Banda del Sud, Teatro Nuovo, Napoli, 23 dicembre 2022

In un continuum il timbro ronzante della ghironda sostiene il canto a fronna, un frammento di canto devozionale incontra un canto a distesa, tamburi a cornice e flauto doppio conducono una tammurriata che incrocia ancora la vocalità siciliana fino a confluire in un passu torrau sardo, subito accompagnato dal battito delle mani del pubblico in sala. È netta la sensazione che qualcosa di speciale sta accadendo con questo esordio della Banda del Sud, progetto ideato da La Bazzarra, sotto la direzione artistica di Gigi di Luca. In una certa misura, si tratta di una filiazione di Ethnos GenerAzioni, l’osservatorio giovanile del Festival Ethnos, rassegna che ragiona di musica come espressione di luoghi e di artisti che rappresentano stili ed espressioni locali. Finanziato dal Ministero della Cultura per il 2022, il progetto musicale allinea un organico di giovani musicisti (con qualche fuori quota) provenienti da sei regioni del meridione e delle isole maggiori, con l’intento di sviluppare azioni professionali di internazionalizzazione della musica del sud Italia. Così Di Luca racconta la genesi di Banda del Sud: “Il rapporto dei giovani con l’identità e i territori per me è fondamentale. 
L’Italia del sud esprime forse la musica più interessante, però non c'è una messa a sistema, un percorso, esiste uno scollamento con le tradizioni e i territori. Ho pensato alla necessità di lavorare con i giovani non per recuperare ma per rivivere la tradizione popolare con lo sguardo di oggi. Mario Crispi mi è sembrato la persona giusta non solo per la nostra collaborazione nello spettacolo “Appassionata” con Cristina Donadio e Giovanni Seneca; con lui ci siamo confrontati sui musicisti da scegliere e abbiamo convenuto sul fatto che sul palco volevamo gli strumenti popolari, da cui non si può prescindere: la diversità e la modernità stanno in come li suonano i musicisti. Per il repertorio si è partiti da registrazioni di musica tradizionale nelle Teche Rai per costruire un dialogo tra linguaggi. Con i musicisti selezionati, dopo una serie di riunioni online, si è iniziato a ragionare su come costruire la traccia del lavoro. Molti musicisti non si conoscevano tra di loro, ma siamo stati molto chiari e onesti: si doveva fare un lavoro di passione, un atto d’amore, ma cercando nell'altro la continuità di sé stesso, senza strafare, senza abbondare, si doveva portare un suono che potesse essere non troppa tradizione né troppa contaminazione, cercando di tirare fuori l’umanità di questo Sud, le emozioni, l’intimità senza ammiccamenti, portando al pubblico una
visione nobile e popolare. Anche nell’inserimento della danza, è il corpo che parla, c’è l’espressione fisica del Sud. Mi pare che anche in questo si legge la sintesi finale del progetto, diceva Pasolini: ‘Potete toglierci il dialetto ma rimane il corpo che parla”
. A questo punto, introduciamoli, i protagonisti della Banda del Sud: dalla Campania ci sono Raffaele Califano (voce e tamburo) e Hiram Salsano (voce e tamburo), dalla Sardegna Pierpaolo Vacca (organetto ed effetti), dalla Puglia Peppo Grassi (mandola e mandolino), dalla Calabria Oreste Forestieri (flauti, clarinetto, ciaramella e percussioni) ed Emy Vaccari (danza), dalla Basilicata Marcello De Carolis (chitarra battente) ed Eufemia Mascolo (contrabbasso), dalla Sicilia Antonio Smiriglia (voce, tamburo) e Michele Piccione (lira calabrese, ghironda, tamburi a cornice, zampogna molisana, flauti e percussioni), con la direzione musicale di Mario Crispi, polistrumentista e compositore dalla lunga esperienza, già colonna degli Agricantus. Al termine di una residenza artistica di quattro giorni a Torre del Greco (NA), l’ensemble ha portato in scena il concerto a Napoli al Teatro Nuovo. Non si è trattato di riproporre un abusato canzoniere popolare meridionale o lanciarsi con approccio piacione in una “bagaria” di piazza, ma di comporre facendo emergere la capacità di trarre
ispirazione dalla memoria fissata nei documenti sonori o di combinare quella di cui sono portatrici le dieci personalità artistiche contemporanee. Per Crispi, “i ragazzi che sono stati coinvolti, frutto di una selezione, sono stati anche scelti in base alle capacità espressive e alla conoscenza tecnica degli strumenti. E sono stati concepiti essi stessi come strumento, sono tutt'uno con gli strumenti che suonano di cui sono conoscitori profondi, hanno una propria identità e una conoscenza di molti repertori. Obiettivo dell’operazione è stato connettere tra di loro queste conoscenze ed esprimere l’esperienza di chi, come me, ha vissuto questo tipo di musica, nella riproposta o nella reinvenzione. Perché per fare un servizio importante alle tradizioni orali è necessario, anzitutto, conoscerle per poi rigenerarle, a partire da questi strumenti che sono concepiti come strumenti di liuteria, e che preservano suono, tradizione, stile, tecnica strumentale e strumentistica. Il secondo step è miscelare queste conoscenze con il sentire globale, senza farsi prendere la mano dalla tecnologia pura con i campionamenti. Questa cosa si può fare con frammenti di memoria collettiva e individuale, reinventando il significato di quello che si sta facendo in quel momento sul palco. Tutti questi frammenti si innestano tra di loro, e innescano a loro volta processi creativi e generativi. Mettere insieme due flauti armonici calabresi con un contrabbasso effettato che sta facendo un raga indiano, è testimonianza del nostro periodo, di quello che viviamo. Dobbiamo far crescere cose nuove, far germogliare piante nuove che sono per noi fondamentali perché ci fanno riaffiorare la nostra identità, ce la fanno scambiare con le altre identità e ci fanno capire di essere tutti uomini dello stesso pianeta. Nella pratica siamo partiti da un sentire comune, che può essere una tammurriata, una fronna, un canto a distesa, un ballo sardo, per poi utilizzare alcuni suggerimenti che ho dato io, con frammenti tratti da archivi, come le Teche Rai, o registrazioni degli anni
