Massimo Donno – Lontano (SquiLibri, 2022)

Abbiamo seguito con attenzione il percorso, tutto in crescendo, compiuto in questi anni da Massimo Donno, apprezzandone le radici ben adese alla migliore tradizione cantautorale italiana e la sua attenzione per la musica popolare e la world music, ma soprattutto l’originale cifra stilistica che traspariva sin dall’esordio con “Amore e Marchette” nel 2013. A seguire sono arrivati “Partenze” del 2015, prodotto da Riccardo Tesi e ricco di belle intuizioni compositive, ma soprattutto quel gioiellino che è “Viva il Re!” del 2017 che lo vedeva affiancato da La Banda de Lu Mbroia, un’orchestra di venti elementi, a cui si aggiungevano le partecipazioni speciali di Gabriele Mirabassi e Lucilla Galeazzi con cui duettava in “Roma (F. Fellini)”. Parallelamente sono arrivate anche le partecipazioni allo splendido “Io credevo. Le canzoni di Gianni Siviero” e il più recente “Lontano dagli errori e dagli eroi. Omaggio a Claudio Lolli”. All’attività discografica è corrisposta una intensa attività live sui palchi di tutta Italia e il costante impegno come agitatore culturale con quella bella realtà che è Lu Mbroia, diventato uno dei punti di riferimento della scena musicale salentina, con la sua programmazione sempre ricca di progetti speciali, produzioni originali, ospiti d’eccezione e rassegne. 
Lo ritroviamo, a distanza di cinque anni dal precedente, con “Lontano”, quarto disco in carriera nel quale ha raccolto dodici brani inediti, che nel loro insieme, compongono una sorta di concept-album sul tema della distanza. 
Abbiamo intervistato il cantautore salentino per farci raccontare questo suo nuovo disco non mancando uno sguardo sui precedenti lavori e sui progetti in cantiere.


“Lontano” è il tuo quarto album in carriera. Dal tuo esordio solista con “Amore e Marchette” come si è evoluta la tua ricerca musicale e l’approccio alla scrittura?
"Lontano" rappresenta la fine di un percorso che potrebbe dare vita ad un successivo sviluppo del tema del viaggio. Si può dire che "Amore e Marchette" rappresenti l'embrione di quanto ho poi elaborato successivamente. Questa premessa vale sia per l'aspetto dei testi che per quel che riguarda l'aspetto prettamente musicale: ho lavorato, rispetto ai precedenti album, in maniera simbiotica con il circostante, con la natura e dentro la natura, lontano da tutti quelli che erano i contesti sociali in cui ero immerso negli anni precedenti. Sono cambiate le letture e gli ascolti e, di conseguenza, il mio modo di concepire la canzone, il suo senso, la sua direzione. 
 
Vedere crescere tuo figlio ha in qualche misura giocato un ruolo in questo senso?
Mio figlio è spesso presente in questo disco. Molti brani hanno come cornice il contesto che viviamo insieme, la campagna, la pianura sconfinata di ulivi o la sabbia. 
Avere un figlio, per quel che mi riguarda, credo che rappresenti l'indossare delle nuove lenti da cui il mondo passa in maniera diversa, rispetto a prima. C'è un brano, Ormai, che riporta alcune frasi pronunciate da lui che io definisco di "poesia inconsapevole". I bambini piccoli spesso parlano mettendo insieme delle parole o delle frasi costruendo, per tentativi, dei discorsi per arrivare a noi adulti. In queste meravigliose fasi vengono fuori dei costrutti che sono poesia inconsapevole, appunto. I bambini hanno la capacità di accostare termini semanticamente lontani e danno vita a periodi intensi e poetici. 
 
