Massimo Donno & La Banda De Lu Mbroia – Viva Il Re! (SquiLibri Editore/Visage Music, 2017)

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A due anni di distanza dall’apprezzato “Partenze”, nato dalla collaborazione con Riccardo Tesi, Massimo Donno torna con “Viva Il Re!”, nuovo progetto discografico che lo vede rileggere una selezione di brani tratti dai suoi due album precedenti con l’aggiunta di alcuni inediti, magistralmente riarrangiati dal sassofonista e compositore Emanuele Coluccia per La Banda de Lu Mbroia, formazione che raccoglie i componenti delle principali bande pugliesi, ed alla quale si sono aggiunti il clarinettista Gabriele Mirabassi e la voce di Lucilla Galeazzi. Il risultato è un disco pieno di fascino nel quale i suoni, i colori e i ritmi della banda sposano in una perfetta alchimia sonora le liriche del cantautore salentino, facendo emergere tratti nuovi ed inediti, sorprendenti atmosfere e brillanti spaccati sonori. Nell’incontro con la canzone d’autore scopriamo, dunque, un tentativo riuscito di ricontestualizzare e rivificare la banda, oggi più che mai patrimonio musicale da riscoprire. Abbiamo intervistato il cantautore salentino per farci raccontare la genesi e le ispirazioni alla base di questo nuovo album.

Prima di addentrarci nel raccontare il disco. E' necessario fare una premessa storica. Come nasce la Banda de Lu Mbroia e soprattutto che cos'è Lu Mbroia?
Lu Mbroia è il nome di una contrada del mio paese, Corigliano d’Otranto, nel cuore della Grecìa Salentina. La contrada ha dato poi il nome a vari appezzamenti di terreno che si trovano in quella zona. Mio nonno, verso la metà del secolo scorso, ha rilevato uno di questi terreni, denominato per l’appunto “Lu Mbroia”, e ci ha fatto un orto, una piccola casetta per gli attrezzi, ha curato l’uliveto ed è lì che è nata, circa quattro anni fa, l’Associazione culturale con la quale organizzo concerti, spettacoli, ecc. e che porta, gioco forza, il nome di quel terreno. 

Chi sono i musici de la Banda de Lu Mbroia?
Il mio sogno, e quello di mio fratello Alessandro con il quale ho dato vita all’associazione, è sempre stato quello di organizzare un concerto di una banda presso il nostro spazio. Ci sembrava però difficile che una banda, abituata a suonare  su una cassarmonica, venisse ad esibirsi sotto gli ulivi. Invece, spronati da un nostro amico, abbiamo contattato Emanuele Marti, il piattista della Banda de Lu Mbroia. Lui si è subito dimostrato entusiasta dell’idea ed ha coinvolto circa venti ragazzi, facenti parte di altre formazioni bandistiche, come le storiche Banda di Racale, Banda di Squinzano, ecc. Sono musicisti formidabili. 
Alcuni hanno imparato a suonare lo strumento andando da maestri di banda, altri invece si sono formati nei vari conservatori. Dopo due concerti realizzati in associazione, durante l’estate del 2016, mi è venuta l’illuminazione di ripensare ai miei brani, sotto un’altra luce.

Quali sono state le motivazioni e le ispirazioni alla base del progetto "Viva il re"?
Ascoltando la banda sin da piccolo ed avendoci avuto a che fare per l’organizzazione dei concerti in associazione, ho cominciato ad immaginare i miei brani spogliati da ogni strumento esistente e rivestiti “soltanto” da fiati e percussioni. In particolare c’erano dei brani che già avevano un respiro bandistico, nei miei due precedenti album ed a quei brani ero già particolarmente legato. Sul finire dell’ estate 2016 parlai di questa idea ad Emanuele Marti e Francesco Carlino, clarinettista della Banda de Lu Mbroia che accolsero la proposta di questo, per loro ma anche per me, nuovo progetto. Non ebbi assolutamente dubbi sull’individuare Emanuele Coluccia come arrangiatore, visto che aveva anche già arrangiato per ottetto di fiati, altri brani dei miei precedenti album.

