Nidi d’Arac – Nanti li 90’s (Emme Records, 2022)

Sono trascorsi venticinque anni da quando i Nidi d’Arac muovevano i primi passi nella scena salentina, attraversata da un vibrante fermento creativo e dal rinnovato interesse verso la musica tradizionale. Nella scelta del nome che, anagrammando il termine aracnidi, rimandava all’immaginario simbolico e rituale del tarantismo, c’era in nuce un progetto artistico ben definito e, sin dall’inizio, innovativo e dinamico. Guidati dal leader Alessandro Coppola, il gruppo ha dato vita ad un percorso di ricerca a tutto campo volto a declinare al futuro la tradizione musicale salentina negli incroci ed attraversamenti con sonorità più moderne come rock, elettronica, trip pop e drum and bass. A questo intenso cammino è corrisposta una evoluzione costante anche della line-up che, pian piano, si è evoluta in una sorta di collettivo a geometrie variabili, aperto al confronto e alle collaborazioni con dj e producer, ma soprattutto in grado di proporre una cifra stilistica mai statica, ma in costante e dinamica crescita. Ascoltare in sequenza la loro discografia dall’Ep di esordio “Mmacarie” datato 1998 ai successivi “Ronde Noe. Microchips sulla terra del rimorso” e “Tarantulae” del 2001, passando per “Jentu”, “St. Rocco Rave”, “Salento Senza Tempo” e “Taranta Container” per giungere al più recente “Face B”, si comprende a pieno il crescendo rossiniano che ne ha caratterizzato la vicenda artistica, ma soprattutto si coglie uno degli esempi più interessanti in Italia di musica “attuale”, nell’accezione francese di “musique actuelle” per la capacità di far dialogare suoni e ritmi in un viaggio spazio-tempo tra passato, presente e futuro. 
Per celebrare i cinque lustri di onorata carriera, la formazione salentina ha dato alle stampe “Nanti li 90’s”, album antologico sui generis che li vede riprendere nove brani del loro repertorio in una intrigante e moderna versione unplugged. Il risultato è un lavoro che non guarda al passato con nostalgia, ma è piuttosto l’occasione per ritornare all’essenza originaria dei brani per tracciare nuove rotte da percorrere per il futuro. Ne abbiamo parlato con il leader e frontman, Alessandro Coppola.

Partiamo dagli inizi. Com’è nato il tuo interesse per la musica tradizionale salentina?
Il mio percorso verso la musica tradizionale è stato un viaggio a ritroso: sono partito dalla musica punk, new wave  e rock’n’roll suonando e cantando in alcuni gruppi nei primi anni ‘90, ad un certo punto ho iniziato a cercare qualcosa di più interessante, qualcosa di attuale e guardandomi intorno mi sono reso conto che c’era questa musica ibrida con influenze etniche che arrivava dall’Europa. Tutto questo movimento musicale affiancato ai miei studi universitari in Antropologia e Sociologia  mi ha invogliato a cercare le mie radici, e quando ho scoperto il mondo rurale salentino e la sua musica ho capito che avrei potuto trovare una mia identità musicale.

Come sei approdato all’idea di dare vita ai Nidi d’Arac?
Sicuramente c'era il mio bisogno di creare un gruppo professionale; avevo già vissuto delle piccole esperienze di tour ed era divenuto il sogno della mia vita: mettere su una band e girare l’Italia. Poi c’era la volontà di creare qualcosa di originale. Trasferitomi a Roma ero alla ricerca di musicisti con i quali dare un contributo a questo nuovo genere musicale ‘glocal’ che si respirava in Europa. In Italia c’erano gruppi come i Mau Mau, i Modena City Ramblers, ancora prima i Mano Negra e Les Négresses Vertes in Francia e soprattutto da noi c’erano gli Almamegretta e gli Agricantus che proponevano una versione molto contemporanea della musica tradizionale napoletana e siciliana. A quel punto, mancava una proposta salentina. Nei primi anni ‘90 la musica salentina non era conosciuta come ora; quindi, sono partito dalle
mie conoscenze personali per fare una vera e propria ricerca sul campo coinvolgendo artisti e studiosi.    