Rispetto ai precedenti “Lontano” è ancor più marcatamente aperto verso le sonorità world e non solo. Come hai lavorato sugli arrangiamenti dei brani?
Il disco "Lontano" ha subìto, come per tanti lavori di miei colleghi, dei rallentamenti legati alle prime fasi della pandemia. Ho cambiato direzione in corso d'opera, rispetto all'idea iniziale di arrangiamento del disco. Avevo addirittura preso in considerazione l'idea di un disco voce e chitarra. In realtà poi, nella sostanza, è cambiato poco rispetto a questa forma asciutta. Il disco suona con pochi strumenti per volta, ad eccezione di pochi brani. Si può dire che la direzione artistica del disco l'abbia mantenuta io, con l'ausilio richiesto e mirato di alcuni interventi specifici come i brani arrangiati da Marco Bardoscia, 
Alessandro d'Alessandro, Valerio Daniele, ecc.  Lo spirito world degli arrangiamenti resta sempre come un dettaglio mai palesato appieno, come già dai precedenti lavori, eccezion fatta per il disco "Viva il Re!", con la Banda de Lu Mbroia. Infine, posso dire che la direzione artistica, oltre che mia, sia di tutti i musicisti che hanno lavorato a questo disco: ho chiesto esplicitamente un parere ad ogni musicista che veniva in studio a registrare la sua parte, avevo bisogno di confronto, di pareri ed è stato un bellissimo momento di confronto, di crescita, di arricchimento reciproco.
 
Dalle “Partenze” del tuo secondo disco, ora sei arrivato “Lontano”. C’è una connessione tra questi due dischi?
L'intero concepimento del disco ha la mano ancora stretta all'idea portata avanti nell'album "Partenze", arrangiato e prodotto da Riccardo Tesi. Ecco, il senso è questo: "Lontano" può essere considerato, a livello tematico e musicale, la continuazione del disco "Partenze". Quest'ultimo raccontava il viaggio, sotto diverse declinazioni, "Lontano" indaga piuttosto la distanza, la sospensione del tempo, l'attesa, tutti aspetti legati alla separazione, talvolta forzata: è lì che i due dischi si ricongiungono, negli aspetti legati al lavoro, all'immigrazione, alle istanze sociali di chi subisce, per l'appunto, la distanza, la sospensione, la 
separazione da un terra, da una famiglia, dalle proprie radici. 

Sotto il profilo tematico. Quali sono le ispirazioni da cui ha preso vita il disco?
Come dicevo, "Lontano" racconta la separazione, il tempo e la distanza. E' come se rappresentasse la fine del viaggio ed il guardarsi alle spalle raccontando il viaggio stesso, la terra di partenza, il paese di approdo. Può essere, a tutti gli effetti, considerato un concept album: è come se venisse raccontata la storia di chi subisce un'interruzione forzata della propria esistenza e la raccontasse dal suo nuovo contesto. Ciò crea una serie di avvicinamenti e resistenze alla nuova dimensione ed è lì che il vissuto di un uomo singolo può diventare la mia storia o la storia di chi legge, di qualsiasi persona, in fin dei conti.
 
Al disco hanno preso parte vari ospiti da Redi Hasa a Daniele Sepe passando per Alessia Tondo con cui condividi l’esperienza de Lu Mbroia. Quanto è stato determinante il loro contributo?
Il loro contributo è stato fondamentale ma non solo per la parte cantata, suonata, ecc. Il vero contributo è stato averli in studio, confrontarsi sull'interezza del brano e, talvolta, sulla dimensione compositiva totale del disco. Sono persone che considero "di famiglia" per cui ciò che si condivide e ciò che viene restituito è
sempre materiale prezioso, dal punto di visto artistico ed umano. Dal punto di vista artistico, di sound, di ambiente, ecc. il loro contributo è stato prezioso: quando ascoltavo la prima stesura dei brani sentivo già che il sassofono di Daniele sarebbe stato lo strumento adatto per dialogare con me, idem per Redi, Alessia, Gabriele Mirabassi, ecc.
 