Da dove è nata l'esigenza di rileggere il tuo repertorio con arrangiamenti per banda?
Io credo che alla banda, come istituzione, non sia stato dato il giusto rilievo negli anni, la giusta riconoscenza e la reale centralità nella strutturazione delle nostre tradizioni popolari. 
Addirittura si assiste ad una sempre crescente crisi di attenzione verso gli ensemble bandistici. Io credo che alla banda vada riconosciuto il merito di aver portato al popolo quella che era la musica colta, l’opera che fino a poco prima era appannaggio dei ricchi. La banda ha sempre rappresentato, in tutto il Sud Italia e non solo, un elemento centrale della festa e della vita quotidiana: il santo in processione, il feretro, i momenti di festa patronale e di ricongiunzione di tutta la comunità cittadina. La mia esigenza è stata di carattere personale ma anche, e non vorrei peccare di presunzione o di tentato eroismo, di carattere sociale, antropologico - culturale.

Quanto è stato determinante nella caratterizzazione del suono e degli arrangiamenti il contributo di Emanuele Coluccia?
Emanuele, come dicevo poco fa, è stato l’unico musicista a cui ho pensato non appena ho messo in piedi quest’idea. Conosco la sua scrittura ed il suo linguaggio, seguendolo in altri ensemble come Bandadriatica e Giovane Orchestra del Salento. Inoltre, lui aveva già arrangiato dei brani di “Amore e Marchette” e di “Partenze” e lo ha fatto rispettando il mio linguaggio, valorizzando la forma canzone. Il suo è un valore aggiunto che dà il giusto colore e la giusta sostanza alle mie idee, al mio modo di concepire la canzone. 
Mi è piaciuto molto quello che ha scritto anche perché credo che abbia scelto dei canoni compositivi che richiamano molto l’immaginario bandistico ma senza mai cadere nel banale, mantenendo il giusto equilibrio tra lo swing, la musica del Mediterraneo, tra il Sud Italia e l’America, in un’accezione molto ampia.

Quali tratti e sfumature nuove hai scoperto nei tuoi brani nel rileggerli in questa dimensione bandistica?
Esiste un dialogo continuo tra le parole della canzone e gli strumenti che la arricchiscono. Gli strumenti, per l’appunto, hanno la forza ed il compito di rinforzare un messaggio che, spesso, solo attraverso le parole non arriva appieno. Con la banda ho scoperto che le vie di dialogo e di comunicazione tendono all’infinito: ci sono le parole, ci sono le note, ci sono i crescendo, le pause, gli accelerando, i respiri, i fisiologici “rumori” di legni, ottoni, leggii, ecc. Tutto questo entra  a far parte di un discorso, non solo diventa parola ma accresce il senso, la forza e la comprensibilità delle parole stesse. 

Quali invece sono state le difficoltà che hai e che avete incontrato nella fase realizzativa?
Devo dire che di difficoltà oggettive non ce ne sono state tantissime. Forse, inizialmente, spaventava molto l’idea di dover coordinare venti musicisti. Sono venti musicisti, venti famiglie, venti orari di lavoro, venti idee differenti, a volte! E’ stato di fondamentale importanza il ruolo avuto da Emanuele Coluccia che ha saputo dirigere sapientemente, ma anche il ruolo di Marti e di Carlino che sono stati la porta d’accesso alla gestione di un lavoro così lungo ed articolato. A fine lavoro mi sono accorto che le difficoltà, una volta preventivate, diventano solo oggetto di progettualità e quindi affrontate e rimosse.

