The Vad Vuc – Album postumo. Breve antologia di ordinarie violenze quotidiane (My Nina/IRD, 2022)

The Vad Vuc vantano una carriera di oltre vent’anni e undici dischi tra studio, live, EP, DVD. La band capitanata da Michele Carobbio (voce, chitarre, mandola) insieme a Sebastian Cereghetti (mandolino, trombone, cucchiai), Davide Boshard (sassofono, tastiere, basso), Giacomo Ferrari (baaso, banjo, batteria, cori), Fidel Esteves Pinto (flauti, tromba), Fabio Martino (fisarmonica, tastiere), Roberto Panzeri (batteria) e Alberto Freddi (violino) proviene da Coldrerio, un piccolo comune svizzero del Cantone Ticino. Il nuovo disco intitolato “Album postumo, breve antologia di ordinarie violenze quotidiane” contiene dodici tracce cantate tra italiano e dialetto ticinese con la produzione artistica di Taketo Gohara e Davide Billa Brambilla. In apertura, troviamo “Non sappiamo chi siamo”, una marcia con il testo preso in prestito da Arthur Schopenhauer, la voce recitante di Massimiliano Zampetti, le percussioni e i fiati della Banda Osiris, che ci portano direttamente alle trascinanti sonorità Irish-folk di “Mailtransema” e di “Checkpoint Charlie”, arricchita dalla voce di Giorgio Gaber che recita “Elogio della schiavitù” (da “Un’idiozia conquistata a fatica” 1997/98). Atmosfere più cupe, in odor di horror pervadono la parte iniziale di “Mago di Cantone” (“Le persone sono una certezza, come lo sfregio di una tua carezza, a loro non preoccuparti, basterà un niente per dimenticarti”) con la voce di Enrico Ruggeri, che lascia spazio ai ritmi patchanka cantati in dialetto. Invece “Pirata” è una ballad sostenuta da chitarra acustica, pianoforte e il tappeto di archi dei Gnu quartet. Oltre, “Tegnum la man” (“Il tempo non cambia le persone rivela la natura e l'illusione e ci ha svelato il lato animale e il rituale sociale, istituzionale, ci porta solo a straparlare e stare dove c’è una morale”) ha dei bei cori ricamati dal banjo e dai fiati, mentre la successiva “Neri o bianchi che siano” è tutta in crescendo con il violino in fuga. Il pop si incontra con lo ska in “Il paese dove tutto va bene” (“La nostra forza sta nell'evitare i temi veri e avere la soluzione per tutti i problemi, quando ti mancano gli argomenti, tu dai contro agli stranieri, tanto non votano”). “Un can” (“Ed io spero di vivere, signori della guerra, abbastanza per vedervi sotto terra e poi proprio come un cane farò la guardia alle vostre tombe per essere sicuro che siete morti davvero”) è più sperimentale, con abbondanza di synth. Si ritorna alle atmosfere celtiche con “Il nostro eroe” e con “Lo scozzese ubriaco”, che vede la partecipazione di Davide Van De Sfroos. Chiude il disco la bella e sognante “Moglie perfetta” con pianoforte, violoncello e flauti. Un album che rispecchia bene lo spirito festaiolo del gruppo, che unisce sonorità accattivanti a testi che passano dalla critica sociale alla semplice quotidianità. Un gradito ritorno da ascoltare a tutto volume per farsi contagiare dalla lora energia solare. 


Marco Sonaglia

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