizzico di scetticismo, sia per le alterne fasi di forma vissute negli ultimi anni, sia per il ricordo di una performance piuttosto incolore su un palco di provincia di qualche anno fa. Erano altri tempi e c’era una atmosfera diversa, e forse il tempo ha cancellato le percezioni di quel momento. Non potevamo, tuttavia, neppure lontanamente immaginare che avremmo assistito ad un concerto spiazzante, una vera e propria lezione di come si impasta rock e canzone d’autore, ma anche la bruciante dimostrazione dell’unicità del rapporto che c’è tra Vasco e il suo pubblico. A sorprendere è stata innanzitutto l’eccellente forma fisica e vocale del cantautore di Zocca che, finalmente, ha abbandonato certe divagazioni vocali sopra le righe, così come la scelta del repertorio, con una serie di grandi classici del suo songbook ad intercalare composizioni più recenti, e poi la band, orfana dell’eccellente Beatrice Antolini, ma impeccabile sia nei brani più serrati, sia in quelli dal taglio più romantico. 
È venuto naturale fare un paragone con la musica che ci gira intorno nella scena cantautorale italiana - secondo alcuni mai così feconda come in questo periodo - ma che ci sta consegnando una messe di dischi manieristici, magari tecnicamente impeccabili, scritti e arrangiati con gusto, ma sempre più avari a livello emozionale e di sentimenti puri. Significativo in questo senso sono le cinquine delle Targhe Tenco, uscite qualche giorno fa, e sebbene più incoraggianti rispetto agli anni scorsi, ancora disseminate di dischi da bollinare con il più classico dei “cui prodest?” o semplicemente con un sano “bah”. Ebbene, Vasco Rossi a settantun anni sembra, ormai, tornato in corsia di sorpasso, se non dal punto di vista discografico per il quale ci sembra arduo far rivivere il passato, ma è senza dubbio ancora in grado di regalare performance sul palco superbe. Per capirlo sono bastate le prime battute di una magnifica versione tutta in crescendo di “Dillo alla luna” che ha aperto il concerto, e a confermarlo sono arrivati in fila gli altri ventitré brani con un primo segmento in cui, tra le altre, abbiamo riascoltato la commovente “Ogni volta”, la riflessiva “Canzone d’amore buttata via”, ma anche una travolgente “Manifesto Futurista della nuova umanità” da “Vivere o Niente” del 2011. 
Dopo un lungo interludio strumentale, si è entrati nel vivo del secondo segmento con “XI Comandamento”, gli anthem del popolo del Blasco “C’è chi dice no” e “Gli spari sopra” e una struggente "Vivere". Non sono mancati i momenti di pogo con quella ironica e pungente scheggia di passato che è “T’Immagini”, i reggiseni e le tette al vento di “Rewind” e le splendide versioni di “Siamo soli” e Canzone”. Il medley nel quale spiccavano “Come nelle favole”, “Non l’hai mica capito”, “Incredibile Romantica” e “Ridere di te” ci ha schiuso le porte al finale con una struggente “Sally” in cui Vasco Rossi ha regalato una eccellente prova vocale, “Siamo solo noi” e le immancabili “Vita Spericolata” e “Albachiara”. Si è concluso, così, un concerto difficile da dimenticare e, durante il quale confesso di essermi abbandonato alla commozione in più occasioni. Questioni private e certi testi in cui viene facile riconoscersi e ritrovarci storie, ricordi, passato e presente che si sovrappongono restituendoci sensazioni abbandonate negli angoli della memoria. Ma poi, del resto, a cosa servono le canzoni?  


Salvatore Esposito

Foto di Salvatore Esposito

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