Al disco ha collaborato anche Gabriele Mirabassi, uno dei maggiori clarinettisti italiani. Ci puoi raccontare il vostro incontro e come è nata la vostra collaborazione?
Ho conosciuto Gabriele a Cagliari, ad ottobre del 2016. Eravamo entrambi ospiti al Premio Andrea Parodi, lui con Roberto Taufic e Cristina Renzetti, io con Riccardo Tesi ed Alessia Tondo. Seguo artisticamente Gabriele da molti anni, ovviamente affascinato e colpito da quello che è il suo linguaggio, dal Jazz al Brasile, dalla musica etnica alla musica classica. Ci siamo ritrovati a suonare nella Jam finale sul palco del Premio Parodi e poco dopo gli mandai un brano a cui stavo lavorando che è la mia versione in italiano di “My favorite things”. 
Qualche settimana dopo lui incise una parte di clarinetto su quel brano ed è da lì che è nata la collaborazione. Qualche settimana dopo lo contattai per parlargli del progetto con la banda e ne fu entusiasta. Lavorare con lui è un continuo recepire stimoli, umanamente e professionalmente, un’esperienza che spero vivamente possa ripetersi.

Tra i brani poeticamente più intensi e suggestivi del disco c'è, senza dubbio, "Roma (F. Fellini)" in cui spicca la magistrale interpretazione di Lucilla Galeazzi. A questo punto, è d'obbligo saperne qualcosa di più su questa piccola grande perla...
“Roma (F.Fellini) è un brano che ho scritto nel 2013, esattamente dopo dieci anni dall’aver lasciato Roma. Sono molto legato alla capitale d’Italia ma, quando mi ci trasferì, appena diciannovenne, probabilmente non seppi cogliere la smisurata bellezza che c’è in quella città. Soltanto dopo molti anni mi si rivelò questa grandezza, aiutato anche dalla visione del film di Federico Fellini. Da quel momento ebbi quasi un senso di pace, di ricongiunzione con la città. Roma rimase fuori dal disco “Partenze” per vari motivi e immaginarla con la banda, in questo nuovo lavoro, mi rese ancora più convinto di aver fatto la scelta giusta. 
Messomi al lavoro pensai subito a Lucilla Galeazzi, grande amica e grande artista, che ha dato luce e respiro a questa piccola storia d’amore tra l’uomo e la sconfinata bellezza delle cose.

Altri punti di eccellenza del disco sono le nuove versioni di "Amore e Marchette", "Il mio matrimonio" e "La Grande Abbuffata". Come hai approcciato le loro riletture?
“Il mio matrimonio” e “La grande Abbuffata” avevano già un’ossatura bandistica. La prima fu              arrangiata per il disco “Partenze” da Emanuele Coluccia, la seconda fu arrangiata, sempre per lo stesso album, dal compositore pistoiese Daniele Biagini. In questo nuovo lavoro, Emanuele ha esteso le parti da ottetto a banda di 18 elementi. Siamo stati da subito convinti che questi due brani dovessero far parte di questo percorso, anche per il senso delle canzoni stesse. Nella prima si parla di resistenza, di matrimonio, in un’accezione molto ampia, laica, sociale, nella seconda si parla di vita, di morte e di transizioni per cui la potenza espressiva della banda non poteva che essere necessaria per esprimere stati d’animo così importanti. “Amore e Marchette” era quasi d’obbligo! L’atmosfera marcatamente swing suggeriva una rilettura bandistica, con suoni che potessero oscillare dallo swing parigino, velatamente gypsy, alla New Orleans degli anni ’50. 
Emanuele in questo è stato magistrale: ha esteso e ricongiunto, di strofa in strofa, epoche e luoghi anche molto distanti, sostenuto dai ricami del clarinetto di Mirabassi.

Come si inserisce questo lavoro nell'ambito della tua produzione artistica? 
Sin da subito ho concepito questo lavoro non come un vero e proprio terzo album ma come un 2,5! Troppo giovane e poco famoso per fare un greatest hits ma nemmeno troppo vecchio per non osare un lavoro un po’ fuori tema rispetto al passato. In realtà all’inizio si pensava di lavorare su degli arrangiamenti bandistici per fare giusto qualche concerto. Parlando con Emanuele Coluccia ci siamo poi orientati verso un progetto discografico vero e proprio. Dal progetto discografico, poi, siamo andati a finire verso un libro con cd, grazie all’Editore Squilibri e a Visage Music che hanno accolto la mia idea di realizzare una piccola ricerca su alcuni personaggi chiave del mondo bandistico in Puglia. 