Cinquanta da utilizzare come spunto. Si è presa la melodia lavorandoci su, mettendoci il testo, attraverso delle variazioni che consentono espressività. Da piccole cellule sviluppare poi un discorso in cui entrano personali competenze. Ecco che inizia a riemergere un lavoro fatto negli anni Settanta, che era di sperimentazione e che ha dato tra le pagine più belle: mi riferisco al Canzoniere del Lazio, Mauro Pagani, NCCP, Eugenio Bennato, pagine bellissime della musica popolare prodotta in Italia che si può continuare a fare con questi musicisti che devono essere stimolati. Bisogna pungolarli e riannodare le catene spezzate. Io insegno al liceo musicale è mi accorgo che bisogna comunicare parole chiave ai ragazzi, che sono persone, gruppi, stili, generi, strumenti che vanno comunicati e vanno stimolati su questo”
. Riprendendo la cronaca del concerto, in “Chianota” le corde sfregate della lira calabrese e del contrabbasso costruiscono la tessitura melodica e ritmico-armonica su cui si appoggiano le voci, fino all’ingresso di flauti, corde, percussioni, effetti e organetto. Smiriglia esegue il canto con una modalità espressiva diffusa nell’entroterra tra i Nebrodi e i Peloritani (il brano di partenza è “A Castaniota", un canto d’amore, la cui esecuzione è di solito affidata a un solista). Su mandola e duduk si
costruisce l’intenso lirismo di “Jaròfilu”, canto d’amore il cui testo è tratto dalla raccolta di Antonino Uccello, che utilizza – mi spiega lo stesso cantante di Galati Mamertino – l’immagine del garofano, molto presente nella poesia popolare siciliana, segnato ancora dal canto espressivo e viscerale di Smiriglia. Il contrabbasso vivo e urlante introduce la strumentale “Tarantella Psichedelica”, uno dei motivi in cui prevale appieno l’elemento compositivo contemporaneo. Non è da meno “Fluxus”, che Crispi definisce come “il fluire di un fiume”: è la stratificazione di timbri, aperto dalle note argentine della chitarra battente, il tema è costruito sul gioco simbiotico dei flauti armonici e dell’organetto diatonico che si inseguono, creando una base armonica su cui il contrabbasso ricama la melodia su una scala modale, con “un finale in forma di ballittu calabrese”, mi dice Crispi. Ci si sposta in Basilicata con una “Ninna nanna”, tratta dalle storiche registrazioni di Diego Carpitella. Il brano porta l’impronta canora di Hiram Salsano su una tessitura da brividi sostenuta dal mandolino e dalla voce scura del duduk cui si aggiungono le suggestioni vocali di Smiriglia e Califano a rappresentare il sogno del bambino. Parte, quindi, l’irresistibile groove di “Etnie urbane”: marranzano, tamburi, castagnette, mantice e corde che si combinano su un tempo dispari non facendosi mancare le incursioni vocali melismatiche di Califano e l’impennata nel registro acuto di Salsano. Tamburi e contrabbasso fanno da sfondo ritmico alla rilettura ibrida di un altro classico tradizionale lucano “Fronni d’alia” (ma diffuso anche nel resto della Penisola), cantato da Salsano, con dentro sequenze vocali che attraversano i Sud, dalla Sicilia alla Campania (Smiriglia e Califano) fino a condurci verso altre sponde quando entra un clarinetto turco. Il climax si raggiunge con la sarabanda finale “Gnawa Tarantella”, aperta da un flauto che è un incrocio tra traverso e ney persiano (suonato da Crispi) e cuce trame su una composita struttura ritmica, che in un notevole 
crescendo produce un trionfale ballo guidato dalla zampogna di Piccione. Richiamati sul palco, i musicisti
non fanno mancare i bis: una preziosa tarantella in duo (chitarra battente e mandolino) e la festosa tammurriata-passu torrau, a chiudere. Più che buona la prima per la gran verve dei musicisti, considerato il poco tempo con cui questo ensemble ha lavorato insieme. Per il maestro concertatore Crispi la Banda è un “treno che è partito e che si spera non si fermi alla prima fermata, che possa proseguire attraversare tutto il continente”. Per Di Luca, che intanto pensa ancora più in grande e intende promuovere un nuovo progetto, un ponte sonoro che accolga anche musicisti di area mediterranea, la Banda del Sud continuerà ad affinare suono e repertorio per produrre a un’incisione discografica e, si spera, andare in scena nei festival della Penisola ma non solo. L’attenzione dell’ascoltatore resta sempre agganciato in questa esibizione di stampo quasi cameristico che, però, non trascura l’effervescenza festiva, devozionale ed emotiva del Sud e che ci si augura possa svilupparsi e affinarsi con la continuità del confronto e della pratica. Attendiamo con fervore. 

 

Ciro De Rosa

Foto di Pino Miraglia

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