Dopo la pubblicazione del disco di esordio “Mmacarie” nel 1998, la vita artistica dei Nidi d’Arac è stata in continuo movimento, sulla spinta dell’esigenza di ampliare sempre di più il raggio delle vostre ricerche, non solo incrociando la musica tradizionale con altre sonorità, ma anche componendo materiali originali. Ci puoi raccontare questo passaggio fondamentale del percorso di Nidi d’Arac?
“Mmacarie” oltre ad essere un EP è anche un piccolo libro a cura di Sandra Tarantino, ricercatrice alla cattedra di Etnomusicologia all’Università La Sapienza (Millelire Stampa Alternativa) che racconta l’ambiente musicale dell’epoca attraverso alcune interviste a me e ad altri protagonisti della scena world italiana dell’epoca. Questo modo di fare ricerca musicale ha messo le basi per una metodologia di creazione in cui la produzione, la scrittura e la composizione dei brani hanno sempre un senso filologico.  Ho prodotto i primi album dei Nidi d’Arac insieme a Marco Viale e Gerardo Greco (Ras Noyz) e la nostra tecnica di produzione era ispirata dai nostri ‘fratelli maggiori’ (artisticamente parlando) Agricantus e Almamegretta. I due gruppi avevano delle tecniche di arrangiamento, a mio avviso, di altissimo livello; quindi, passando del tempo in studio con loro abbiamo appreso le loro tecniche:  di fatto come scegliere e utilizzare i campioni, scegliere gli strumenti e altri elementi caratterizzanti il genere. Poi accanto a noi c’erano maestri autori compositori come il nostro produttore discografico Paolo Dossena, Marco Luberti, Enzo Avitabile, Eugenio Bennato, Teresa de Sio,
grandi artisti dai quali prendevamo volentieri consigli preziosissimi. Le tecniche apprese a Roma, l’apporto creativo degli ottimi musicisti produttori che componevano il gruppo e la mia personale ricerca nell'universo della musica popolare salentina hanno creato il format Nidi d’Arac. Una volta consolidata la filologia di creazione è stato abbastanza semplice mettere in gioco l’aspetto estetico della musica confrontandolo con altre influenze musicali. Un grande esempio di libertà stilistica per me sono stati i Clash con l’album Sandinista, sicuramente un album di riferimento per la discografia dei Nidi d’Arac. Sandinista ha dato l'idea di quanto un gruppo si potesse spingere lontano dalla coerenza estetica rispettando la propria filologia musicale. Nel nostro mondo musicale le tradizioni si possono confrontare e coesistere con altre di altri luoghi e atri tempi. Basti pensare a “Jentu” (2003), un esempio di come in un album la musica salentina possa coesistere con la musica orientale, dove la scrittura e la composizione fanno da collante e la diversità degli strumenti creano le sfumature.

Ripercorrendo i venticinque anni di attività del gruppo, vi siete mossi attraverso coordinate sonore differenti passando dagli studi sulla transe di Georges Lapassade e Piero Fumarola al trip hop per giungere al drum and bass e al dub. Quali sono state le fasi determinanti di questa percorso di esplorazione sonora?
Musica droga e trance (Sensibili alle foglie) è un libro in cui si citano i primi esperimenti di pizzica e techno di George Lapassade e Piero Fumarola, e la sua data di uscita, 1999, era in concomitanza con il nostro primo album “Ronde noe. Microchips sulla terra del rimorso”. All’epoca frequentavo la facoltà di Sociologia a Roma dove c’era una grande attenzione verso il movimento cyberpunk e quindi verso la techno e la drum’n’bass, era l’epoca della club culture, dei Prodigy, dei Chemical Brothers e dei Massive Attack.  Tutto questo ha influenzato molto le sonorità dei Nidi d’Arac, era il presente-futuro della metropoli con i propri rituali musicali ispirati dagli antichi rituali tribali, nel nostro caso quelli salentini.    
 