Anche questo disco è nato da una fortunata campagna di crowdfunding. Come giudichi questa esperienza?
Anche questa volta ho chiesto un sostegno alle persone che credono ai progetti che partono dal basso. L’esperienza è stata importante e significativa perché ti dà davvero l’idea reale di quanta gente riesca a seguirti, ad approvare quello che fai, a sostenerti fattivamente. 
L’aspetto interessante è anche quello relativo ai nuovi seguaci cioè a coloro che non ti sostengono perché ti conoscono già ma ti conoscono attraverso quello che proponi. E questo mi ha reso davvero felice. Sento di dover ringraziare anche l’Istituto Carpitella, presieduto da Ivan Stomeo, la Cantina Duca Guarini e la doppiatrice Silvia Tognoloni per l’importante sostegno e la fiducia riposta in questo nuovo progetto.

Nonostante i venti non favorevoli della scena live italiana, il tuo progetto sta funzionando anche dal vivo. Dov'è il segreto?
Credo che la banda sia in grado di toccare delle sensibilità, a volte anche sopite ma spesso consapevoli, nelle persone che vivono in questa penisola. La banda, come dicevo, riesce a riportarti in dimensioni spazio – temporali meravigliose, a volte anche faticose o tristi, ma pur sempre su livelli di emotività alti. La banda o la si ama o le si è indifferente, non ci sono vie di mezzo. Il live con la banda incute sicuramente curiosità. Da anni ci sono molti musicisti salentini che lavorano con la banda in chiave moderna, balkan, jazz, ecc. Il fatto che in questo caso la banda suoni delle canzoni forse può rendere accattivante e creare attorno a ciò curiosità. 
E’ un live molto diverso rispetto al passato. Quando suono con la band abbiamo davvero poche strutture, c’è molto improvvisazione. Con la banda no, è tutto scritto e strutturato e questo è un aspetto che ho riscoperto anche grazie a Riccardo Tesi. Per me suonare con la banda significa essere avvolto dalla musica, farne parte totalmente, emozionarmi parola per parola e questo, credo, che al pubblico arrivi e faccia piacere. 

"Viva il re" sarà il preludio ad un nuovo disco di inediti? Quali sono i tuoi progetti futuri?
E’ già da un paio di anni che metto da parte tanto materiale audio e molti scritti. Da quando è uscito “Partenze” ho cambiato poche volte idea in merito al successivo lavoro che avrei fatto e credo di esserne ancora convinto. Sicuramente ritornerò nel mediterraneo di “Partenze” e magari proverò ad affacciarmi a sonorità che in quell’album non hanno avuto spazio. Mi piacerebbe esplorare ancora la canzone, la stesura ed il linguaggio dei testi in maniera nuova, asciutta, minimale come le armonie che vorrei in questo ipotetico e prossimo disco. Penso anche che, strada facendo, salterà fuori qualche idea non preventivata e che potrà essere la colonna portante del prossimo lavoro, come è stato con Tesi, con Mirabassi, ecc. Mi farò sorprendere da quello che accadrà nei prossimi mesi e intanto … faccio il papà a (quasi!) tempo pieno!


