Niccolò Fabi – Meno per meno (BMG Italia, 2022)

La vita è un gioco semplice, ma ogni tanto è necessaria una sosta per guardare al cammino già compiuto, e poi volgere lo sguardo verso il futuro. Venticinque anni di carriera è un traguardo importante, uno di quelli in cui è necessario fermarsi per intraprendere successivamente un nuovo cammino. Senza cadere nella trappola delle autocelebrazioni, Niccolò Fabi per celebrare i cinque lustri del suo percorso artistico ha dato alle stampe “Meno per meno”, album antologico sui generis che mette in fila dieci brani di cui quattro inediti, prodotti da Yakamoto Kotzuga, e sei classici del suo songbook riletti con la complicità dell’Orchestra Notturna Clandestina diretta da Enrico Melozzi con la quale ha condiviso il palco dell’Arena di Verona lo scorso 2 ottobre. L’ascolto ci offre l’occasione per ripercorrere la cartografia minima del cantautore romano, partendo da “Costruire”, pubblicata nel 2006 in “Novo mesto” e riscopriamo avvolta dalle eleganti trame pizzicate degli archi e sostenuta dai fiati, a comporre un crescendo che esplode nel ritornello. A seguire, “Solo un uomo”, dall’album omonimo del 2009, è giocata splendidamente sull’incastro fra elettronica e contrappunti orchestrali, con gli arpeggi della chitarra acustica a fare da tramite perfetto. C’è, poi, “Una buona idea” da “Ecco” del 2012 in una versione che si snoda lungo un pattern ritmico secco e marcato, decorato dai volteggianti arabeschi degli archi e dalle tensioni elettriche della chitarra. Da “Una somma di piccole cose” del 2016, Fabi riprende “Una mano sugli occhi” in una raffinata versione per piano ed archi impreziosita dai colori siderali della lapsteel, e “Ha perso la città” in cui l’orchestra disegna frenetiche architetture musicali in cui si inseriscono piano ed elettronica nel refrain. I quattro brani inediti, ci svelano le traiettorie tracciate per il futuro dal cantautore romano e, in questo, senso significativa ci sembra “Andare oltre” nella quale spicca l’incastro timbrico tra elettronica ed orchestra e che racchiude una dichiarazione di intenti profondissima (“Permettere a un altro di occupare il nostro spazio/E di guardarlo da dentro/Dentro i confronti e le sostituzioni/Un altro che vive con i nostri fantasmi/E che ci spinge verso il futuro/Sfida il nostro equilibrio e ci toglie il respiro”). Di grande pregio è anche “L’uomo che rimane al buio” (“E il re nel suo castello spaventato dal pensiero di un amore folle/Chiude fuori a chiavistello la sua prateria/Perché innamorarsi è un po' cadere da cavallo/E sì che lui lo sa”) guidata da un pattern ritmico quasi marziale, su cui si poggiano gli arpeggi acustici della chitarra e le visioni nuvolose dell’elettronica, con archi e fiati ad elevare il ritornello ed affrescare la coda strumentale. Il penultimo inedito è l’attualissima “Al di fuori dell’amore” (“Si dice che la vita sia sopraffazione, antagonismo e lotta di supremazia/Che la guerra può chiamarsi santa/Che la storia poi che si racconta è quella che hanno scritto i vincitori/Qual è il concetto di sconfitta quando parliamo di pеrsone?/Qual è il concetto di vittoria al di fuori dell’amorе?”) le cui liriche sono avvolte da piano elettrico, synth e orchestra, il tutto sorretto da una rotonda linea di basso. Chiude il disco “Di aratro e di arena” (“E la terra è il mio segno, è la mia casa/A lei devo la mia sola certezza/La misura di ogni mio passo/La mia destinazione/Fino alla fine, fino alla fine”) con la delicata trama acustica, protetta dal guscio orchestrale e guidata da una lieve ritmica appena accennata. “Meno per meno” è un album prezioso che ci racconta, senza retorica, venticinque anni di esemplare carriera artistica e, nel contempo, ci svela la vitalità dell’ispirazione di Nicolò Fabi. Renato Carpentieri, alla consegna del David di Donatello come miglior attore protagonista disse: “La tenerezza è una virtù rivoluzionaria”. Il cantautore romano tutto questo lo sa bene e, per fortuna, non smette mai di raccontarcelo. 


Giuseppe Provenzano

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