Gaye Su Akyol – Anadolu Ejderi (Glitterbeat Records, 2022)

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Surreale, ammaliante, e proteiforme, nel suo quarto disco Gaye Su Akyol si espone in prima persona forgiando un album malleabile che sfugge dai bordi demarcati delle tante correnti stilistiche che interseca. Allo stesso tempo, “Anadolu Ejderi” è il coerente passo successivo nel percorso discografico della cantante, già apprezzata internazionalmente – come dimostra la sua vittoria del “Songlines Music Award” come migliore artista nel 2019 – e conosciuta per il suo approccio fusion alla musica psichedelica anatolica. Se quest’ultima è il punto focale del disco, nello sfondo si intravedono più o meno distintamente numerosi stili che contribuiscono a creare questo multiforme paesaggio sonoro. Musica tradizionale e classica turca, arabesk, hard e stoner rock, post-punk, surf music, musica elettronica, pop contemporaneo e l’immancabile impronta world di Glitterbeat sono solo alcune delle sfumature che tessono la trama di “Anadolu Ejderi”. La stessa ambivalente varietà si riscontra anche nei temi trattati nei testi, dove la narrazione alternata momenti esuberanti ad altri più contortamente metaforici o addirittura personali ed oscuri. Ed anche a livello simbolico è apparente l’attaccamento alla terra turca, palesato dall'inclusione di metafore tipiche della poesia turco-araba. Queste vengono però ricollocate in un contesto differente, a descrivere presente e futuro coi profumi del passato, alternando sapori nostalgici ad altri più esuberanti ed immaginifici. 
L’ensemble che accompagna la cantante è particolarmente variegato, anche se strutturalmente non è certo fuori dagli schemi: il ruolo delle chitarre è a volte ricoperto dal saz elettrico, quello del basso dal synth bass, la batteria è spesso affiancata da altre percussioni o sostituita da un beat digitale e il tutto è supportato dall’occasionale apparizione del violino. Lo si sente nei primi brani del disco, la title track e “Vurgunum Ama Acelesi Yok”, sapientemente posizionati a impostare le aspettative: questo è un disco di neo-psichedelia anatolica. “Sen Benim Mağaramsın” è altrettanto emblematica, ma stavolta sfoggia a pieno petto l’anima rock dell’ensemble. La stessa attitudine riverbera nella conclusione di “Martılar Öpüşür, Kediler Sevişir”, probabilmente il brano più visibilmente mediorientale, in larga parte grazie alla presenza dell’oud. Più lenta, onirica e spaziosa, “Kör Bıçakların Ucunda” è uno dei fiori all’occhiello del disco, supportata da una fantastica melodia strumentale che segue i ritornelli a sfociare poi in una fantastica conclusione. 
In altri brani sono i sintetizzatori e una moltitudine di sound effects a dar vita al potente sound della band. La componente elettronica domina la scena nella seducente “Biz Ne Zaman Düşman Olduk”, con un groove intricato e frastornato, bilanciato dalle lunghe note della voce e degli archi. In “Bu Izdırabın Panzehiri” l’elettronica è, invece, impiegata per dipingere uno sfondo di droni cupi mentre gli strumenti scandiscono un ritmo trascinante. Il brano più sperimentale è però “İçinde Uyanıyoruz Hakikatin”, dove la cantante accosta immagini contrastanti in un intrigante collage. “Anadolu Ejderi” è stato un disco atteso con altissime aspettative e Gaye Su Akyol è riuscita ad eccederle in toto. L’album ha una forte identità stilistica mantenuta nonostante la poliedricità degli stili che lo popolano. La creatività con cui l’artista approccia la psichedelia anatolica – un genere ormai dominante nella categoria world – è il grande punto di forza dell’ensemble, che suona allo stesso tempo familiare e inaspettato. Se il disco gioca con tradizione e futurismo nei temi e nei suoni, a noi non resta che ascoltare concentrandoci sul presente, ma con un occhio aperto in attesa di cos’altro porterà il futuro. 


Edoardo Marcarini

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