Afghanistan musicale e la voce delle donne

Voci musicali di donne afgane
Bisogna aver chiara la successione delle dominazioni in Afghanistan negli ultimi settant’anni, per comprendere come sia stato altalenante il ruolo societario delle donne in musica. Di seguito, in rapida sequenza, accenneremo ai nomi di alcune note voci femminili, delle quali non è sempre facile rinvenire informazioni biografiche. 
Mermon Parwin (1924-2004) è nota per essere stata la prima cantante ad essere diffusa per Radio, nel 1951. Era figlia del poeta locale Sardar Abdul Rahim. Il suo repertorio comprendeva oltre trecento canzoni alcune tipiche del repertorio iraniano e tagico. Hamida Hassil (1940-2020) proveniva da una famiglia “Pashtun Wazir”. In arte è meglio conosciuta come “Rukhshana”. Acquisì ampia notorietà (anche grazie alla sua bellezza) tra gli anni Cinquanta e Settanta. Pare sia stata la prima cantante a esibirsi pubblicamente senza il copricapo “chador”; veniva apprezzata anche perché cantava sia in lingua “pashtu” sia in lingua “dari”.
Qamar Gula è deceduta nel 2022, a Toronto; era nata nel 1951. Iniziò a cantare sin da bambina. Si è poi sposata con il musicista e compositore Mohammad Din Zakhil, autore di molte musiche eseguite dalla stessa Gula. Dopo gli anni Ottanta dovette emigrare, prima in Pakistan poi in Canada, dove proseguì la carriera professionale fino agli ultimi anni di vita. 
Afsana Nawabi, sin dagli anni Novanta, era emigrata in Germania, dove è deceduta, nel 2021, all’età di settant’anni. Nel corso della carriera ha registrato alcune centinaia di canzoni per la radio e la tv afgana. Altre cantanti conosciute sono Asada, Parwin Samanak (o Samano), Farzana Naz, Aryana Sayeed, Naghma Sheperai, Sonita Alizadeh, Mozhdah Jamalzadah, Seeta Quazemi, Ghezaal Enayat, Soheila Zaland (l’elenco è solo indicativo e sicuramente incompleto).
Tra le voci femminili merita rilievo Farida Mahwash, nata nel 1947 e ancora in attività. Attualmente risiede negli USA. Pare sia stata la prima donna ad aver beneficiato del titolo onorifico di “Ustad” (Maestro), riservato ai soli maschi. Particolarmente nota è la sua interpretazione, sin dagli anni Settanta, della canzone “O Bacha”. Figlia di un’insegnante di Corano, sin da bambina, le venne vietato di studiare musica e di distinguersi come cantante pubblica. Tuttavia, negli anni, ebbe l’opportunità di conoscere Hafiz Ullah Khayal, direttore di Radio Kabul, che promosse la sua carriera musicale. Fu lui ad assegnare a Farida l’appellativo di “Mahwash” (significa “Come la Luna”). Ai fini del suo iter di apprendimento, di rilievo sono stati gli insegnamenti di Mohammad Hashim Chishti (“Ustad” di chiara fama, profondo conoscitore del repertorio indiano settentrionale) e di Hussain Khan Sarahang, noto maestro di canto afgano. Grazie alla diffusione delle canzoni attraverso la radio, per un certo periodo, Farida godette di una certa fama ben oltre i confini nazionali. Nel 1991, dovette rifugiarsi, per alcuni mesi, in Pakistan, sino all’ottenimento dell’asilo politico negli USA, dove ancora risiede, quando non è impegnata in concerti con il suo gruppo “Voices of Afghanistan”. Agli inizi del nuovo millennio, in America, aveva formato (insieme ad altri musicisti esiliati) il “Kabul Ensemble”, con il quale si è esibita internazionalmente, registrando un importante disco-collezione, contenente musiche e canti in omaggio a compositori e musicisti afgani di rilievo. In diverse occasioni, si è distinta anche per l’impegno civile, evidenziando pubblicamente la precaria condizione sociale delle donne e dei bambini afgani.
Zarifa Adiba attualmente studia politica internazionale all’Università americana di Bishkek, nel Kirghizistan. Pur tra numerose difficoltà, ha avuto modo di formarsi presso l’ANIM. Più che parlare dei suoi successi musicali (sostanzialmente, ricalcano quelli di Negin Khpolwak), riteniamo importante dare risalto al suo testo “Playing for Freedom. The Journey of a Young Afghan Girl”, di recente tradotto in italiano con il titolo “Suono per la libertà. Io, Zarifa, afgana e musicista” (Il Margine, Trento, ottobre 2022).
Si tratta di uno scorrevole ed entusiastico testo autobiografico nel quale, a più riprese, viene evidenziato l’attuale contesto sociale e culturale delle donne afgane, il cui “status” era ben diverso negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Come molte coetanee, Adiba ha alle spalle una sofferente storia personale e familiare, avendo passato una tribolata infanzia e adolescenza, con numerosi sballottamenti, da una famiglia all’altra, in differenti contesti rurali o cittadini. Tale situazione la condusse ad avere severe crisi psicologiche. È nata, nel 1998, in una famiglia “hazara” (minoranza sciita) senza istruzione scolastica. Solo da maggiorenne è riuscita, gradualmente, a sapere chi fosse il suo padre biologico. Per alcuni anni, di nascosto dalla famiglia, ha potuto seguire le lezioni presso l’ANIM, percorrendo giornalmente ore di camminate per raggiungere l’Istituto: «… poiché era proibito suonare … per andare a scuola camminavo due ore per le strade di Kabul, sempre con la paura di un attentato suicida o dell’esplosione di un’auto …». Non poteva portare con sé la sua viola. Per studiare ed esercitarsi musicalmente a casa, dovette ricorrere a vari stratagemmi. Di lei hanno parlato diversi media, soprattutto nel 2017, per l’esibizione dell’orchestra “Zhora” al “WEF” di Davos e di successivi concerti tenutisi in differenti Paesi europei, nei quali ha alternato la direzione di orchestra con la citata amica Negin Khpolwak. Durante il periodo di dominazione americana, ha potuto maturare importanti esperienze radiofoniche come speaker e DJ, parallelamente studiando la lingua inglese, vincendo alcune borse di studio in Turchia e negli USA. La conoscenza di tale lingua le ha permesso, in alcune occasioni, di distinguersi come portavoce dei diritti negati alle donne. In merito, ricordiamo il suo breve intervento in un “Ted-talk” del 2018.
Oggi, in Afghanistan, è pericoloso fare musica pubblicamente e non solo per le donne. A tal proposito, ricordiamo Fawad Andarabi, cantante popolare e suonatore di “ghaychack”, ucciso a Kishnabad, nell’agosto del 2021. Al momento, musicisti e aspiranti tali sono costretti a emigrare. L’ANIM continua il proprio percorso formativo a Lisbona, promuovendo lo studio della musica a favore dei giovani in esilio. La solidarietà internazionale nei loro confronti è salda. L’auspicio è che possano presto tornare operativi nella propria amata Terra, affermando principi educativi di pacificazione e di dialogo interculturale. La partita per la conquista dei diritti civili in Afghanistan continua anche per mezzo della Musica, incommensurabile patrimonio immateriale dell’umanità, dagli elevati valori spirituali e sociali.

Paolo Mercurio

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