Raiz – Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’’a morte (Visage Music/EGEA/Pirames, 2023)/Raiz & Radicanto – Astrigneme (Fonè/IRD, 2022)

Un percorso artistico esemplare intrapreso nei primi anni Novanta con gli Almamegretta intrecciando la tradizione musicale napoletana con le sonorità dub e l’elettronica, proseguito successivamente con un altrettanto brillante parentesi come solista, e numerose collaborazioni di prestigio. Tutto questo, però, non basta a tracciare un profilo artistico esaustivo di Raiz, non solo per la sua capacità di muoversi attraverso ambiti musicali e forme d’arte differenti, ma anche per quella costante tensione verso la ricerca e l’esplorazione di nuovi sentieri che lo ha sempre animato. Un esempio ne è la fruttuosa collaborazione con l’indimenticato Fausto Mesolella, chitarrista e produttore degli Avion Travel, cristallizzata nel magnifico “Dago Red” che nel 2014 si aggiudicò la Targa Tenco nella categoria interpreti, o quella più recente con i baresi Radicanto con i quali inciso “Casa” nel 2011 e “Neshama” nel 2018 e che recentemente ha fruttato altri due album pregevoli: “Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’’a morte”, appassionato omaggio a “‘a voce ‘e Napule”, Sergio Bruni e il live “Astrigneme”. Abbiamo intervistato il cantante napoletano per approfondire con lui questi due nuovi progetti discografici, senza dimenticare l’attività con gli Almamegretta.

In “Dago Red” con l’indimenticato Fausto Mesolella, avevi reso omaggio a Sergio Bruni con la magnifica versione di “Carmela” in mash-up con “I’m your man” di Leonard Cohen. Com’è nato “Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’’a morte”, album nel quale rileggi i grandi classici del suo repertorio?
In qualche modo ho sempre reso omaggio a Sergio Bruni in modo subliminale con il mio modo di cantare e probabilmente non lo sapevo neppure io, o meglio questa cosa la percepivo in qualche modo ma senza poi rendermene conto. Lo ascoltavo durante la mia infanzia, durante l’adolescenza perché questa era la musica che c’era durante le riunioni conviviali di famiglia. Era il mio background sonoro della mia infanzia napoletana e non solo perché sono cresciuto in provincia di Milano, ma spesso anche lì c'erano riunioni con parenti, amici napoletani. Insomma, questi ascolti ritornavano, si ripetevano come nelle più classiche cose da emigranti. Quado parlo di Sergio Bruni è come se citassi la personalità più autorevole, il nome più importanti, ma in realtà si ascoltavano tantissime cose diverse. Era come se fosse stato il capo di una enorme banda di musica che suonava i suoi pezzi. Poi non mi sono reso conto di quanto di questo background avesse fatto breccia nel mio modo di cantare, mi avesse formato, fino a quando non sono passato dal ruolo di ascoltatore passivo a quello interpretativo. Se quando avevo vent’anni mi avessero detto: farai un disco sulla musica di Sergio Bruni, cantando le sue canzoni. Avrei risposto che era impossibile perché ascoltavo altro, volevo fare blues, reggae, rock. Sono stato preso da tutto l’universo afroamericano che, comunque, già frequentavo anche da adolescente, ma fare un disco di questo tipo avrei detto di no. Ad un certo punto, però, ho sentito la necessità di rendere omaggio a questo grande artista, ho sentito come se fosse una cosa dovuta e in qualche modo ho voluto fare anche un regalo a me stesso perché lo considero un mio maestro e volevo dare la dimostrazione postuma di aver imparato bene la sua lezione.

Come hai scelto i brani da rileggere? Qual è il filo conduttore che lega i dieci brani del disco?
Ho il privilegio di essere amico di Salvatore Palomba, autore di alcuni tra i brani più famosi del repertorio di Sergio Bruni tra cui “Carmela” e, già un paio di anni fa, gli avevo parlato di questo progetto. Gli chiesi se riteneva che potessi essere credibile nell’interpretare quei brani con la mia voce, visto che conosce bene quello che faccio. Lui mi ha incoraggiato molto e, anzi, mi disse: “Se ti senti di farlo, devi farlo, perché tu sei uno degli ultimi cantanti napoletani di questo tipo, magari non lo sai bene nemmeno tu, ma questo ti aiuterà a tirare fuori quelle corde ancora nascoste”. Bisogna, però, capire cosa fare perché il repertorio di Sergio Bruni è immenso, è stato un grandissimo interprete, oltre ad essere stato interpretato già da numerosi artisti. Penso, ad esempio, al bel disco che gli ha dedicato Nino D’Angelo e nel quale rileggeva alcune canzoni celebri di cui era interprete, mentre Salvatore Palomba mi ha consigliato di concentrarmi sui brani di cui Bruni è autore. Ho scelto, così, dieci brani dei quali aveva composto la musica e le melodie, mentre i testi sono stati firmati da diversi autori. 

