Davide Giromini – Manifesto Post-Pop (Materiali Sonori, 2022)

Il percorso artistico di Davide Giromini è, probabilmente, quanto di più camaleontico ed imprendibile si possa trovare nel sottobosco della nostra canzone d’autore: dagli Apuamater al moniker Redelnoir, passando per splendidi album come solista come “Ostalghia” del 2016, “Apuane Conversioni” del 2017 e “Vento Nero” del 2019. Costantemente alla ricerca di nuovi territori da esplorare nella canzone d’autore, il cantautore toscano ha attraversato il folk e il post-punk per toccare l’elettronica e la psichedelia. Non fa eccezione il suo nuovo album “Manifesto Post- Pop” che si inserisce perfettamente in questo cammino anarchico fatto di improvvisi cambi di direzione, imprevedibili deviazioni di percorso, ma anche incroci ed attraversamenti sonori e poetici. Basta ascoltare l’iniziale “Comunisti del terzo millennio” (“Eravamo belli e dannati dopo il sonno della bohème, dentro fabbriche onirico- alcoliche di socialisti in fase rem. Eravamo rosse bandiere, dimenticate in varichina, vuoti simboli decolorati, cercavamo le Case del Popolo a Cortina”) che ci trascina in un vortice elettronico, sostenuto dal piano che fa da apertura melodica, e scarnificato dall’elettricità delle chitarre. A seguire, lo strumming sferragliante de “La mia personale storia della canzone impegnata”, splendidamente intarsiato dalle incursioni di violino, fisarmonica e diamonica. La title-track (“Siamo tutti vissuti senza essere nati, siamo uomini latta e leoni umiliati, siamo spaventapasseri morti dentro il giro sbagliato di corvi, insetti e zanzare”) si snoda lungo un delicato arpeggio di chitarra acustica, dinamizzato da una fisarmonica malinconica e dagli interventi acidi della chitarra. Anche “Fuga da Sampa (cane e Sert)” (“Adesso può finire questo è inutile cerchio dell’apparire, tornerò nella forma di un martin pescatore”) gioca sull’incontro fra i timbri acustici della chitarra e le aperture della fisarmonica, con un flauto a ricamare tensioni soliste. “Malanga” (“L’anima, se l’hanno inventata, ha perduto le piume dentro a questa giornata uggiosa, mi hanno spennato vivo, non ho colpa o rimorsi e non sono cattivo o cosa”) si colora di terrose percussioni africaneggianti, che fanno da sfondo ai nervi ritmici della fisarmonica ed alle allucinazioni fotografate dai synth e dalla chitarra elettrica. Notevole è anche l’arrangiamento di “Biglino” la cui struttura ritmica è sorretta da un charleston secco in cui si inseriscono le dissonanze del violino, mentre nel ritornello fa capolino il contrasto tra le chitarre al fulmicotone e le aperture orchestrali degli archi. A caratterizzare “Manifesto metastorico individuale” (“La storia, se non la sapete, evitate congetture, evitate le bandiere, e soprattutto non mettetevi a sedere su nozioni non sicure, come il male, come il bene, ottime intuizioni per dividere l’insieme”) è la trama cupa del pianoforte ad avvolgere il timbro scuro di Giromini che sul finale lascia spazio ad una coda strumentale futuristica con violino, fisarmonica e flauto a sporcarsi e graffiarsi a vicenda. “L’Odio” (“L’odio lucida le idee di una nuova patina celeste, la bellezza innesca curve rade, celebrando la purezza di un afflato senza ordine morale”), segnato dalle trame noir dei sintetizzatori della batteria elettronica in cui si inseriscono i tempestosi fraseggi del flauto e della chitarra elettrica a disfare la tessitura melodica della fisarmonica. A chiudere il disco è il recitato intenso e allucinato di “Malanga Recital”, a cura di Michelangelo Ricci e del Teatro dell’Assedio, che fa da preludio ad una superba versione dal vivo di “Malanga”. Insomma, Davide Giromini continua la sua battaglia con immutato impegno militante, consegnandoci un crudo racconto politico del presente, figlio di una urgenza comunicativa incessante e necessaria. “Manifesto Post-Pop” è un album che non esitiamo a definire benedetto, un antidoto contro l’atrofia di questi tempi sempre più bui. 


Giuseppe Provenzano

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