Tanca Records, sussidiaria della storica etichetta Trovarobato, diretta artisticamente da quel continuo ribollire di idee che è Iosonouncane, si era presentata al pubblico lo scorso anno, con l’uscita del (malatissimo, ed è un complimento) lavoro d’esordio di Vieri Cervelli Montiel. Chiaro che, con premesse del genere, ogni sua pubblicazione desti quantomeno interesse. Considerando, poi, che la prova dei fatti non disattende per nulla le aspettative, beh… c’è solo da raccontare il disco in questione, ché tutto il resto è quantomeno superfluo. Ecco, il “disco in questione” si chiama “Spira”, lo ha registrato – sotto la produzione dello stesso Iosonouncane – Daniela Pes, musicista gallurese che fa da punto di incontro fra il jazz, suo background, e certa elettronica/ambient/drone/kosmische musik che, soprattutto se suonata in questi termini, tanto ci piace. È, questo, un vero e proprio percorso di destrutturazione musical-letteraria, scritto in una lingua ibrida, antica e nuova contemporaneamente, figlia bastarda di gallurese, italiano e parole inventate di sana pianta. Ad aprirlo c’è “Ca Mira”, che si perde fra le galassie di elettroniche lunari ed ossei squarci percussivi. Di tutt’altro tenore, invece, è “Illa sera”, scandita da un pattern ritmico ossessivo, prontamente bilanciato dalle incursioni melodiche dei sintetizzatori. “Carme”, primo singolo estratto, si snoda lungo le trame seppiate di synth nebbiosi, ben scortati da una scheletrica linea di basso e dal brumoso strumming acustico della chitarra. A segnare “Ora” ci pensa, invece, un tenebroso afflato ambient, con campionamenti cupi a sorreggere i timbri ancestrali dello spoken word. A seguire, “Laira”, risucchiata dai vortici di un’elettronica penetrante e dall’incedere muscolare della sezione ritmica, che ben si sposa col pathos nervoso della voce. Penultimo passaggio del disco è “Arca”, brano sostenuto da un arpeggio di chitarra elettrica, inumidito dal vestito sospeso che un delay gli cuce addosso, e dalle incursioni ariose dell’elettronica. A chiudere il lavoro ci pensa “A te sola”, monumentale suite di dieci minuti che, fra arpeggi acustici legnosi e secchi ed apocalittiche visioni elettroniche, fa da vera e propria cartina tornasole delle atmosfere condensate da Daniela Pes.
In conclusione e senza mezzi termini, ci troviamo all’ascolto di un disco magnifico, ragionato ed irrazionale allo stesso tempo: le angosce ritmiche primordiali vengono bilanciate dall’eleganza ricercata della componente melodica, con la voce di Daniela, cangiante ed intensa, che si staglia come vero e proprio ago della bilancia, concretizzando in immagine nitida ogni narrazione sonora.
Giuseppe Provenzano