Carlo Pestelli – Oiseaux de passage. Carlo Pestelli canta Georges Brassens tradotto da Fausto Amodei (Nota, 2023)

È un album d’altri tempi, impregnato d’autunno e di cognac, quello che il bravo Carlo Pestelli (con l’apporto determinante del contrabbasso di Federico Bagnasco) realizza in omaggio alla figura – mitica e mitologica – di Georges Brassens. A tradurlo e adattarlo, c’è un monumento della storia musicale d’Italia, quel Fausto Amodei non meno mitico e mitologico che, proprio col suo “Fausto Amodei canta Georges Brassens” – pubblicato sempre da Nota un paio di anni fa – aveva, in qualche modo, scritto il primo capitolo di questo viaggio sulle tracce del padre degli chansonniers. Ecco, visto che di viaggio vero e proprio si tratta, noi non vogliamo essere da meno: più che per ordine di scaletta, andremo per ordine cronologico. Per cui, il nostro racconto comincia col primo dei due adattamenti in piemontese, “L’erbassa”, che Tonton Georges incise nel’55, col titolo di “La mauvaise herbe”, in “Chanson pour l’Auvergnat”, segnata ritmicamente dall’incedere strappato di un guiro e da un contrabbasso colloso, ben scortato dal levare della chitarra. A seguire, “I funerali di un tempo” (“Ritorni il tempo dei morti con la vanità/ di dir “Che tomba di lusso che è questa qua!”/ spendendo più delle possibilità/ un funerale di lusso migliora l’aldilà”), in origine “Les funerailles d’antan”, incisa in “Le pornographe”, anno domini 1958, che si srotola lungo una briosa chitarra pizzicata ad ospitare le note distillate di un glockenspiel, con un contrabbasso elastico ed il rullante spazzolato di Paolo Rigotto a completare ritmicamente il pezzo. Si ritorna al dialetto con “Ël delit”, adattamento in piemontese da “L’assassinat” (1962, da “Les trompettes de la renommèe”) in cui gli arpeggi nebbiosi della chitarra acustica si incastrano perfettamente col tratto spesso dipinto dal calascione. Da “Misogynie à part” (1969), sono tratte due canzoni, entrambe, a loro volta, figlie di due poesie. La title- track (“Per mantener famiglia da mattina a sera potrebbero adattarsi nei/ vostri pollai, ma sono figli d’una splendida chimera/ la lor sete d’azzurro è troppo forte ormai”), da una poesia di Jean Richepin e qui tradotta in “Uccelli di passo”, si snoda lungo le trame di un contrabbasso sinuoso e di una chitarra sincopata, allargate dalle piroette ariose del flauto di Paola Dusio, mentre “Pensiero dei morti”, la “Pensèes des morts” (“Le vostre morti le ho viste/ e io vi ricorderò/ come se voi foste un triste/ frutto che mai maturò”) di Lamartine, è animata da un malinconico arpeggio di chitarra, che una stanca linea di contrabbasso colora d’autunno. Altra doppietta, stavolta da “Fernande”, del ’72: “La principessa e il menestrello”, riproposizione di “La princesse et le croque- notes” (“Tutta una élite di reietti e pezzenti/ mendicanti ed un po’ malviventi/ una fauna a dir poco bizzarra/ che frequentava galera e bordello/e insieme a loro c’era un menestrello/ aggrappato alla sua chitarra”) con la partecipazione straordinaria dello stesso Amodei nella parte del menestrello, sorretta da una carnosa linea di contrabbasso, riempita alla perfezione dal jazzare della chitarra acustica e dai volteggi del clarinetto di Vincent Boniface, mentre quel capolavoro che è “Le Passanti” (“A quella compagna di viaggio i cui occhi, dolce paesaggio,/fan sì che quel viaggio che fai prometta avventure stupende,/ ma quando alla fine lei scende chissà se la ricorderai”) è scandito dagli arpeggi tessuti dalla chitarra acustica e dal fraseggiare umido della chitarra classica, col contrabbasso a regalare profondità e spessore. Per concludere, direttamente da quel “Trompe-la- mort” che, datato 1976, fu l’ultimo album di Brassens, arrivano una “Tempete dans un benitier” (“Non sono io l’unico che/ da quando impazza ‘sta riforma/ anziché a messa, se la dorma/ poi vada al bar/ per un caffè”), qui trasformata in “Tempesta nell’acquasantiera”, di cui l’ironica linea di contrabbasso sottolinea il carattere caustico e dissacrante, una “Il viale del tempo che passa” (“Cessate il fuoco!” poi suonò/ e ci accorgemmo dopo un po’/ che la canizie era in agguato/ che il tempo in cui matura il grano/ era assai poco lontano/ dell’autunno più inoltrato”), in origine “Le boulevard du temps qui passe”, che il cajon di Paolo Rigotto rende ritmicamente serrata, sposandosi alla perfezione con l’andamento quasi manouche della chitarra, ed una “Il lecca- cornuti” (“Se poi l’uomo era un militare/ lui tutti i giorni a intonare/ le arie più battagliere/ lui che, pacifista arrabbiato/ col tricolore ha auspicato/ ci si pulisse il sedere”), “Lèche- chocu” per i francofili, che vede i fraseggi del violino di Fabio Biale ad adagiarsi su una briosa chitarra. Tirando le somme di questo lavoro, a saltare all’orecchio è la cura incredibile con cui la materia – nel suo aspetto più armonico e melodico – sia stata trattata: ogni arrangiamento, nella sua nudità, riesce, infatti, a restituire l’immensa classe compositiva di Brassens, il suo gusto e la sua eleganza nella costruzione del telaio sonoro dei suoi pezzi. E poi è impossibile non sottolineare – se mai ce ne fosse bisogno – la cura chirurgica negli adattamenti letterari, un lavoro di cesello necessario e sincero, messo in atto su canzoni che hanno un solo difetto: essere drammaticamente attuali. E, visto che il tempo in cui passeranno di moda ci sembra ancora – francamente e purtroppo – ben lontano, non ci resta che godercele, magari provando ad usarle come antidoto civile, ché, in fondo, quello sono. 


Giuseppe Provenzano

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