Crimi – Scuru Cauru (42 Records/Airfono, 2023)

A due anni di distanza da quel “Luci e guai” che segnò il loro debutto, i Crimi, quartetto francese che vede Julian Lesuisse alla voce, Cyril Moulas alla chitarra, Brice Berrerd al basso e Bruno Duval alla batteria, tornano con un altro lavoro che, già dalla copertina, prosegue nel solco dei chiaroscuri atmosferici e della ricerca a ritroso lungo le proprie radici. “Scuru cauru” abbraccia, così, Rosa Balistreri e il raï, il funk-jazz e le maddahat algerine, in un turbinio vorticoso di luci ed ombre, notti desertiche e bufere polverose. Ad aprire il disco ci pensa la morbida “’Nta l’auto”, una manciata di secondi di bassi avvolgenti e chitarre sinuose. Un cantato caliginoso apre “Stiddi!”, che prende le mosse da synth che sembrano arrivare dai dischi di Battiato degli anni Ottanta, a dipingere un panorama cupamente terso da copertina de “L’Arca di Noè”. “’A sira” scorre lungo le trame elettricamente nordafricane della chitarra, ben sostenute da una sezione ritmica desertica e calda come sabbia del Sahel. Ad addolcire l’atmosfera, è “Lu mumentu”, un terso arpeggio di chitarra su cui un cantato splendidamente armonizzato, poggia come seta fresca, con una elegante sezione ritmica illanguidita dagli interventi di un sax. “Notti ruffiana” è il totale ribaltamento dei brani precedenti: un basso forsennato, riff di chitarra ad elettrizzare il tutto e le aperture dei sintetizzatori a mandare il pezzo in orbita. “Luci darrè” si snoda lungo un basso vorticoso, graffiato dalle incursioni distorte della chitarra e da synth spastici. Giro di boa dell’album è “Limbo”, che poggia su panorami timbrici nebbiosi, in cui i fraseggi della chitarra elettrica escono dalle sabbie mobili tessute dalla sezione ritmica. Le trame vaporose di una chitarra funky-jazz scandiscono “Nt’a Fiat Uno”. “Giannina” approda nuovamente sulla costa araba, con l’irrequietezza arenosa di una chitarra elettrica spenta dalle aperture melodiche dei sintetizzatori. A seguire, la maestosa “’U cantu scuru”, una decadente ed ossea carovana dai tratti western. In perfetta continuità atmosferica è “Arsira”, con la voce pietrosa di Lesuisse a infrangersi su un arido strumming acustico. Ad ingrigire “Dumani” ci pensano nubi sintetiche, intirizzite dal fraseggiare al fulmicotone della chitarra elettrica. “Saitta pi’ saitta” abbraccia le sinuose pennate funkeggianti della chitarra elettrica, rilassato dalle incursioni ventose del sax e da un ammaliante pattern ritmico. A chiudere il disco è la rilettura de “Lu focu di la paglia” di Rosa Balistreri, in cui spicca la partecipazione dei fiati di Circa Tsuca Fanfara a colorare il brano di un sapore quasi sacrale nell'incontro con gli archi. In conclusione, il ritorno dei Crimi sposta ancora più avanti il confine delle loro ricerche musicali: dalle radici siciliane più terrose e dionisiache si approda sulla costa araba, per rimettersi in viaggio verso New Orleans e tornare a Marsiglia. Insomma, un disco lucidamente politico, una operazione culturale necessaria, sottolineata dalla splendida teatralità della voce di Julian Lesuisse, per un breviario musicale diasporico e migrante che sarebbe tanto piaciuto a Predrag Matvejevic. 


Giuseppe Provenzano

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