Nei brani scelti si canta l’amore nelle diverse declinazioni e, in questo senso, non è casuale anche la scelta come titolo di un verso del ritornello di “Carmela”…
La scelta di mettere da parte i brani dal taglio più politico come “Chiappariello” o “Napule nun t''o scurda'” nasce dal fatto che questi temi li ho trattati già, vengo da un percorso che lega fortemente l’elemento sociale alla musica e ritornare sull’argomento mi lasciava perplesso. Di canzoni di questo tipo ne ho fatte tante con gli Almamegretta e queste canzoni sono state scritte molto tempo fa portano il segno dei tempi, sono legati a situazioni che sono cambiate, si sono evolute, c’è una certa retorica che li caratterizza. L’eternità di brani come “Carmela” o “Amaro è ‘o bene” mi sembravano più adatti al progetto che stava nascendo. E’ un disco destinato a durate nel tempo perché ha tutte le caratteristiche dell’omaggio non solo verso Sergio Bruni come artista, ma anche a Napoli, a tutti i napoletani a cui questa musica ha fatto da colonna sonora alle loro vite, a quanti sono cresciuti con queste canzoni e con esse hanno gioito, si sono disperati, hanno pianto, si sono emozionati. 

Complici di questa nuova avventura sono i Radicanto con i quali collabori da molto tempo…
Sono musicisti molti brani e insieme ci troviamo molto bene. Lavorando insieme si è creato un rapporto di amicizia molto forte, ma soprattutto abbiamo una visione comune su tante cose. Questo progetto, però, ha una natura differente rispetto a quello che facciamo insieme di solito. Abitualmente facciamo qualcosa di musicalmente più ardito, magari anche pindarico, perché cerchiamo di far camminare insieme la musica araba con quella napoletana e le sonorità andaluse. 

Quali sono le sostanziali differenze tra questo nuovo album e i precedenti lavori con i Radicanto?
Insieme facciamo qualcosa che non esiste, la nostra è musica mediterranea immaginaria, in questo caso è tutto già scritto, bisognava solo rileggerlo con la nostra sensibilità, ma non è mancata qualche puntata fuori dallo schema. Ad esempio, nel caso di “Che lle conto?” ci è sembrato di sentire echi di tango nella melodia e nel rileggerla abbiamo indirizzato il brano verso sonorità più piazzolliane. Sergio Bruni era un grande innovatore e si lasciava molto ispirare da quello che ascoltava, e chissà se scrivendo questo pezzo non abbia pensato alla melodia di un tango oppure è accaduto il contrario con Piazzolla che aveva origini italiane e per sua stessa ammissione scriveva come un napoletano. Insomma, ci siamo divertiti molto a fare questa cosa perché ci sembrava molto bella e perché rendeva giustizia anche a noi. Abbiamo cercato di preservare i brani nella loro natura originaria, evitando contaminazioni perché ci sembravano esagerate, anche forzando la mano si sarebbe potuto anche tentare. 

Non è necessario sperimentare o contaminare a tutti i costi…
È un disco di sentimenti, un lavoro così non lo avevo mai fatto, immergendomi in un mondo sonoro che conoscevo o meglio pensavo di conoscere e poi si è svelato in tutta la sua complessità. C’erano alcune canzoni che ero convinto di sapere bene, ma poi studiandole bene mi sono accorto che c’erano erano errori nelle parole. Mi sono messo alla prova con qualcosa che non avevo mai fatto e la mia voce ha risposto bene: sembro un cantante napoletano, sui generis ma sempre un cantante napoletano. (ride).

Come stai presentando in concerto “Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’’a morte”?
Sono sicuramente diversi rispetto ai concerti che solitamente faccio con i Radicanto, ma ci sono alcune incursioni nel mio repertorio con alcuni brani che in qualche modo sono ispirati alla sua produzione come “Nun te scurdà” o “Respiro” e canzoni che ha reso famose come “Indifferentemente”. Prossimamente faremo “Fenesta vascia” che stiamo preparando e “Pe' dint' e viche addò nun trase 'o mare” che Salvatore Palomba scrisse per gli Almamegretta trent’anni fa. 

