VRï – Islais a genir (bendigedig/Naxos Records, 2022)

Si prendono appieno a la scena fin dall’inizio con “Y Gaseg Felen”: magnifiche le armonie vocali alle quali si aggiunge il drone dell’harmonium. Sono i gallesi VRï, il cui nome, derivato da un’antica parola cimrica, significa “in alto”, “sollevazione” o anche “levitazione”, spesso con la connotazione di “leggerezza euforica”. I nostri lettori hanno fatto la loro conoscenza in occasione del debutto del 2018, intitolato “Tŷ Ein Tadau”, adesso è la volta di “Islair a Genir” (Un sussurro cantato), pubblicato dalla label bendigedid e distribuito da Naxos World.  Jordan Price Williams (violoncello e voce), Aneirin Jones (violino e voce) e Patrick Rimes (viola e violino) descrivono con sintesi efficace la loro estetica sonora come “musica da camera vocale e strumentale”.  Per questo album il trio ha lavorato negli archivi della National Library of Wales e della Clera, la Welsh Traditional Instrument Society, confrontandosi anche con il ruolo ambivalente della chiesa metodista, che se da un lato diede propulsione all’identità gallese, dall’altro represse le espressioni della cultura tradizionale popolare. La seconda traccia dell’album è “Aberhonddu”, che raccoglie i pensieri di un coscritto gallese, T. Williams, che si appresta a lasciare la caserma di Aberhonddu (Brecon, in inglese) per raggiungere Guernsey, isola strategicamente cruciale dopo le guerre napoleoniche. Il soldato ripensa a quelle guerre che avevano portato via persone della sua comunità e alle verdi colline native che non sa se rivedrà, particolarmente belle in quell’ultima sera gallese. Dalle note di accompagnamento all’album apprendiamo che anche il padre di Jordan Price Williams fu di stanza nella stessa caserma in cui era di servizio l’omonima recluta. La coincidenza rende particolarmente drammatico il tema che, a distanza di secoli, accomuna i tanti sacrifici di due uomini come tanti. 