Tra i brani più intensi del disco c’è “Ormai”. Com’è nato questo brano?
"Ormai" fa parte di una sorta di trilogia interna al disco, composta da questo brano, da "Undici", da "Vieni con me". In qualche modo, per quanto molto diverse a livello armonico, ritmico e melodico, è come se fossero un'unica canzone. Il tema è quello centrale del disco: qui c'è un uomo, la sua solitudine nell'altalena tra privilegio e costrizione, il nuovo contesto, la sua nuova vita tra speranze, disillusioni, una classe politica da cui viene respinto (nella dimensione di partenza) ed una classe politica che lo respinge, ora, nuovamente, in questo nuovo contesto. L'uomo parla a qualcuno che è lontano, raccontando gli alberi, la luce del sole, la veranda, il vino dei pomeriggi lunghi.
 
Altro brano che mi ha molto colpito è “Ci salveranno le stelle”, è un canto denso di speranza in un futuro migliore nel quale fa capolino la voce di Nabil. Ce ne puoi parlare?
"Ci salveranno le stelle" è uno dei brani a cui sono più legato. Dal vivo la presento sempre come una canzone scritta sulla terra, con i piedi nella terra, guardando al cielo. È una sorta di preghiera, un grido leggero e non urlato ad un qualcosa che è ben più in alto rispetto alle nostre miserie quotidiane. È una canzone di speranza, si, nella quale osservo il circostante e mi commuovo. Il circostante fatto di alberi e foglie, di cielo, di aria pulita e di silenzio. Come direbbe qualcuno, questa canzone, potrebbe essere un "elogio della solitudine", dimensione nella quale ritrovarsi e curarsi. Per questi motivi la voce di mio fratello Nabil non poteva mancare.
 
Il disco si chiude con “Dolcepelle” una ninna nanna dall’atmosfera notturna….
Come il precedente brano "Ci salveranno le stelle" anche questo è stato arrangiato dal musicista salentino Marco Bardoscia.  È una ninna nanna nella quale, in qualche modo, riprendo il canto di speranza di "Ci salveranno le stelle" per indirizzarlo a mio figlio ma più in generale alle generazioni che verranno. Stiamo lasciando un mondo fatto di modelli culturali quantomeno discutibili e credo sia nostra responsabilità prendere coscienza di tante cose, cercando di illuminare al meglio le tante alternative possibili "allo sfacelo" sociale di tanti contesti. È un canto nel quale si augura attaccamento alla terra, agli elementi della
natura, metafora di bellezza, di verità. 
 
Concludendo, quali sono i progetti in programma? So che avevi in cantiere anche un omaggio a Pierangelo Bertoli… 
Il disco su Pierangelo Bertoli è un altro di quei lavori interrotti due anni e mezzo fa, per varie ragioni. Il sogno, o meglio il progetto, di realizzare un lavoro corale su quello che io ritengo essere uno dei più grandi cantautori italiani, c'è ancora. Pierangelo credo che sia attuale quando parla di (mala)politica, nel modo di fare Analisi/Critica sociale, nel modo di raccontare alcuni fenomeni culturali. È per questo motivo che l'idea del disco esiste ancora: c'è urgenza di tornare su alcuni discorsi che non sono solo storia ma attualità, quotidiano. Deciderò presto con chi intraprendere questo viaggio ma so già che sarà un bell'andare!