Alla fine dello scorso anno con i Radicanto hai pubblicato “Astrigneme”, uno splendido album live che documenta i vostri concerti…
È un istant record, registrato nell’arco di un pomeriggio da Giulio Cesare Ricci, patron di questa bella etichetta che è Foné e che si pregia di incidere tutto in analogico con microfoni panoramici. Attraversiamo territori differenti dalla Spagna medioevale ai canti sefarditi per toccare la Napoli contemporanea con “Misteriosamente”, brano che ho scritto e cantato con Enzo Gragnaniello o “Cammina Cammina” di Pino Daniele. C’è anche un anticipazione del disco su Sergio Bruni con “Carmela” su cui stavamo lavorando e nell’individuare quel ponte immaginario che collega Napoli all’Argentina abbiamo ripreso “Chiquilín de Bachín” di Astor Piazzolla. La registrazione è stata fatta in un un teatro vuoto, con una acustica eccezionale e con soli otto microfoni panoramici che riprendevano la stanza e un po’ noi indirettamente. Successivamente lui ha fatto il mix non con i vari strumenti divisi per canali ma di ambienti differenti. Questa era una sfida anche per noi che crediamo molto nella musica post-prodotta. A me piace registrare e poi mettere i vari effetti, poter alzare il volume di uno strumento. Venendo da un percorso come quello degli Almamegretta dove la postproduzione era quasi più importante della produzione stessa, mi piace
molto questa idea. Giulio Cesare Ricci, invece, ha lavorato con i soli microfoni e in questo modo la registrazione è come quando si gira una scena di un film: se sbagli una voce o uno strumento devi rifare tutto daccapo. Quando tutto è registrato, se c’è qualcosa che non va sulla voce si rifà solo la voce. In questo caso abbiamo ripreso due o tre volte i brani e poi abbiamo scelto le versioni migliori.  

Concludendo quali sono i progetti in cantiere? 
Abbiamo in programma di pubblicare la versione dub di “Senghe” e, per quanto possibile, cercheremo di fare qualche concerto con gli Almamegretta in formazione live electronics. Insomma, qualcosa di completamente all’opposto rispetto al progetto dedicato a Sergio Bruni.


Salvatore Esposito

Raiz – Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’’a morte (Visage Music/EGEA/Pirames, 2023)
Voce tra le più intense della storia della musica napoletana, Sergio Bruni, al secolo Guglielmo Chianese, con il suo stile interpretativo inconfondibile, ha incarnato con le sue canzoni l’anima più profonda di questa città, raccontandone in musica i chiaroscuri, ma anche facendosi interprete delle passioni, degli amori e del dolore della sua gente. Nel corso della sua lunga carriera, prese parte a dodici edizioni dello storico Festival di Napoli che vinse due volte con i brani “Marechiaro marechiaro” e “Bella”, per poi debuttare nel 1960 al Festival di Sanremo insieme a Joe Sentieri con “È mezzanotte” e a Giorgio Consolini con “Il mare”, ma fu l’incontro con il poeta Salvatore Palomba a consegnarlo alla storia con album come “Levate 'a maschera Pulecenella” del 1976 dove spiccava “Carmela” diventato un grande classico della canzone napoletana “Una voce una città” del 1980 con la splendida “Amaro è 'o bene” e che conteneva, tra l’altro, “È asciuto pazzo 'o patrone” su testo di Eduardo De Filippo. Una leggenda, dunque, al quale ha reso omaggio Raiz con lo splendido album “Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’’a morte” nel quale ha raccolto dieci brani che focalizzano l’attenzione proprio sui brani nati dal sodalizio artistico con Salvatore Palomba. Ad accompagnare il cantante napoletano in questa nuova avventura sono i Radicanto ovvero Giuseppe De Trizio (chitarra classica) che ha curato anche gli arrangiamenti, Adolfo La Volpe (chitarra portoghese, e chitarra classica), Giovanni Chiapparino (fisarmonica), Francesco De Palma (cajone set, riq, darbuka, udu, caxixi) e Giorgio Vendola (contrabbasso), strumentisti con i quali c’è ormai una perfetta intesa e che hanno caratterizzato con la loro cifra stilistica il suono del disco. A differenza di “Casa” o “Neshama”, questo disco presenta un approccio musicale differente, lasciando da parte le contaminazioni world per concentrarsi sull’esaltazione della forma canzone, dei testi e delle melodie originarie. L’ascolto si apre con il poetico affresco di “Napule Doceamara” a cui segue una intensissima versione di “Carmela”, il ritratto di una donna che è la metafora di una città bisognosa d’amore. Si prosegue con l’appassionata canzone d’amore “Amaro È ‘O Bene”, gli echi tangueri che pervadono la bella resa di “Che Lle Conto?” e quel gioiello che è “A Fata D’’e Suonne” in cui spicca il piano di Daniela Mastrandrea. C’è poi il classico “‘Na Bruna” che ci introduce alla poesia di “Che Miracolo Stammatina” e la riflessiva “Napule È Mille Ferite” in cui viene tratteggiata una città che sembra aver perso la speranza, per giungere alla struggente interpretazione di “Bella Si Tu Venisse Ind’aa ‘Sti Braccia” che con “Palcoscenico” completa un album di rara bellezza, un vero e proprio atto d’amore che Raiz ha realizzato regalandoci interpretazioni magistrali di un repertorio senza tempo.


