Afghanistan musicale e la voce delle donne

Spesso è misconosciuto ai più, tuttavia l’Afghanistan vanta un ricco patrimonio musicale, risultato anche di fruttuose interazioni e influenze con gli Stati confinanti. Tale patrimonio meriterebbe specifica trattazione etnomusicologica, facendo riferimento alle forme musicali, agli strumenti musicali e alla più recente storia, caratterizzata dal susseguirsi di alternanze politiche egemoniche le quali hanno, di volta in volta, fortemente caratterizzato gli sviluppi musicali del Paese. Nel contributo odierno accenneremo alle “voci” di donne afgane alcune delle quali, in vario modo, hanno cercato o cercano di condurre battaglie di libertà partendo dalla pratica musicale. Di loro si è ripetutamente interessata la stampa occidentale, talvolta in relazione all’opera condotta dall’etnomusicologo Ahmad Sarmast, fondatore dell’ANIM (“Afghan National Institute of Music”, 2010), all’interno del quale è stata istituita un’orchestra femminile, denominata “Zohra”, che è il nome della divinità musicale nella tradizione persiana. Partita come gruppo cameristico, si è gradualmente allargata, coinvolgendo alcune decine di giovani musiciste. In sintonia con l’orientamento culturale dell’Istituto, il loro repertorio spazia dal colto occidentale a quello più locale, con l’obiettivo di dare risalto e salvaguardare il patrimonio musicale afgano. Nell’orchestra sono presenti strumenti della tradizione popolare, come “rubab, sitar e tabla”. All’età di soli diciannove anni, la prima direttrice di tale orchestra è stata Negin Khpolwak la quale, negli anni passati, ha rilasciato alcune interviste, evidenziando l’impegno sociale delle musiciste afgane a favore della parità dei diritti e delle libertà in ambito educativo e culturale. Negin è nata nel 1997. Proviene da un paese della provincia di Kunar, nel quale non c’erano scuole. Il padre, suonatore non professionista di sitar, decise di mandarla a studiare a Kabul presso l’ “Afghan Child Education and Care Organization” dove, da bambina, iniziò a suonare il pianoforte. In seguito, ebbe l’opportunità di accedere ai corsi dell’ANIM. Nonostante le intimidazioni ricevute, dal 2017 al 2021, ha potuto farsi notare come suonatrice e direttrice d’orchestra, riscuotendo successi. Con il ritorno dei Talebani al potere il suo sogno musicale in patria si è infranto, e si è dovuta rifugiare negli USA. Le aspiranti musiciste (e i musicisti in generale) in Afghanistan non hanno vita facile. Ciò è dovuto alle restrittive consuetudini conservative, che prevedono l’approvazione delle decisioni da parte dei soli maschi della famiglia. Inoltre, vi sono le limitazioni religiose locali che giocano a sfavore delle donne, tra cui la negazione della pratica musicale profana, concepita come peccaminosa. L’orientamento generale nei confronti della musica è ben sintetizzabile nelle parole di un portavoce talebano, rilasciate in un’intervista dello scorso anno al “New York Times”: «La musica è proibita nell’Islam. Non ci saranno concerti, non ci saranno trasmissioni radiofoniche che la contengano e i programmi televisivi non avranno sigle». In questo Paese l’applicazione della “Dichiarazione dei Diritti Umani” è in divenire e, non a caso, in termini di diritti e parità, l’Afghanistan viene spesso menzionato dalle “Nazioni Unite” tra gli stati più critici al mondo. 


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