Negli anni la formazione dei Nidi d’Arac si è evoluta con uscite e nuovi ingressi e, in parallelo, è mutato anche il vostro approccio alla tradizione. Puoi ripercorrere l’evoluzione della ricerca musicale del gruppo?
In questi lunghi venticinque anni Nidi d’Arac è stata considerata una ‘factory’ più che un gruppo, dei musicisti e produttori che condividevano un progetto artistico comune, e tutto questo ha influenzato molto i diversi album ed il suono che li caratterizzavano. Basta pensare al cd dal forte suono elettronico in “S.Rocco’s rave” con Stefano Miele (Riva Star) o al sapore acustico di Salento senza tempo con Rodrigo d’Erasmo e Redi Hasa.   

In “Taranta Container” riprendevate alcuni brani del passato rileggendoli in una veste sonora diversa. Quanto è stato importante fare il punto sulla vostra produzione discografica in quel momento?
Il contesto era quello internazionale poiché eravamo approdati ai vari show case nei differenti expo tipo Babel Med, Womex, Vic ecc  ed avevamo bisogno di un ‘contenitore’ audio che potesse raccontare la storia del gruppo ed all0 stesso tempo potesse dare l’idea del suono della formazione live dell’epoca, inoltre avevamo bisogno di un disco da dare al nostro nuovo distributore fisico Galileo che era pronto a portarlo in tutt’Europa, una grande opportunità per la nostra promozione internazionale. 

Uno dei dischi più emblematici è “Face B” del 2018 che nasceva dalla tua esperienza in Francia dove hai avuto modo di entrare in contatto con la trap e l’afro-trap, lavorando come ingegnere del suono e produttore in un centro per i giovani a rischi. Quanto ti ha arricchito questa esperienza dal punto di vista musicale?
È un esperienza incredibile da un punto di vista umano ed artistico è un qualcosa che ha messo in discussione tutta la mia esperienza musicale dandomi una nuova prospettiva, quella dei giovani d’oggi. “Face B” nasce dall’esigenza di vedere la musica dei Nidi d’Arac da questa nuova prospettiva, citando i 
punti in comune tra le nostre vecchie produzioni ed il suono contemporaneo detto comunemente in Francia ‘urban’.

Veniamo, ora, a “Nanti li 90’s” che già dal titolo ci riporta indietro nel tempo proprio ai primi anni di Nidi d’Arac. Da dove è nata l’esigenza di ritornare all’essenza riarrangiando in chiave acustica i brani dei vostri primi dischi?
Sicuramente il lockdown ci ha dato la voglia di stare insieme, suonare insieme e staccare la spina  nel vero senso della parola, tutta questa tendenza a rimanere chiusi in casa con i programmi musicali e i looper ci metteva una grande tristezza, avevamo voglia di fare musica insieme con i nostri strumenti, cercando di essere veramente essenziali pur mantenendo lo stile dei Nidi d’Arac.

Con quale criterio hai scelto i brani da reinterpretare?
C’era il bisogno di far rivivere una nuova vita ai brani scritti intorno agli anni Novanta; quindi, abbiamo scelto i brani che hanno avuto meno considerazione negli anni soprattutto nei live. 

Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di arrangiamento dei brani?
Il lavoro è stato fatto interagendo al massimo con i musicisti, cercando di essere quanto più coerenti ed essenziali possibile negli arrangiamenti, poiché l’atmosfera doveva essere quella di un concerto suonato in 
acustico. 

Quali elementi sonori dei vari brani hai cercato di evidenziare ed esaltare sotto una nuova luce?
La composizione del brano doveva essere sempre la protagonista e gli arrangiamenti essenziali dovevano mettere in evidenza soprattutto questo aspetto.

Le presentazioni del disco sono accompagnate anche da un talking in cui ripercorri la storia dei Nidi d’Arac. Com’è stata la risposta del pubblico?
Abbiamo avuto una bellissima sensazione vedendo il pubblico a tratti emozionato nel rivivere attraverso i vari racconti dei partecipanti al talk un’epoca che sembra anni luce distante da questa.