Sono storie ordinarie, spesso storie dal basso, che danno voce a chi spesso non l’ha avuta. Così Jordan in un’intervista a “Songlines” del dicembre 2022: “Tutte le canzoni sono delle piccole istantanee in cui qualcuno, da qualche parte, ha messo insieme queste parole con questa melodia. È l’unica cosa che ci è rimasta di loro. È come se questa piccola voce che attraversa i secoli ci dicesse che […] questa canzone, le parole di questa persona sono ancora qui oggi, anche se non sappiamo nulla di loro”. Non si parla di soli uomini e donne, ma anche di animali, come in “Y Gaseg Ddu”, canzone tragicomica in stile call & response, che richiama l’espressività canora bretone, che parla di una cavalla nera venduta a un uomo alla fiera. L'uomo ama così tanto il suo nuovo cavallo da rimpinzarlo di cibo. Alla fine, il cavallo muore per l’eccessiva alimentazione, ma la carcassa ha ancora un certo valore, così corvi e gazze scendono in picchiata per negoziarne il prezzo. Nella strofa finale, l'uomo chiede ai membri del suo pubblico di pagare un penny per la sua tragica canzone, in modo da potersi permettere un altro cavallo. 
Il primo strumentale, “Yr Ehedydd” (L'allodola), è un set di tre temi, di cui il primo è un tradizionale gallese che va sotto il nome di “Codiad Yr Ehedydd”. L’ascesa dell’allodola” (qui, la metafora aviaria si riferisce a Owain Glyndŵr che, rivendicando il dominio sul principato del Galles, diede vita all’ultima insurrezione contro gli inglesi ed era conosciuto con il nome di guerra di Yr). La seconda melodia, intitolata “l’r Hen Ogledd”, è un brano originale composto da Aneirin Jones in un brioso ritmo, così come il terzo brano, “Haf Bach Mihangel”, uscito dalla penna di Williams, che è uno slip reel. All’inno introduttivo “Glanhafren” segue “Cainc Sain Tathan”, una canzone del Glamorgan dedicata ai bizzarri racconti di un conducente di buoi. Impasti vocali sostenuti dall’intreccio di archetti nella deliziosa “March Glas”, in cui il vanaglorioso protagonista si vanta dell’immensa bravura del suo stallone. Cambio di registro con la solenne “Glan Meddwdod Mwyn”, un’aria diventata per un periodo una sorta di inno nazionale gallese. Passato e presente, gallese e inglese si fondono in “Y Cap o las Fawr”, una canzone di Môn (Anglesey), in cui il trio accompagna la cantante e poetessa Beth Celyn, la quale aggiunge il suo spoken word. La voce narrante è quella di una donna che si chiede se può comprare una cuffia di pizzo bella come quella della sorella, senza che Siôn (probabilmente suo marito) lo scopra. L’indumento simboleggia la libertà, spiega Beth, il diritto di una donna di “sentire il desiderio, di fare e di agire con il proprio corpo. di provare desiderio e di prendere e agire secondo le proprie decisioni”
Da questa composizione deriva anche il titolo dell’album; Celyn espande la portata originale consegnando un componimento dalla lingua vivida (“tessiamo una costellazione di merletti”). “Y Foel Fynydda”, scritta da Celyn e Jordan, apre uno squarcio su cosa significasse essere gay nel Galles di duecento anni fa. La strofa finale racchiude un detto locale: “Se la Foel Fynydda (una montagna, ndr) indossa il suo cappello (cioè una nuvola, ndr) al mattino, allora guardala a mezzogiorno e avrà le lacrime (vale a dire la pioggia, ndr) sulle guance".  Nei versi di Jordan, i due amanti maschi esprimono i loro sentimenti l’uno per l’altro per la prima volta a mezzogiorno, proprio quando Foel Fynydda inizia a piangere. In seguito, dopo che uno dei due è stato costretto a sposare una donna, si getterà nelle acque rosso-nere del fiume Afan, annegando. L’approccio cameristico della band ritorna pienamente in “Gwenno”, dedicata a un’amica violinista del gruppo e al suo bimbo appena arrivato: è una suite in quattro movimenti, divisa in due pezzi. l primo dei quattro movimenti è intitolato “A Ei Di'r Deryn Du”, originariamente una vecchia canzone gallese, che vede gli uccelli inviati come messaggeri d’amore, un tropo comune in molte tradizioni popolari. Il secondo movimento, “Y Purail Fesur”, è un tema dal repertorio per arpa tripla. Si tratta di un'aria lenta che i VRï rileggono in forma di giga. Terzo e quarto movimento sono raccolti nel motivo complessivamente chiamato “Eiri”, in cui “Cwrtia” è una composizione di Patrick Rimes, ispirata alla fattoria di famiglia di Gwenno: “Un luogo magico, con le
montagne di Eryri che si ergono dal retro del giardino e lo stretto di Menai che lambisce la porta d'ingresso"
, racconta Patrick. Il movimento finale è “Croeso Eiri”, composto in collaborazione dal gruppo: qui, il metro preso in prestito dal cornico è il cabm pemp, un 5 steps. Nella composizione successiva “Canu’r Canrifoedd”, ritorna la voce di Beth Calyn: protagonista della sua poesia è una lattaia del XIX secolo, il cui mestiere richiedeva forza e tenerezza. La poesia bilingue di Calyn, che ha approfondito il tema sulla condizione di queste lavoratrici, porta con sé pensieri e domande sull’oppressione del passato e sulla strada fatta in termini di eguaglianza. Segue “Brithi i’r Buarth”, un canto tradizionale intonato dalla lattaia rivolta alle sue mucche per guidarle alla stalla di mungitura, La canzone è stata raccolta dal celebre Edward Williams, più conosciuto con lo pseudonimo neo-bardico di Iolo Morganwg. Non è dato sapere se la canzone sia stata da lui raccolta oppure composta, dato che il fervore visionario di Iolo apriva la strada alle falsificazioni. Dopotutto, siamo ai tempi della moda delle “reliquie di poesia antica” e delle “invenzioni delle tradizioni”. Purtuttavia, Morganwg ha avuto un ruolo di primo piano nel dare forma all’identità musicale del Glamorganshire e i cultori della musica tradizionale gallese – sottolineano i tre artisti – sono i beneficiari della sua forte motivazione. Secondo Phyllis Kenney (“Welsh Traditional Music”) la libertà ritmica nell’interpretazione della canzone rimanda alle modalità stesse del mestiere di lattaia il cui scopo era di proiettare la voce su lunghe distanze per portare le mucche a casa. 


La canzone trascende la sua funzione di guida del bestiame per diventare una celebrazione della natura, della vita rurale e del paesaggio gallese (“Canto le note dei secoli – piego i ritmi del vecchio richiamo e lo diffondo attraverso i campi"). L’album si chiude con un canto in lode dell’estate, “Briallu Mair”, che celebra il risveglio della natura unito a un vivace strumentale, che mette in primo piano il violino e che proviene anch’esso dalla raccolta di di Iolo Morganwg. L’elegante formato del supporto fisico contiene 48 pagine con foto, testi e note redatte dal giornalista e scrittore Andy Morgan. I VRï sono tre musicisti brillanti, uniti da una attitudine alla ricerca dei repertori e forti nell’intesa esecutiva. Mostrano di cogliere con sensibilità composizioni tradizionali o di autori significativi, ma anche di sapere dialogare con i linguaggi contemporanei con il nobile fine di narrare almeno due secoli di storia repressa, se non negata.


Ciro De Rosa

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