“Forms” è il sesto album dei Leveret, e segue di ben quattro anni “Diversions”, l’ultima loro prova in studio (il doppio “Variations” del 2020 è infatti un disco dal vivo). Un intervallo piuttosto lungo, se si considera che i precedenti lavori del trio sono stati tutti pubblicati tra il 2015 e il 2017, ma che è servito al gruppo per condensare in “Forms” tutto ciò che Andy Cutting (fisarmonica diatonica e melodeon), Rob Harbron (concertina) e Sam Sweeney (violino) hanno assimilato negli anni, attraverso la partecipazione a gruppi come i Blowzabella o i Remnant Kings e le collaborazioni (per citarne solo alcune) con Karen Tweed, Emma Reid, Chris Wood, Sting o la Royal Shakespeare Company. Così quelle sonorità in parte intrise di altre culture musicali che nei precedenti dischi apparivano come delle variazioni, degli episodi, qui diventano protagoniste al pari del repertorio più classico della tradizione britannica. Spaziando fra brani tradizionali e di composizione, tra danze (come l’iniziale “Bass hornpipe”, “Blacksmith’s morris”, “Queen’s march”, “Untitled waltz”, “McLane’s minuet”) e pezzi da ascolto (come “Filberts”), “Forms” offre all’ascoltatore un repertorio multiforme, accompagnandolo nell’esplorazione di differenti forme musicali (tra cui particolarmente riconoscibili la francese e la québécois in “Cotillon” o “On the days when I was young”) tutte rese tanto piacevoli quanto pulite ed essenziali. Il risultato è un perfetto equilibrio tra sentimento e tecnica, con i Leveret che, senza ostentare virtuosismi, mantengono una costante e positiva tensione musicale e trasmettono emozioni, pur riducendo all’essenziale il proprio tessuto musicale. E se di fronte a un organico così numericamente ridotto, e scarno nella strumentazione, si potrebbe pensare a un disco molto omogeneo, quasi monotono nell’interpretazione, sin dalle prime note questa ipotesi viene smentita. “Forms” è fresco, vario, trascinante, e i ripetuti ascolti che sicuramente seguiranno il primo svelano a poco a poco passaggi e particolari che fanno la differenza rispetto a tanti album di strumentali che l’ambito folk ci ha proposto e ci propone. Uno dei termini che più spesso viene utilizzato per presentare e descrivere la musica dei Leveret è: spontaneità. Concordiamo con questo giudizio, aggiungendo che, oltre alla spontaneità, in “Forms” abbiamo trovato una grande padronanza degli strumenti, un’ottima intesa, un evidente amore per la tradizione. Una menzione, infine, per la copertina con l’occhio di un leprotto (questo il significato di “leveret” in inglese) in mezzo all’erba, un’immagine anche questa che coniuga raffinatezza e semplicità.
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Marco G. La Viola
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