L’aver riportato il vostro suono “a casa” con questo disco, mi sembra il preludio di una nuova fase del gruppo. Siete pronti a prendere il largo verso nuovi territori sonori?
Certamente, tranne me ed il bassista storico Edoardo ‘Dodo’  Targa, quasi cinquantenni, i nuovi componenti del gruppo Julian Bellisario (batteria), Ylenia Giaffreda (violino) e Matteo Cappella (chitarra) sono nati nel 1990, per questo li chiamiamo i ‘nineties’, gli anni incredibili in cui l’universo musicale dei Nidi d’Arac stava per nascere; quindi, più che una nuova fase direi una nuova era.     



Nidi d’Arac – Nanti li 90’s (Emme Records, 2022)
Quando nel 2018 ascoltammo “Face B” ci colpì molto non solo la genesi di quel disco, nato dall’esperienza di Alessandro Coppola come responsabile artistico e musicale di un centro dedicato ai giovani a rischio e basato sull’Educación popular, ma anche le sorprendenti intersezioni tra la tradizione musicale salentina e l’afro-trap. Quattro anni dopo, i Nidi d’Arac hanno sentito il bisogno di riportare tutto a casa e, dopo otto album caratterizzati da articolate sperimentazioni, hanno fatto ritorno là dove tutto è cominciato, a quel suono, a quelle radici, ma soprattutto alle origini del loro cammino, per riannodare i fili del tempo e dell’ispirazione e volgere, poi, lo sguardo verso il futuro. È nato, così, “Nanti li 90’s” nuovo album con il quale la formazione salentina celebra i venticinque anni di attività, rileggendo in chiave elettro-acustica nove brani del loro repertorio, concepiti nell’alveo dei diversi filoni di sperimentazione seguiti in passato e reinventati in una chiave più classica ed essenziale. In questo senso, significativa la scelta del titolo che fonde il dialetto salentino “Nanti” ovvero “vicino” all’inglese 90’s ossia “Nineties” a rimarcare il concetto “glocal” alla base della visione musicale del gruppo, ma anche ad evocare il bisogno di riscoprirsi in retrospettiva, rispolverando gli studi accademici sulla transe e il tarantismo di Georges Lapassade e Piero Fumarola che li avevano ispirati. Ad affiancare il frontman Alessandro Coppola (voce) in questa nuova avventura è la nuova line-up che ora vede protagonisti Edoardo Targa (basso), Lucia Cremonesi (viola) e Julian Bellisario (batteria) a cui si sono aggiunti, per l’occasione, Alessia Tondo (voce) Alberto Bassani e Frank Cosentini (chitarre) musicista, cantante e producer franco-algerino Meta. Registrato, in larga parte in presa diretta, tra gli studi Officina Musicale di Roma e EP Mahalia Jackson di Parigi, il disco rappresenta una piccola rivoluzione copernicana nella cifra stilistica dei Nidi d’Arac e laddove i suoni sintetici, le increspature elettroniche si fondevano con echi della tradizione, ora scopriamo arrangiamenti acustici che esaltano le voci e le melodie come nel caso della dolente “Osce” che apre il disco e in cui spicca la voce di Alessia Tondo o di “Camina ciucciu” guidata dal violino di Lucia Cremonesi. L’ascolto non è avaro di sorprese perché con “N’autra parola” si tocca il vertice ispirativo e lirico del disco con il fascinoso intreccio tra le due voci di Alessia Tondo e Alessandro Coppola. Si prosegue con la bella sequenza con l’evocativa “Sule de’ iernu”, la trascinante “Danza e Onore” e il climax melodico di “Ei” per giungere ai chiaroscuri della sofferta “Mara la vita” e il canto d’amore “Se tuerni”. La splendida “Jentu”, tutta giocata su una articolata costruzione ritmica completa un disco pregevole che segnerà certamente il passo nel cammino dei Nidi d’Arac e che ci lascia intravedere un futuro radioso ancora non scritto, ma certamente già chiaramente immaginato. www.nididarac.com


Salvatore Esposito

Foto di Paolo Roberto Santo (2-3-4), Andrea Eix Intermite (5-6-7)

1 Commenti

  1. Complimenti alla redazione, grazie a questo sito, un unicum tra i vari siti salvo poche eccezioni come l'Isola, ho potuto scoprire geni assolutamente sottovalutati come Daniele Sepe. Continuate così che c'è bisogno di musica e gruppi come quello qui recensito nel deserto culturale di questo paese.

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