Massimo Donno & La Banda De Lu Mbroia – Viva Il Re! (SquiLibri Editore/Visage Music, 2017)
La banda rappresenta uno degli elementi fondamentali dell’identità culturale del Sud Italia ed in particolare della Puglia, di cui è una delle maggiori ricchezze musicali, accompagnando con i suoi suoni e colori le feste di paese, scandendo le processioni, i momenti liturgici e quelli pubblici, ma anche riempiendo le piazze nelle sere d’estate con il repertorio operistico. La sua fascinazione in grado di aprire ad una dimensione temporale sospesa tra passato e futuro, è stata l’ispirazione per il progetto “Viva Il Re!” del cantautore salentino Massimo Donno, il quale ha raccolto una selezione di brani del suo repertorio, riarrangiati dal sassofonista e compositore Emanuele Coluccia per la Banda De Lu Mbroia, formazione composta da venti strumentisti, già attivi nelle principali bande pugliesi: Davide Cicerello e Sandro Giustizieri (corno), Marco Marti (trombone), Tommaso Sabato, Simone Pizzileo e Antonio de Rosa (tromba), Piero Rossetti (flicorno soprano), Dario Spennato (flicorno sopranino), Gianmichele de Filippo (tuba), Emanuele Marti (piatti), Vito de Pascali (cassa), Vittorio Gaudenti (rullante), Francesco Carlino (clarinetto), Lucio Marti (clarinetto), Luigi Caputo (clarinetto), Fabrizio Rizzello (clarinetto), Walter Sergi (sax contralto), Simone Carbone (sax tenore), Francesco Amato (sax baritono), ai quali si sono aggiunti il clarinetto di Gabriele Mirabassi e la straordinaria voce di Lucilla Galeazzi. L’ascolto svela un lavoro di grande fascino e suggestione nel quale la banda arricchisce di nuove atmosfere, colori sonori e ritmici le composizioni di Massimo Donno, facendo emergere sfumature poetiche nuove. Ad aprire il disco è la title-track, idealmente ispirata a “Ho visto un Re” di Dario Fo, e nella quale il cantautore salentino, con la complicità della banda, si immerge in una riflessione sullo stile di vita social che rende tutti più distratti, poveri di memoria e vulnerabili. A seguire arriva il vertice assoluto del disco, “Roma (F.Fellini)” cantata in duetto con Lucilla Galeazzi e nella quale Donno ci regala una delle perle del suo songwriting, una canzone che ha l’aria del classico tanto per la poesia, quanto per l’atmosfera cinematografica che è riuscito ad imprimerle, con la complicità della banda. La protagonista è una Roma da cartolina di tanti anni fa, una Roma che non c’è più, quella a cui non si poteva fare un sorriso che ti prendeva il cuore, quella di Trastevere, degli alberi di Portonaccio e dei versi di Trilussa. Spazio poi ad un primo estratto da “Partenze” con la brillante rilettura di “Tienimi La Mano”, a cui segue quel gioiellino che è “Il mio compleanno” dal disco di esordio e qui impreziosita da uno scoppiettante crescendo in cui la Banda de Lu Mbroia si inserisce a metà del brano. Un fascino tutto nuovo si irradia nelle due parti de “La Grande Abbuffata”, ispirate all’omonimo film di Ferreri, inframezzate da “Amore e Marchette” in cui giganteggia il clarinetto di Gabriele Mirabassi dialogando con la banda. La sinuosa atmosfera da valerz campestre de “Il Mio Matrimonio” ci conduce verso il finale con “De Profundis” che con il solo di Gabriele Mirabassi al clarinetto, suggella un lavoro pregevolissimo che ha il pregio di svelare una dimensione del tutto nuova della banda nel suo incontro con la canzone d’autore. In questo senso non possiamo non sottolineare l’eccellente lavoro di Emanuele Coluccia sugli arrangiamenti che ha contribuito non poco alla riuscita di questo lavoro. Ad arricchire il disco è un corposo booklet con contributi storici ed interviste a personaggi importanti del mondo bandistico (Battista Lena, Rita Botto, Fernando Coricciati, Pino Minafra, Livio Minafra, Lucilla Galeazzi, Gioacchino Palma, Mirko Menna), intercalate dal corposo apparato iconografico con le immagini d’autore del fotografo Daniele Coricciati e di fotografie storiche di bande del territorio pugliese.


Salvatore Esposito

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