Ahmad Naser Sarmast, musica afgana e impegno civile nel segno della libertà

Musica e libertà di espressione 
Ahmad Sarmast ha passato l’infanzia a Kabul, a quei tempi vivace città sotto il profilo culturale. Sin da bambino, è cresciuto immerso nella musica, essendo figlio di Salim Sarmast, noto direttore, cantore e compositore. Da un punto di vista etnomusicale, l’Afghanistan è particolarmente interessante, poiché nello Stato convivono diverse etnie, con predominanza numerica dei Pashtun (oltre il 40% della popolazione) e dei Tagiki (circa il 27%). Hazari e Uzbeki occupano, rispettivamente, il 9% (circa) della popolazione, mentre i Turkmeni solo il 3%. Sono tutti accomunati dalla religione musulmana, in maggioranza di fede sunnita e di fede sciita (10-15%). 
In Afganistan, è notevole l’influsso musicale degli Stati confinanti, a loro volta crogiuolo di differenti espressioni musicali, come quelle persiane, indiane e pachistane. Inizialmente, Sarmast ha studiato nella Scuola di Musica della sua città, in seguito (per circa dieci anni) nel Conservatorio di Mosca. Sarebbe voluto tornare a operare nel suo Paese d’origine ma, nel 1992, giunsero al potere coloro che propugnavano una tradizione culturale e spirituale conservatrice, poco disposti a concedere spazio agli stili di vita laici e occidentali. La musica profana venne messa al bando e i musicisti discriminati. Sarmast dovette richiedere lo stato di rifugiato. Fu accettato in Australia, dove si trasferì con la famiglia. Svolse diversi mestieri e imparò la lingua. Inizialmente, gli fu impossibile lavorare nel campo musicale, perché i titoli di studio acquisiti, benché autorevoli, non erano riconosciuti. S’iscrisse così alla “Monash University”, dove conseguì il dottorato. Da ricercatore ed etnomusicologo, nel 2006, tornò in Afghanistan. Da alcuni anni, i Talebani avevano perso il potere, a seguito della guerra condotta in loco con il supporto degli Americani. Desiderava impegnarsi in prima persona, per dare valore alle tradizioni musicali, nel segno dell’identità locale di un popolo sconquassato da decenni di guerre e di attentati. In particolare, nel 2008, si fece promotore di un articolato Progetto, mirato allo sviluppo dell’educazione musicale, principalmente rivolta a favore dei bambini appartenenti alle classi sociali più svantaggiate. Durante un raduno internazionale di educatori musicali, presentò il Progetto in Italia che, in seguito, fu sostenuto finanziariamente dalla Banca Mondiale, la quale investì due milioni di dollari per attuarlo, con l’appoggio del locale Ministero dell’Istruzione. Ottenute le adeguate strutture di accoglienza e comprati gli strumenti musicali per gli allievi, nel 2010, Sarmast riuscì a rendere operativo l’ANIM (Afghanistan National Institute of Music) che, tra gli obiettivi, perseguiva il superamento delle ineguaglianze, la parità di genere e la promozione dei diritti umani. Il suo progetto didattico, unico nel Paese, ebbe risonanza internazionale, poiché integrava programmi di musica tradizionale afgana e di musica colta occidentale. Tra gli obiettivi di base, vi era il desiderio di accogliere orfani di guerra e ragazzi di strada, ai quali veniva garantita nella scuola un’educazione gratuita, tramite l’acquisizione di borse di studio. All’ANIM, iniziarono a insegnare anche docenti stranieri. I percorsi di studio (di durata media decennale) prevedevano specifiche attenzioni alla musica tradizionale e alla musica europea, ma alcuni corsi erano dedicati anche all’apprendimento dell’inglese e degli studi coranici. L’insegnamento venne gradualmente aperto alle donne che, nel giro di pochi anni, rappresentarono circa un terzo degli aspiranti musicisti frequentanti l’ANIM. Una vera rivoluzione culturale e sociale, che meglio spiegheremo in una prossima “Vision & Music”, dedicata a due direttrici della prima orchestra femminile afgana, denominata “Zohra”, composta da alcune decine di ragazze. Le prime orchestre costituite da Sarmast - “National Symphony Orchestra” e “Afghan Youth Orchestra” (unitamente a gruppi musicali di soli archi) - ricevettero presto numerosi inviti per esecuzioni pubbliche, in sedi internazionali anche prestigiose (Carnegie Hall, Kennedy Center, Royal Opera House Muscat …) ma, a Kabul, i problemi legati alla sicurezza non mancarono, soprattutto a partire dal 2014 quando, durante un concerto, un giovane ragazzo si fece saltare in aria. Lo scoppio danneggiò gravemente il Maestro Sarmast (principale bersaglio dell’attentato). Venne trasportato in ospedale