Salvatore Esposito

Raiz & Radicanto – Astrigneme (Fonè/IRD, 2022)
Arriva con un disco dal vivo, il terzo capitolo del fortunato sodalizio artistico e culturale fra Raiz (voce dei grandi Almamegretta) e i Radicanto, il collettivo musicale formato da Giuseppe De Trizio (chitarra classica), Adolfo La Volpe (oud, chitarra portoghese e chitarra elettrica) e Francesco De Palma (cajon, darbuka e tamburi a cornice). “Astrigneme”, ennesimo lavoro di pregio pubblicato dalla Fonè, è un vero e proprio viaggio attraverso “Casa” e “Neshama”, vale a dire le precedenti occasioni in cui Raiz e i Radicanto avevano incrociato gli strumenti, registrato all’Auditorium Museo Piaggio di Pontedera il 17 luglio 2021. Si comincia, allora, con il suggestivo medley fra una “Moshe salyo de Misraym” in bilico tra i fraseggi sefarditi dell’oud ed una “’Rev-Rav” scossa da un pattern ritmico desertico. A seguire, una “Catene” (dagli Almamegretta di “Imaginaria”) che corre lungo un fiammeggiante strumming flamenco. La title track cammina, sinuosa, lungo i delicati arpeggi della chitarra classica, contrappuntati dai fraseggi del liuto arabo e da una figurazione ritmica secca. “Misteriosamente”, brano che Enzo Gragnaniello incise insieme allo stesso Raiz, è scandito dall’incedere compassato della chitarra classica, dinamizzato dalle svisate della chitarra elettrica. Splendido l’omaggio a Pino Daniele, la cui “Cammina cammina” (da quel “Terra mia” che fu il suo album d’esordio) è segnata dall’intenso incontro tra la dolcezza della chitarra classica e le note distillate della chitarra portoghese. Si pesca, poi, dal repertorio degli Almamegretta, con la doppietta rappresentata da “Respiro” (tratta da “Lingo”) e da quel gioiello assoluto che è “Nun te scurdà” (ovviamente, dall’altrettanto clamoroso “Sanacore”): la prima scorre lungo le trame intessute dalla chitarra portoghese, che ben scorrono sulla ritmica in levare trascinata dalla chitarra classica e da un cajon sabbioso, la seconda – spogliata dell’elettronica – viene trasformata in una intensa e dolente canzone classica napoletana, con la chitarra portoghese a prendere le mosse di un mandolino. “Indifferentemente” ed “Era de Maggio”, altri centratissimi omaggi alla storia della canzone napoletana classica, si snodano lungo l’elegante rincorrersi di chitarra classica e chitarra portoghese, perfetto scenario per l’esplosività interpretativa di Raiz. Direttamente dal repertorio di Sergio Bruni arriva, invece, “Carmela”, colorata da una chitarra portoghese dalle trame arabeggianti e dagli arpeggi umidi della chitarra classica. Ultima puntata sul repertorio degli Almamegretta è “Fa ammore cu’mme” (sempre da “Imaginaria”), probabilmente il passaggio più interessante dell’intero album, qui trasfigurata fra la ritmica rarefatta del cajon e le incursioni nebbiose della chitarra elettrica. “Jerusalem” (portata al successo da Alpha Blondy, ma dalla penna di Konè Seydou) ci arriva come un reggae dall’incedere compassato, trascinato dal cajon e colorato dai fraseggi della chitarra elettrica, con la chitarra classica ad arpeggiare sottotraccia. A chiudere disco e concerto, lo splendido omaggio alla grandezza di Astor Piazzolla, con una “Chiquilin de Bachin” densa ed intensa, sorretta dagli arpeggi eleganti della chitarra classica. 
In conclusione, ci troviamo all’ascolto di un disco per palati fini ed orecchie attente, un lavoro “navigante”, coerentemente radicato, eppure visceralmente apolide, emblema di una ricerca- umana, prima che strettamente artistica- più che mai necessaria, soprattutto in tempi monadici come i nostri.


Giuseppe Provenzano

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