Massimo Donno – Lontano (SquiLibri, 2022)
Sono trascorsi quasi dieci anni da quando Massimo Donno si è affacciato come solista sulla scena cantautorale italiana con “Amore e Marchette”. Da allora di strada ne ha fatta tanta, la cifra stilistica del suo songwriting si è fatta sempre più matura, acquisendo sempre più consapevolezza nelle proprie potenzialità. Non è cambiato, invece, il suo storytelling, quella capacità di raccontare e raccontarsi a cuore aperto tra istantanee di vita quotidiana e riflessioni introspettive, piccole storie impastate con amore e passione nelle quali ricorrono spesso temi come il viaggio e le partenze, solitudine e spaccati familiari, separazioni e ritorni. Tutto ciò lo ritroviamo in “Lontano”, quarto album in carriera nel quale ha raccolto tredici brani più una bonus track che ruotano intorno ai concetti di distanza quella obbligata dei tristi giorni del lockdown, quella necessaria a prendere le distanze o a riavvicinarsi ma soprattutto quella che ci separa nell’attesa. Rispetto ai precedenti non è mutato il desiderio di Massimo Donno di confrontarsi e dialogare con altri artisti, siano essi amici o ospiti d’eccezione che imprimono all’album aperture corali di grande suggestione. Tutto questo si riflette anche sotto il profilo delle sonorità che permeano i vari brani e nelle quali ritroviamo echi della tradizione salentina ma anche rimandi alle atmosfere mediterranee, ai suoni del Nord Africa e dei Balcani, fino a toccare la bossa nova. L’ascolto ci consegna una raccolta di canzoni che arrivano in punta di piedi e pian piano si svelano nella loro lirismo intenso e riponendo attenzione ad ogni dettagli si scoprono dettagli e cesellature che hanno del sorprendente sia musicalmente, sia dal punto di vista della scrittura. Ad aprire il disco è la pungente riflessione “Lettere dal divano” cantata con Alessia Tondo e giocata su dialogo tra la chitarra e il balafon suonato da Giovanni Martella su cui si inserisce nel finale il sax di Daniele Sepe. Si prosegue con la poesia di “Ormai”, nella quale spiccano la partecipazione di Redi Hasa al violoncello e Gabriele Mirabassi al clarinetto, e l’intensa title-track in cui ritroviamo i fiati di Daniele Sepe e la voce di Alessia Tondo, ma soprattutto la chitarra elettrica baritona di Valerio Daniele che ha curato anche editing, mixaggio e mastering del disco. Il vertice del disco arriva con la splendida sequenza in cui ascoltiamo “Andiamo a dormire” (“Vorrei una camera nascosta, senza finestre e senza letto/dove sul petto passa il sole e dentro il sole la risposta”), Liberi (“Liberi dal male, liberi da soli, liberi/liberi via cavo, liberi da voci, liberi/liberi da tasti, liberi da testi, liberi”) con la complicità di Gabriele Mirabassi al clarinetto e Musica Nuda ovvero Petra Magoni e Ferruccio Spinetti e quel gioiellino che è “Ci salveranno le stelle” (“Ci salveranno le stelle/ci salveranno gli odori/ci salveranno le onde di queste emozioni circolari/E scopriremo gli amori, e torneranno le capre/canteranno gli uccelli, nelle notti dei grilli/Scoreremo la sete”) in cui fa capolino la voce di Nabil Bey dei Radiodervish e il quartetto d’archi composto da Luca Gorgoni, Elisa Caricato, Claudia Russo, Marco Schiavone e Davide Codazzo. La dolce ballata “L’attesa” cantata in duetto con Rachele Andrioli ed impreziosita dall’organetto di Alessandro D’Alessandro che ritroviamo nella successiva “Corpi Nudi” proposta a due voci con Mariella Nava e nella quale brillano Marco Bardoscia al contrabbasso, Valerio Daniele alla chitarra elettrica baritona e il clarinetto di Gabriele Mirabassi. La canzone d’amore in punta di dita “Vieni con me” con Gabriele Mirabassi al clarinetto e Redi Hasa al violoncello ci accompagna verso il finale con “Undici” per soli chitarra, voce e violoncello, “Narici” con Alessandro D’Alessandro all’organetto e la ninna nanna “Dolcepelle” che chiude il disco. C’è, però, ancora tempo per una bella sorpresa con l’appassionata rilettura di “Primavera di Praga” di Francesco Guccini, proposta con Juan Carlos “Flaco” Biondini alla chitarra e l’organetto di Alessandro D’Alessandro. Insomma, siamo di fronte a quello che si definirebbe il disco della maturità per il cantautore salentino, ma a noi ci piace pensare che sia solo una tappa del suo lungo viaggio che lo porterà “Lontano”.


Salvatore Esposito

Foto di Giuseppe Rutigliano (1, 2, 7, 8) e Daniele Coricciati (3, 4, 5, 6)

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