e, successivamente, trasferito in una struttura specialistica Australiana, dove venne curato, pur riportando permanenti compromissioni all’apparato udivo. Tuttavia, egli tornò al proprio lavoro, facendo innanzitutto rafforzare la sicurezza della Scuola musicale. Poco dopo, in nome della parità di genere e dell’emancipazione delle donne afgane, decise di costituire anche l’orchestra femminile, alla quale abbiamo in precedenza accennato. In un’intervista, a seguito dell’attentato, dichiarò: «I nemici dell’Afghanistan hanno commesso un grave errore. Ora, ci hanno resi ancora più determinati e pensiamo che il lavoro che abbiamo svolto li abbia resi infelici». L’orchestra “Zohra”, nel 2017, fu impegnata per la prima volta in una tournée europea, che riscosse visibilità e successo, grazie soprattutto alla prima esecuzione avvenuta a Davos, in un concerto (ben pubblicizzato dai media) organizzato dal “World Economic Forum”. La battaglia per i diritti civili, portata avanti con determinazione da Sarmast, è indirizzata alla valorizzazione della musica e alla sua promozione presso i bambini e i giovani più disagiati, ma è anche condotta in nome dell’identità culturale e della libertà educativa, nel rispetto delle differenze e contro le derive violente e autoritarie. Tuttavia la sorte della Scuola musicale e delle orchestre è stata messa in discussione non appena i Talebani hanno avuto modo di riprendere il potere sulla nazione, nel 2021. La musica non religiosa è stata quasi subito silenziata e i musicisti presi mira. Per far sopravvivere tutto ciò che era stato realizzato in oltre un decennio di lavoro, per il fondatore della Scuola musicale e per i suoi allievi, l’esilio fu di fatto obbligato essendo, verosimilmente, l’unica via di salvezza. Grazie soprattutto all’intervento del violoncellista Yo Yo Ma e di varie Istituzioni governative, tra cui quelle Portoghesi, l’ANIM ha potuto trovare accoglienza a Lisbona, dove maestro e musicisti operano con la consueta determinazione, sempre nella speranza di poter presto tornare in Patria, in condizioni di libertà e di sicurezza. Le richieste per le loro esecuzioni sono numerose, segno che la solidarietà e il sostegno nei loro confronti non mancano. Desideriamo dedicare la “Vision” all’etnomusicologo Ahmad Naser Sarmast e ai suoi discepoli, certi che, con volontà e coscienza, sapranno valorizzare gli sviluppi positivi della loro encomiabile esperienza europea nel rispetto delle differenze espressive, inviando al mondo intero messaggi culturali, in nome dell’affermazione dei diritti fondamentali dell’uomo, dei quali in Europa si parla con insistenza almeno dai tempi della Rivoluzione francese. Da libertario, Sarmast nelle sue orchestre vede “… tomorrow’s Afghanistan. An Afghanistan which embraces diversity and creates equal opportunity for everyone. A most beautiful mosaic of Afghan ethnicity” (traduzione libera: … l’Afghanistan di domani. Un Afghanistan che abbraccia la diversità e crea pari opportunità per tutti. Un bellissimo mosaico di etnicità afghana). Di seguito, riportiamo altre sue frasi che invitano a riflessioni e universali: «For me, music is not just a type of entertainment or art, it is a human right. Any human being, regardless of age, has the right to access music and express themselves freely through music. But unfortunately, the people of Afghanistan are being deprived of these rights. Once again, they have been turned forcibly to silence. We continue to advocate for the musical and human rights of the Afghan people and most importantly, women’s rights in Afghanistan» (in traduzione libera, “Per me la musica non è solo un tipo di intrattenimento o di arte: è un diritto umano. Ogni essere umano, indipendentemente dall’età, ha il diritto di accedere alla musica e di esprimersi liberamente attraverso la musica. Tuttavia, sfortunatamente, il popolo afghano continua a essere privato di questi diritti. Ancora una volta, sono stati forzatamente ridotti al silenzio. Noi continuiamo a difendere i diritti musicali e umani del popolo afghano e, cosa più importante, i diritti delle donne in Afghanistan”). La sua partita per l’acquisizione dei diritti umani attraverso la musica continua e sembra volerci comunicare che, ognuno, nel proprio piccolo, può concretamente operare per promuovere la dignità umana, pensando idealmente che - nonostante i soprusi e le violenze - i diritti fondamentali potrebbero essere condivisi da tutti i Popoli del mondo, in pace e libertà. Utopia? 

Paolo Mercurio

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